18 marzo 2020 - Seconda settimana di Esercizi Spirituali
Ci guardiamo attorno, e leggiamo di più anche nel mondo dei social, abbiamo tutti più tempo. Si può notare un accentuato nervosismo anche per le considerazioni più ordinarie, è chiaro chela situazione sta generando disagio non solo in riferimento al virus ma anche alle relazioni sociali. In molti messaggi, c'è come una esigenza di esprimere il disprezzo per l'altro, nel turpiloquio gratuito, improprio si cerca di far sapere all'altro che si è forti, mentre si è coscienti della propria debolezza. Ma perché ci sentiamo deboli? Quasi in nulla dipende da noi.
Purtroppo vediamo i nostri politici, sono le nostre guide sociali, disorientati che si affannano a fare proclami a normalizzare divieti, invocare l'intervento dell'esercito, invece di creare un maggior senso di responsabilità nei cittadini. Senza mai affermare le loro responsabilità, operando sempre con gli amici degli amici, in merito alla impossibilità operativa delle strutture che dovrebbero attivarsi in questi casi.
Anche le associazioni di volontariato che dovrebbero esprimere il valore della loro presenza particolarmente in queste situazioni, a me sembra non vivano il loro senso civico di vitalizzare la speranza nelle proprie competenze, che è anche azione, fare delle cose e non solo scaricare messaggi, copiati di qua e di la che non hanno alcuna relazione con il vissuto ordinario. Poi c'è il tema dell'amore gratuito verso l'altro che non è appannaggio esclusivo dei cristiani, ma è il valore mediante il quale ogni persona merita il mio rispetto, la mia attenzione e il mio aiuto.
Certo noi dobbiamo prepararci ad affrontare anche il dopo, e questo aspetto ogni tanto esplode con rabbia, è la povertà che dovremo affrontare ed è purtroppo generalizzata e presente in ogni famiglia nelle diversità dei modi, delle scadenze economiche, senza il sostegno di risorse adeguate per poterle affrontare. Poi abbiamo gli impiegati, tutti coloro che hanno garanzie sociali, che, a vario titolo vivono in questa fase dei disagi, ma dovrebbero avere il gusto del rispetto per chi non riuscirà a rispettare gli impegni per sostenere i propri figli e verso la società. Ritengo che i Politici ai vari livelli dovrebbero parlare anche di questo, una volta terminata, speriamo presto questa emergenza,, come aiuteremo gli agricoltori, i negozianti, i gestori delle varie attività turistiche.
Purtroppo di tutto questo a me sembra non emerga molto, parlo del nostro territorio, e questo atteggiamento certamente non genera fiducia nel futuro, serenità nelle relazioni, capacità di dialogo, amore per l'altro. Diciamo così, almeno chi ritiene di dirsi cristiano abbia la capacità di leggere meglio la realtà e di sostenere, anche concretamente per come è lecito, nel rispetto di tutte le norme comportamentali, con amore coloro che vivono l'impossibilità della speranza se non avendo accanto il fratello che si accorge di lui e non lo dimentica nel disagio e nella solitudine.
Ritengo di non aver detto nulla di particolarmente nuovo, penso che ciascuno di voi, lo avrebbe espresso con la stessa intensità magari arricchendo il tutto con qualche parolaccia, indicando qualche nemico da odiare, da scacciare. Noi che operiamo con i social dobbiamo sentire viva la responsabilità dei mezzi a nostra disposizione avendo chiara la coscienza di dover generare sempre fiducia nell'altro, di sentirsi liberi di amare, di guardare anche a coloro che purtroppo non operano per come si dovrebbe, nella disponibilità a suturare con il proprio impegno i vuoti e il degrado sociale che loro determinano e che noi dobbiamo subire. Dedico tutto questo ai nostri ragazzi, ai giovani che guardano a noi adulti cercando un po' di sicurezza per il loro domani. E' un po' lungo ma non siete obbligati a leggerlo tutto.
Abbiate pace nel cuore, donate pace agli altri. .
PROGETTO PASTORALE
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù
SCALEA 2019
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (2,1-11)
Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo,
se c'è conforto derivante dalla carità,
se c'è qualche comunanza di spirito,
se ci sono sentimenti di amore e di compassione,
rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti,
con la stessa carità,
con i medesimi sentimenti.
Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria,
ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso,
senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura
divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla
morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro
nome;
perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto
terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore,
a gloria di Dio Padre.
Presentazione
Nel precedente Progetto Pastorale: (Una Chiesa in uscita, Dicembre 2014) cercavo di spiegare perché è importante avere e presentare un Progetto Pastorale alla comunità parrocchiale, tra le altre cose, mettevo in risalto che: la coscienza della missione da portare avanti, rende insostituibile la stesura di un progetto pastorale, che non è la semplice lettura di una realtà colta negli atteggiamenti salienti ed estemporanei del nostro tempo, ma una vera ricerca interiore, alimentata dalla preghiera personale e della comunità, orientata alla valorizzazione progettuale, lineare e sistematica di tutto quando il Signore pone nel cuore dell’uomo per il bene di tutti.
Nel frattempo sono passati sei anni, durante i quali il Signore ha dato modo di conoscerci meglio, di operare insieme, abbiamo colto vicendevolmente anche i limiti e gli entusiasmi che il Signore dona di vivere. Abbiamo vissuto momenti anche momenti molto difficili. Insomma abbiamo sperimentato relazioni che ci hanno permesso di vivere la vita di ogni giorno, affidandoci semplicemente al Signore, cogliendo nella sua presenza tutto quanto poteva mancare alle nostre energie materiali e spirituali.
Abbiamo colto anche una novità permanente della vita di comunità, ne faccio esperienza durante la visita annuale durante il tempo di Pasqua, mi rendo conto di situazioni familiari e sociali sempre nuove, che chiedono a me e a tutta la comunità maggiore attenzione e disponibilità alla condivisione delle esperienze e alla vita di comunione.
Significa che la parrocchia, è dinamica, stenta ad assestarsi, e dal punto di vista degli insediamenti abitativi, continua ad essere una realtà in profondo cambiamento, continuano ad arrivare famiglie giovani, nuove che hanno bisogno di inserirsi e di essere accolte, anche di essere aiutate nelle loro povertà spirituali e materiali.
Ritengo che l’Inno ai Filippesi sia indicativo degli atteggiamenti che devono animare la nostra vita, negli anni che il Signore vorrà donarci di vivere ancora insieme. Dobbiamo vivere la totale donazione di noi stessi, in questa disponibilità gratuita all’accoglienza, anche se sembra che non si consegua nessun risultato. Abbiamo imparato da tempo che è il Signore a leggere il valore della nostra azione, per cui non dobbiamo fare altro che: Avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo Signore, per il resto dobbiamo operare totalmente affidati a Lui, seguire i suoi insegnamenti, in una disponibilità umile all’ascolto del Magistero della Chiesa che chiede e incoraggia a percorrere con entusiasmo la via della missione.
Sappiamo bene che non sempre e tutti, per i motivi più svariati, spesso per i tanti problemi da affrontare ogni giorno, si coinvolgono nella vita di comunità, per cui fanno fatica a rendersi conto della complessità relazionale che esiste all’interno della nostra parrocchia che, colgo e ripresento: ricchissima di esperienze di umanità, complessa nelle relazioni sociali e familiari, bisognosa di una migliore comprensione della vita spirituale e della sua vocazione cristiana.
La nostra parrocchia, si è sviluppata in quella che una volta era la campagna di Scalea, non ha monumenti da presentare e da contemplare, per cui ciò che il Signore ci dona e che ci chiede di valorizzare sono il creato, anche se si presenta molto deturpato dall’agire dell’uomo, ma che comunque dobbiamo amare e valorizzare, i ragazzi e i giovani, che dobbiamo cogliere come la permanente novità dell’amore e della gioia di Dio.
Lo sforzo da vivere è quello di operare perché i nostri figli colgano la parrocchia come la loro casa, come ambiente ordinario della loro crescita spirituale e sociale, come ambiente di speranza dove poter esprimere pienamente le loro potenzialità e il loro desiderio di futuro.
Il Santo Padre orienta nell’esortazione Gaudete et Exultate a percorrere, con determinazione e con l’impegno della testimonianza personale, la via della santità. Dobbiamo imparare a cogliere nell’amore, nella donazione di se, sulla via delle Beatitudini, ciò che concorre alla nostra gioia e alla crescita spirituale nella vita semplice di ogni giorno: Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio”.(GE7)
E’ la missione che il Signore ci affida, essere coraggiosi testimoni della Sua presenza che cerca, che ama, che sostiene, che incoraggia. Questa presenza di Dio è affidata alla nostra testimonianza semplice, autentica, vogliamo affidarci alla Vergine Santa del Monte Carmelo, la Celeste Patrona della nostra Città. Tanti nostri fratelli e nostre sorelle vivono l’eroismo della fede nel silenzio, nella dedizione sincera e quotidiana all’amore di Dio, pregano per noi e ci sostengono nella loro sofferenza. E’ vero, non sempre troviamo il tempo di coglierne e valorizzarne la presenza, questo ci impoverisce, ma nello stesso tempo ci sentiamo protetti, sostenuti dalla loro attenzione.
Non vi nascondo, che guardando alle attese che abitano il cuore dei fedeli, più volte mi sono sentito inadeguato alla missione che il Signore mi ha affidato. Come sempre vi incoraggio a guardare avanti con fiducia, cercando nell’impegno personale con il quale ciascuno, nelle azioni ordinarie di ogni giorno, anche quelle che potremmo considerare inutili, contribuisce alla crescita della vita di comunità: Questa santità a cui il Signore ti chiama andrà crescendo mediante piccoli gesti. Per esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare, e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: “No, non parlerò male di nessuno”. Questo è un passo verso la santità. Poi, a casa, suo figlio le chiede di parlare delle sue fantasie e, anche se è stanca, si siede accanto a lui e ascolta con pazienza e affetto. Ecco un’altra offerta che santifica. Quindi sperimenta un momento di angoscia, ma ricorda l’amore della Vergine Maria, prende il rosario e prega con fede. Questa è un’altra via di santità. Poi esce per strada, incontra un povero e si ferma a conversare con lui con affetto. Anche questo è un passo avanti.(GE16)
Nell’intraprendere questa nuova fase nel nostro cammino pastorale, Vi auguro di avere sempre questa certezza, se operiamo per come lo Spirito ci chiede e ci dona, certamente la nostra azione porterà i frutti spirituali di cui tutti avvertiamo l’esigenza per il nostro bene e per il bene dei nostri figli.
Nella famiglia di Nazareth San Giuseppe aveva la missione di dare sicurezza, di sostenere con il lavoro quotidiano la serenità della Sacra Famiglia, probabilmente ha dovuto affrontare anche problemi esistenziali, anche allora i tempi non erano facili. Grazie al suo affetto, alla sua prudenza e al suo impegno Gesù è cresciuto in età, sapienza e grazia. I nostri figli, sono il futuro della comunità, ci osservano con attenzione, guardano con attenzione alle nostre parole, alle nostre azioni, alla nostra vita, al nostro impegno e vogliono operare con dedizione e con gioia per costruire il loro futuro. Molto dipende anche da noi.
Scalea 8 settembre 2019
Festa della Natività della Beata Vergine Maria Il Parroco
Mons. Cono ARAUGIO
L’Evangelizzazione apre alla Santificazione
La nostra Chiesa di San Marco Argentano – Scalea continua a vivere l’impegno che il Santo Padre ha proposto come via ordinaria di evangelizzazione: la via della missione, la Chiesa in uscita. Questa sua premura pastorale lungamente sollecitata e testimoniata, viene ai nostri giorni riproposta in modo nuovo e approfondita nella Gaudete et Exultate con l’incoraggiamento a vivere una vita orientata alla perfezione nell’impegno della santità: Non mi fermerò a spiegare i mezzi di santificazione che già conosciamo: i diversi metodi di preghiera, i preziosi sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, l’offerta dei sacrifici, le varie forme di devozione, la direzione spirituale, e tanti altri… Queste caratteristiche che voglio evidenziare non sono tutte quelle che possono costituire un modello di santità, ma sono cinque grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo che considero di particolare importanza a motivo di alcuni rischi e limiti della cultura di oggi. In essa si manifestano: l’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita; la negatività e la tristezza; l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale. (GE 110, 111)
Le parole che ci dona il Santo Padre hanno l’obbiettivo di spronare il nostro modo di testimoniare la vita di fede, rimuovendo ciò che appesantisce, ciò che non genera entusiasmo. Anche la comunità cristiana di Scalea, ai nostri giorni, vive la fragilità di sentirsi messa alla prova, troppo spesso si sentono cristiani che vivono e generano scoraggiamento, invece di essere coraggiosi testimoni di fiducia nei fratelli e nelle sorelle.
Dobbiamo maturare la coscienza di essere chiamati a rendere ragione della speranza che deriva dalla fede, pur constatando che molti nostri figli, che pure sono cresciuti con gioia in mezzo a noi, seguendo uno stile molto diffuso nelle nuove generazioni e consuetudinario nella nostra realtà, si allontano con naturalezza dalla pratica religiosa e dalla vita della nostra comunità.
E’ una lotta che dobbiamo vivere con impegno per aprire al futuro della fede le nostre famiglie, la nostra città, deve trovarci pieni di energia e di entusiasmo, dobbiamo rendere presente l’amore del Signore, senza lasciarci scoraggiare, sostenuti dalle parole del Codice di Santità: Siate Santi perché io, il Signore Dio vostro, sono Santo (Lv 19,2).
Una comunità in costante conversione pastorale
La nostra è una città che negli anni ha subito un flusso migratorio intenso e non sempre regolarizzato, per cui gran parte di coloro che la abitano, anche nel Centro Storico, non sono originari di Scalea.
Questi fratelli e sorelle, che possiamo definire trapiantati, rappresentano una generazione di mezzo, che con il corpo abita Scalea ma con il cuore ha naturale nostalgia delle proprie origini.
Ai primi immigrati dai paesi limitrofi, si è aggiunta una nuova generazione di immigrati molto numerosi provenienti dall’hinterland napoletano, salernitano e dal reggino. In questi ultimi anni il flusso migratorio ha una prevalente provenienza dall’est Europa, dal Nord Africa e dall’area indiana. Non va trascurata la presenza Cinese e quella centro Americana, anche se meno appariscenti.
E’ interessante numericamente, ed è un fenomeno in crescita, anche la tradizione islamica, è molto ramificata negli immigrati: Pakistani, Senegalesi, Marocchini, Cingalesi, Albanesi che per il culto hanno adibito a Moschea un garage in via Mulino.
Scalea continua ad essere segnata dalla tradizione religiosa cristiana, nei suoi riti e nelle sue tradizioni liturgiche dalla devozione alla Beata Vergine del Monte Carmelo, la dedizione filiale alla Madre celeste si accompagna in ogni famiglia di antica tradizione scaleota. In riferimento alla situazione abitativa attuale, possiamo affermare che questo nucleo di nativi rappresenta non più del 30% di coloro che oggi risultano residenti e stabilmente o occasionalmente abitano nel nostro territorio.
A motivo della situazione migratoria, corrisponde una diversificazione anche della presenza religiosa. Dalla tradizionale appartenenza alla Chiesa Cattolica, alcuni sono passati alla Chiesa Evangelica Pentecostale situata in via T. Campanella, altri ai Testimoni di Geova. Altri, un piccolo numero, hanno dato vita all’esperienza Buddista, altri ancora hanno aderito ad altre forme di evangelismo. Inoltre in questi ultimi anni è cresciuta la presenza di Cattolici Ortodossi dei Patriarcati di Russia, di Romania e di Ucraina.
E’ una nuova forma di immigrazione che da oltre un decennio, va stabilizzandosi nella nostra città, molti provengono dalle grandi periferie urbane, sono alla ricerca di una vita più tranquilla. Questi nuclei familiari vivono, a motivo del vuoto istituzionale dal punto di vista sociale, isolati e abbandonati a se stessi, con tutto ciò che questo comporta in riferimento all’ordine pubblico: aumento della microcriminalità e della illegalità. Economicamente si sostengono con servizi nelle famiglie, attività di mercato e lavoretti vari, queste attività determinano per loro una stabile e dignitosa condizione di povertà, con una continua mobilità domiciliare.
La parrocchia attualmente si presenta perciò particolarmente bisognosa, come tante altre comunità cristiane della costa, di:
· una evangelizzazione capace di restituire ai battezzati, la freschezza della novità che Gesù Cristo rappresenta per ogni uomo di ieri, di oggi e di sempre in ogni luogo;
· Si presenta anche bisognosa di laici che offrano un prezioso e stabile servizio caritativo attraverso il quale venire incontro alle tante povertà del territorio;
· Ha anche bisogno di una evangelizzazione di base per i tanti non battezzati che vanno iniziati alla bellezza della comprensione cristiana della vita.
Nella coscienza che ciascuno dona per come può la propria disponibilità, è evidente che alcuni risultati si possono conseguire non tanto con le parole, neanche con un servizio legato al fare, ma solo attraverso la testimonianza della vita di carità e della tensione a far crescere la fraternità all’interno della comunità.
Abbiamo già affermato più volte, ma lo ripeto perché dobbiamo imparare a parlarne con prudenza e discernimento, che la nostra è una parrocchia molto complessa nella sua diversità, attualmente è composta da 3500 abitanti circa, articolati in oltre 850 nuclei familiari, ha bisogno di un lungo, affettuoso e intenso lavoro pastorale orientato a ricomporre il collante spirituale all’interno delle famiglie e tra le varie famiglie che compongono la parrocchia.
L’ampia estensione territoriale nella quale è articolata, sostanzialmente tra il Canale Tirello e via Laòs, certamente concorre a generare la sensazione di frammentazione e un certo anonimato nelle relazioni tra i fedeli nella vita di comunità.
Per sopperire a questa dispersione già da quattro anni abbiamo suddiviso il territorio parrocchiale in sei Quartieri: San Giuseppe, Arenile, Fischia, Cutura, Madonnina e Gelsi. Fino ad oggi abbiamo valorizzato il coordinamento della formazione nei quartieri, attraverso i Delegati di Quartiere, che hanno cercato, per come era nelle loro possibilità, di creare momenti di formazione nei tempi forti nell’anno liturgico.
In questa nuova fase, l’azione di evangelizzazione sarà avviata e animata con il sostegno delle Aggregazioni laicali, cercheremo di coinvolgere i Quartieri riformulati in Calvario, Madonnina, Arenile e San Giuseppe, con attività più articolate e sistematiche di sensibilizzazione ai valori cristiani e di formazione biblica e alla vita di comunità.
Come la parrocchia vive la missione oggi
Il pastore Gesù è la trasparenza dell’amore di Dio, che non abbandona nessuno, ma cerca tutti e ciascuno con passione. Tutte le scelte pastorali hanno la loro radice in quest’immagine evangelica di ardente missionarietà.
La Christifideles laici delinea la parrocchia: Essa è l’ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alla case dei suoi figli e delle sue figlie. È la Chiesa che vive sul posto. La parrocchia - continua lo stesso documento - non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d’unità» è una casa di famiglia, fraterna ed accogliente; é la casa aperta a tutti e al servizio di tutti, o, come amava dire Giovanni XXIII: la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete. Questa definizione ci dona una immagine dinamica della parrocchia come comunità in cammino che alimenta spiritualmente e disseta le varie generazioni.
La Preghiera è l‘anima della Pastorale
Avverto l’esigenza di ripresentare gli insegnamenti del Santo Padre per far comprendere meglio alcune scelte pastorali, che potrebbero essere lette come una scelta opzionale, mentre va intesa come costitutiva della vita comunitaria: E’ la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina. (GE 151)
Dobbiamo maturare la certezza che tutto nasce dalla contemplazione del Cristo abbandonato, è da questa contemplazione del mistero dell’amore con il quale Dio ci ama e mediante il quale ci salva, che siamo incoraggiati a scoprire le profondità del mistero dell’amore di Dio, che vuole abitare anche la nostra vita.
Dal 2018 con la creazione della cappella feriale si è creato un gruppo per la preghiera perpetua Pregate, Pregate, Pregate, gli aderenti vivono un impegno per la preghiera a sostegno della comunità ecclesiale, un momento da vivere nell’intimità con il Signore, e in questa intimità riuscire a superare, proprio in virtù della Sua presenza, le tante fragilità dettate dal rispetto umano, che si accompagnano all’impegno della testimonianza nella vita di ogni giorno.
L’Adorazione Eucaristica è un appuntamento settimanale, nel quale la comunità è incoraggiate a riprendere nella preghiera, pregando la Parola proclamata e ascoltata la Domenica. E’ un voler continuare il dialogo con Dio, affidati nella contemplazione all’amore del Signore il grande dono del ringraziamento. Questa coscienza del dono ricevuto gratuitamente, deve accompagnare la nostra crescita spirituale e alimentare l’impegno pastorale.
Altro momento di intimità con il Signore, è l’ultimo mercoledì di ogni mese, nel quale celebriamo la giornata eucaristica mensile dono prezioso che Gesù fa alla nostra comunità, stare insieme tra noi, con Lui per nutrirci dell’amore contemplato nel mistero della presenza mistica di Gesù Eucaristico, accompagnandoci con il Santo Rosario al pellegrinaggio della Vergine Maria.
Il cenacolo spirituale Maria Rifugio delle Anime – voluto come impegno a sostegno delle Anime Purganti, da Natuzza, è caratterizzato dall’appuntamento mensile per la recita del Santo Rosario meditato. E’ guidato dalla certezza che la comunità per crescere ha bisogno di pregare, di essere sostenuta con la preghiera, mettendo sempre al centro della propria attenzione coloro che hanno bisogno del sostegno e della vicinanza del Signore.
La preghiera è l’anima di ogni iniziativa, è l’essenziale che deve sempre precedere e accompagnare la vita della comunità. Non possiamo che attingere ancora una volta alla profondità mistica del magistero del Santo Padre: La comunità è chiamata a creare quello «spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto». Condividere la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli e ci trasforma via via in comunità santa e missionaria. Questo dà luogo anche ad autentiche esperienze mistiche vissute in comunità … o di sublime incontro spirituale …
In tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone. Diversamente, tutte le nostre decisioni potranno essere soltanto “decorazioni” che, invece di esaltare il Vangelo nella nostra vita, lo ricopriranno e lo soffocheranno. Per ogni discepolo è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre. Se non ascoltiamo, tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente. (GE 142,150)
Il Giorno del Signore, Festa della Comunità
La Domenica è il giorno della comunità, del ringraziamento e della lode. La Comunità cristiana sin dai primi tempi della chiesa ha vissuto questo giorno come esperienza di liberazione e di fraternità. Anche se, ai nostri giorni, è evidente a tutti la poca comprensione del significato dell’appuntamento festivo, con la conseguente mancanza del senso del Ringraziamento. Possiamo affermare che le diverse celebrazioni della festa, soprattutto nella liturgia Pro Populo Dei, continua ad essere abbastanza frequentata dai parrocchiani
La celebrazione festiva viene celebrata e vissuta mediante l’Animazione Liturgica ed è vitalizzata dal Coro Parrocchiale Attilio Manfredi. All’interno del Team viene preparata e riflettuta l’Animazione liturgica, cercando di personalizzare ogni celebrazione, con il coinvolgimento e il discernimento dei doni dello Spirito.
Questo coinvolgimento attivo dell’Assemblea, si potrà ottenere sempre meglio mediante la valorizzazione delle Aggregazioni laicali, degli Educatori, degli Animatori e dei responsabili dei tanti Gruppi laicali che offrono il proprio servizio in parrocchia. Il nostro primo obbiettivo resta quello di coinvolgere tutto il Popolo di Dio nella comprensione della celebrazione e nell’animazione dell’azione liturgica festiva.
Si spera che questo servizio alla liturgia possa concorrere a cogliere meglio l’azione che Dio compie ogni giorno per il bene della comunità dei battezzati, alimentando così il senso della riconoscenza, del ringraziamento e della disponibilità ad accettare l’amore con il quale il Signore ci ama. Il servizio che viene offerto, è prezioso e insostituibile.
E’ importante ricordare sempre, che il Coro è parte integrante dell’assemblea liturgica, il cui compito è quello di coinvolgere l’assemblea nel canto, è importante comprendere sempre meglio quanto la chiesa chiede di vivere perché la liturgia sia coinvolgente e partecipata da tutti i fedeli.
Una cura particolare sarà dedicata Gruppo dei Lettori, persone che chiedono di proclamare la Parola, soprattutto per la celebrazione Pro Populo Dei, perché, la loro crescita spirituale sia permeata dal servizio che offrono alla comunità e perché loro stessi crescano sempre più nella comprensione del particolare privilegio che il Signore dona loro di esercitare. La proclamazione Liturgica della Parola di Dio esige:
· un impegno formazione da vivere con la partecipazione assidua alla Formazione Biblica;
· la testimonianza di appartenenza alla vita comunitaria.
All’interno del Team liturgico sarà curato per tempo, il coordinamento delle disponibilità, per evitare confusione, pressapochismo e per non vanificare, attraverso una proclamazione non preparata, la ricchezza che promana dall’annuncio liturgico della Parola. L’impegno della formazione deve essere orientato non tanto al saper leggere, ma sapere e vivere ciò che si va a proclamare.
La Formazione Biblica degli Operatori Pastorali
Giovanni XXIII, già negli anni ’60 lamentava la grave ignoranza dei cristiani nei confronti della Sacra Scrittura, vero ostacolo alla matura comprensione delle fede e al dialogo tra i cristiani.
Per questo è importante, per tutti gli operatori pastorale, dare una particolare attenzione alla conoscenza della Bibbia.
Per coprire quanto vuoto presente in tutti battezzati, continueremo gli incontri di Formazione Biblica, inoltre tutte le iniziative catechistiche e liturgiche, animate dalla parrocchia avranno come riferimento ordinario la Bibbia. L’approccio ordinario e quotidiano alla sorgente della nostra fede che è la Bibbia rimane un anelito ancora non compreso pienamente dalla gran parte dei battezzati. L’obbiettivo immediato che ci prefiggiamo è quello di una maggiore dimestichezza nell’uso ordinario della Parola di Dio per la propria crescita spirituale, da perseguire attraverso la valorizzazione di due tecniche abbastanza immediate e personalizzanti: la Lectio divina e i Centri di Ascolto.
La prima comunità è la Famiglia
La nostra comunità parrocchiale è formata da circa 850 nuclei familiari. Per sostenere la crescita del protagonismo della vita cristiana nelle famiglie, e anche per rimuovere il forte arroccamento che molte famiglie vivono (il familismo è un male molto diffuso nella parrocchia), si intende privilegiare in ogni modo il coinvolgimento e l’aggregazione dei nuclei familiari nel cammino formativo della comunità a sostegno della formazione cristiana dei figli ma anche per la crescita delle relazioni tra gli sposi. Oltre all’impegno formativo portato avanti dagli itinerari ordinari delle Aggregazioni, da cinque anni che è stato avviato un cammino formativo con un Gruppo di Famiglie orientato alla comprensione ecclesiale del valore della vita familiare e al sostegno della formazione cristiana dei figli. Le coppie si incontrano mensilmente, camminano insieme, per essere educate a comprendersi quale chiesa domestica, ma anche a una maggiore comprensione e accoglienza delle tante situazioni matrimoniali che stentano a vivere la vita familiare, secondo quanto la Chiesa insegna alla luce del Vangelo. Non secondarie per la loro preziosità è la proposta di giornate di spiritualità e la riscoperta storica/culturale della realtà nella quale viviamo
Da circa due anni il Signore ci ha donato come proposta per la crescita spirituale della vita familiare il Movimento dei Focolarini, è un itinerario di vita comune, di fraternità universale, di formazione che fa riferimento agli insegnamenti e alla testimonianza della fondatrice Chiara Lubich. L’obbiettivo è quello di una aperture alle tematiche mondiali della vita familiare e ad una comprensione interreligiosa della vita spirituale.
Questi itinerari, integrati dagli incontri con i genitori dei ragazzi di Iniziazione Cristiana, hanno come riferimento il Direttorio Pastorale dei Vescovi italiani sulla famiglia cristiana oggi, dove viene ricordato che la Parrocchia è la famiglia delle famiglie. La speranza che ci guida e ci sostiene è che queste famiglie, a loro volta, si rendano disponibili, con la loro testimonianza attiva, ad accompagnare e sostenere il lavoro dei catechisti, per concorrere insieme alla crescita dei nostri figli, la nostra vera gioia, nella fede.
Iniziazione Cristiana
Seguendo quanto la Chiesa ci chiede, gli itinerari di formazione alla fede orientati alla Iniziazione Cristiana dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani sono impostati in chiave Catecumenale.
Questo significa che la Parola di Dio, la Liturgia della Chiesa, l’impegno nella Carità, il coinvolgimento attivo dei genitori sono parte integrante della proposta formativa.
Pur cogliendo qualche resistenza da parte di alcune famiglie che, distratte dai tanti interessi del nostro tempo, continuano a vivere una prassi catechistica orientata ai sacramenti, l’azione educativa viene impostata in modo da far crescere l’amore verso la vita cristiana e l’impegno della partecipazione attiva e gioiosa nella Comunità.
Il cammino di Iniziazione cristiana accoglie integralmente i contenuti del Progetto di Catechesi diocesano in chiave Catecumenale e li propone secondo il metodo oratoriale che viene sintetizzato dal motto: Facendo - Imparando.
Questa impostazione esige una duttilità dei catechisti e degli animatori a operare in modo verticale per le attività ordinarie di formazione, in modo orizzontale per la celebrazione delle Tappe che vengono vissute insieme ai ragazzi del gruppo Scout Scalea 1°.
L’animazione oratoriale, si arricchisce degli strumenti educativi di tutte le aggregazioni, che possono concorrere all’animazione e alla gioia di state insieme con Gesù nei singoli gruppi di formazione.
Questa caratterizzazione della formazione esige una ricchezza propositiva che va oltre la tradizionale impostazione frontale/didattica sui contenuti della fede, per cui gli itinerari catechistici devono essere sempre trasmessi valorizzando le capacità degli stessi ragazzi con gli strumenti del canto, del gioco, della drammatizzazione, del disegno, con attività nei quartieri, collaborazione con la Caritas, valorizzando il creato con i campeggi, perseguendo la dinamica educativa dello sport e via a seguire.
Per cui ai Ragazzi che scelgono di frequentare il cammino di formazione cristiana proponiamo tre anni di Accoglienza, due anni per vivere l’Eucaristia, infine due anni per la Confermazione. I gruppi della proposta formativa sono così articolati:
· Le Piccole Orme, nell’Itinerario diocesano è denominato Accoglienza, è articolato in tre anni, dei quali i primi due anni saranno vissuti con l’ambiente fantastico e l’animazione, mentre il terzo anno ha già una impostazione catechistica con le Tappe dell’Iscrizione del Nome e la Consegna della Bibbia.
· Sorgente di Gioia, nell’Itinerario diocesano è il gruppo dell’Eucaristia, la formazione è orientata alla comprensione dei valori spirituali e sociali della partecipazione alla Cena del Signore. I ragazzi vengono preparati facendo vivere loro le Tappe del Credo, del Padre Nostro, della Prima Confessione, tutto si completa con la Prima piena partecipazione alla Comunione. La preparazione è articolata in due anni.
· Angeli in Festa, aggrega i ragazzi che nell’Itinerario diocesano viene chiamato Confermazione, la formazione è orientata alla comprensione della vita di Carità e alla valorizzazione dei doni dello Spirito Santo. E’ articolato in due anni e si completa con il Sacramento della Cresima.
L’Oratorio - Quando operiamo nella pastorale, sposiamo dei metodi di vita spirituale, strumenti educativi già ampiamente sperimentati dalla Chiesa. Come metodo educativo nella nostra parrocchia sono già quattro anni che proponiamo quello oratoriale, per alcuni aspetti è innovativo nei nostri ambienti pastorali.
Lo zelo dei confratelli che mi hanno preceduto, ci permette di poter gestire spazi ampi di aggregazione orientata alla fraternità e alla gioia della vita comune per cui possiamo proporre e vivere in modo connaturale questo metodo formativo.
Concluso il cammino dell’Iniziazione Cristiana, ai ragazzi proponiamo l’esperienza della Mistagogia, sono due anni orientati al discernimento dei Carismi con il conseguente graduale inserimento dei giovani nella vita di comunità. La valorizzazione dei loro carismi orientata al discernimento vocazionale rappresentano la novità permanente dello Spirito che ringiovanisce in modo sempre nuovo la Chiesa, questo esige un atteggiamento di ascolto e di condivisione delle esperienze nelle quali si rileggono autonomamente nel cammino formativo percorso.
E’ l’ambiente pastorale Oratorio che completa e rende presente la vitalità della comunità oltre l’impegno dell’Iniziazione Cristiana, in esso confluiscono gli Animatori oratoriali, giovani che concorrono alla trasmissione della fede con la loro testimonianza e la loro creatività, in questo servizio, loro stessi crescono nella formazione personale.
Per come il Signore ci dona, tra i tanti modelli educativi possibili, continueremo a rendere presente nella nostra realtà parrocchiale, quello che a noi sembra il più adeguato e pedagogicamente spendibile, tenendo in debito conto le possibilità, le esigenze e gli ambienti a disposizione. Il che non esclude varianti educative legate ai cambiamenti e alle energie a disposizione, come sempre prima dell’applicazione del metodo lavorativo viene l’attenzione alla persona.
L’esperienza dell’Azione Cattolica presente dalla fondazione della parrocchia nella nostra comunità, attualmente vive il suo servizio nell’ambito della formazione per la crescita e il consolidamento della fede nei battezzati Adulti. L’associazione alla quale oggi si aderisce è totalmente orientata alla formazione cristiana degli associati e all’impegno di evangelizzazione delle comunità. Gli Associati, per come è loro possibile, vivono pienamente al servizio della vita spirituale e delle iniziative pastorali della parrocchia. L’AC continua ad essere un importante punto di riferimento e a proporre la formazione con la dedizione che ne ha sempre caratterizzato la presenza. Si sforza di vivere il suo servizio educativo per la crescita della fede agli aderenti e a sensibilizzare la crescita spirituale della comunità, con una particolare dedizione al mondo della sofferenza e della carità.
L’attività educativa dell’AGESCI merita la nostra attenzione, per il lavoro educativo che svolge orientato a responsabilizzare nella loro crescita i ragazzi e i giovani della nostra città, alla vita di fede e all’impegno sociale. L’amore per la natura, l’impegno per la costruzione di un mondo più giusto che anela alla pace, sono doni troppo preziosi, che il Signore ci ha affidati, e meritano di essere valorizzati da tutti. Per quanto concerne lo specifico del nostro gruppo, si educherà soprattutto al rispetto dell’ambiente e della legalità, per come i nostri tempi esigono.
Sarà curata anche con attenzione, l’appartenenza ecclesiale e l’impegno della testimonianza cristiana nella disponibilità al servizio. Inoltre vivendo e generando relazioni costruttive con le altre aggregazioni educative presenti nel territorio, testimonia con energia come comunità e come singoli capi la propria vocazione di far maturare una maggiore attenzione alle marginalità e alle varie forme di povertà sempre più presenti nel territorio. In questo triennio, si ritiene che l’impegno principale debba essere orientato alla comprensione matura della propria vocazione al servizio, alla vita di comunione e all’adesione alla Chiesa da testimoniare anche visibilmente nella nostra città per generare una più ampia adesione al servizio educativo nell’Associazione.
Da circa trentacinque anni, con diversa intensità e in diversi modi, tanti fratelli e sorelle delle diverse parrocchie nelle quali è articolata la vita di fede della nostra città, vivono la comprensione dell’azione di Dio in loro e la disponibilità alla conversione, frequentando il Cammino Neocatecumenale. Questo gruppo di fratelli e sorelle, attualmente non sempre riesce a corrispondere al suo carisma di presenza evangelizzatrice. Ci auguriamo che questa esperienza di perfezione cristiana, sostenuta dalle preghiere di Don Orazio e di Don Michele, nostri predecessori in questo ministero, orientata a una più autentica comprensione dell’appartenenza a Cristo, possa suscitare, in tutti i battezzati, sinceri aneliti di comunione e di rinnovata disponibilità alla testimonianza del Vangelo e alla missione di evangelizzare Scalea.
La Carità è via alla santità: Una Mano Amica
La Carità educa il cuore dei fedeli ed esprime agli occhi di tutti il volto di una Comunità che si impegna a testimoniare la condivisione. Sono numerosi gli interventi delle Caritas e tante famiglie trovano, aiuto e sostegno spirituale e materiale. Le persone impegnate nelle svariate attività formative e caritative, sono una ricchezza per il territorio, vi svolgono un volontariato spesso silenzioso, ma attento alla realtà e alla lettura dei nuovi bisogni. le richieste e i bisogni delle persone vengono affrontate spesso dal parroco al quale i singoli e le famiglie si rivolgono. In questi ultimi cinque anni sono state aiutate mensilmente, attraverso i beni alimentari e le offerte dei fedeli, 53 famiglie di residenti e 43 famiglie straniere per un totale di 270 persone, ai quali occorre aggiungere la gente che arriva occasionalmente e i Rom.
Alla distribuzione degli alimenti si devono aggiungere la distribuzione degli aiuti in capo di vestiario usato prevalentemente visitato da extracomunitari.
Tra gli ambiti caritativi più delicati che la nostra parrocchia vive, c’è l’impegno legato alle relazioni personali orientato a superare i tanti drammi familiari legati alle separazioni, a rimuovere le sofferenze, ad animare la speranza nei figli. Inoltre, grazie al coinvolgimento dei vari ministeri laicali, sono visitati almeno una volta al mese circa sessanta tra ammalati, persone sole e anziani.
Questi fratelli e queste sorelle chiedono solo di non essere dimenticati e di trovare nella comunità ecclesiale una disponibilità all’ascolto. Con il Lettore, l’Accolito, i Ministri Straordinari della Comunione, unitamente ai tanti volontari, si cerca di non trascurarli in queste loro attese, senza dimenticare di portare loro l’Eucaristia, nella certezza che solo la presenza di Gesù riesce a donare il conforto e la gioia di vivere con entusiasmo e nella solidarietà verso tutti nonostante la sofferenza.
Grazie alla scelta e benevolenza del nostro Vescovo sarà attivata negli ambienti pastorali la Mensa San Giuseppe, speriamo di renderla operativa già da questo inverno. Rappresenterà una ulteriore attenzione della comunità cristiana, vero le fasce più deboli e spesso comunità parrocchiale alle marginalità della nostra popolazione, spesso sono persone sole, altre volte persone assoggettate all’alcolismo, altre volte ancora situazioni di disorientamento sociale e familiare che hanno bisogno di un punto di riferimento. La mensa San Giuseppe opererà dal lunedì al venerdì preparando e offrendo pasti per una ventina di persone. Cercherà inoltre, di servire a domicilio coloro che potrebbero avere difficoltà a venire in parrocchia. Speriamo, attraverso il coinvolgimento di volontari, di concorrere a risollevare e dare speranza, a tutti coloro che possono avere bisogno di un pasto caldo, ma soprattutto di accoglienza e di affetto.
La Diocesi al servizio della Forania di Scalea
Dal 2013 opera attivamente a Scalea il Centro di Ascolto foraniale, non sempre compreso nella sua finalità principale che è quella di alimentare la speranza e di aiutare a rimuovere la disperazione. E’ una struttura di servizio che la Caritas diocesana mette a disposizione della Forania di Scalea per cui sono coinvolti e serviti anche i paesi vicini. Offre anche un contributo prezioso per le tante disperazioni del nostro tempo: pagamento di bollette o altre utenze, necessità delle famiglie presentate come bisognose dalle parrocchie di appartenenza. Questo è reso possibile dalla distribuzione territoriale di parte dell’8 per mille che la CEI assegna annualmente alla diocesi, al fine di andare incontro alle famiglie in difficoltà sociale ed economica.
La diocesi di San Marco Argentano - Scalea dal 2005 ha avviato l’esperienza delle Unità Pastorali, come Unità Pastorale, Scalea è formata dalle Parrocchie Santa Maria d’Episcopio, San Nicola di Platea, SS. Trinità e San Giuseppe Lavoratore, per alcune attività formative e servizi pastorali vi gravitano anche Santa Domenica Talao, San Nicola Arcella e Papasidero. “L’Unità Pastorale è guidata collegialmente dai parroci che vivono e operano in quel territorio; i quali si rapportano tra loro nel modo seguente: uno di essi è il Parroco Coordinatore, con il compito di dirigere l’attività pastorale concordata insieme con gli altri parroci. Perciò i singoli parroci conservano per la parrocchia di cui sono titolari, la facoltà di assistere ai matrimoni e di dispensare i sacramenti, rimangono parimenti titolari della rappresentanza giuridica della propria parrocchia; concordano invece con il parroco coordinatore, l’intera attività pastorale, compresi gli orari e le modalità delle celebrazioni”.
Attualmente, per la particolare conformazione ed estensione che ha il territorio, si programma insieme solo il cammino di formazione annuale per i fidanzati. Mentre le esperienze formative, fondamentali per la crescita dei battezzati che vi aderiscono e l’evangelizzazione della città, vengono coordinate nella dinamica della pastorale integrata, in comunione di intenti con i parroci che operano nella Unità Pastorale. Nelle parrocchie di Scalea tutte le Aggregazioni laicali sono interparrocchiali per cui, anche se purtroppo non sempre tutti operano con questo obbiettivo, le attività pastorali sono naturalmente orientate a una comprensione unitaria della evangelizzazione della Città.
Per valorizzare al meglio le energie di volontariato e le risorse destinate alla carità, si è scelto di operare come Unità Pastorale anche nelle attività caritative, mediante la creazione di due poli di servizio.
Nota Storica
La parrocchia ha ormai più di quaranta anni, ed è bene rileggerci nelle motivazioni che ne determinarono la fondazione. Voglio riportare, come memoria storica, il decreto vescovile di erezione della parrocchia, era un momento di espansione edilizia della nostra città, purtroppo questi nuovi insediamenti sono stati costruiti come una grande periferia, contrassegnata dall’anonimato urbano che spersonalizza le tante anime, anche molto belle e ricche dal punto di vista spirituale, che sono venute ad abitarvi.
Nelle località Fischia, Cotura, Arenella di Scalea, si è verificato in questi ultimi anni un considerevole sviluppo edilizio, con conseguente aumento della popolazione. Essa, per la distanza dalla chiesa parrocchiale di San Nicola in Platea, ha ricevuto particolare assistenza spirituale … in un locale terraneo messo a disposizione da un fedele.
La stessa popolazione grata di quest’opera e sensibile ad un’assistenza completa, ha reclamato la presenza costante e giuridicamente definita del sacerdote, anche perché ad essa, nei mesi estivi, si aggiungono numerosi turisti.
Pertanto, invocato il nome di Dio e della Beata Vergine Maria, col voto unanime del Capitolo Cattedrale e del Consiglio Presbiterale, col parere favorevole del Vicario Foraneo e dei due parroci di Scalea, siamo venuti nella determinazione di istituire, con la Nostra ordinaria autorità, la nuova parrocchia sotto il titolo di “San Giuseppe Operaio”, dismembrandola e dividendola dalle altre due parrocchie di “San Nicola di Platea” e “Santa Maria d’Episcopio”.
La nuova parrocchia è contenuta nei seguenti confini: a nord Canale Tirello fino al ponte di Via Lauro, Via Birago, Via fiume Lao fino alla Tenuta Marghetich, e lungo la Tenuta Margetich in linea retta fino al mare; ad est Ferrovia dello Stato, dalla stazione fino al Fiume Lao; a sud Fiume Lao; ad ovest Mar Tirreno.
Così abbiamo stabilito e così ordiniamo che sia fatto.
Dato a Cassano Jonio nel giorno dell’apparizione della Madonna di Lourdes
11 febbraio 1974
+ Domenico VACCHIANO, Vescovo
Nella responsabilità pastorale e canonica della comunità si sono succeduti: Mons. Antonio Didona (1974/1991), Don Michele Oliva (1991/2012), Mons. Cono Araugio (2012/…).
Cronistoria della Chiesa San Giuseppe Lavoratore
I lavori di costruzione della nuova chiesa, iniziarono in data 14 marzo 1977 e furono completati il 30 aprile 1978. Edificio moderno, modello di edilizia sacra contemporanea, venne progettato in ottemperanza alle esigenze della nuova liturgia dettata dal Concilio Vaticano II. A forma esagonale, con ampie vetrate. Di fronte all’abside è il pronao che poggia sulle due colonne dirimpettaie. Una lapide ricorda la consacrazione dell’edificio, celebrata da Mons. Antonio Cantisani, allora arcivescovo di Rossano, il 1° maggio 1978.
L’impianto strutturale della Chiesa è rimasto lo stesso, mentre l’area presbiterale negli anni 1999/2000, durante il ministero di Don Michele Oliva, ha avuto una rilettura in chiave convergente dell’assemblea verso l’altare centralizzato. Le finestre sono state istoriate con la rappresentazione di alcune scene bibliche dell’Antico Testamento e con i misteri del Santo Rosario (Laboratorio Rouge). L’interno della Chiesa è stato arricchito da dipinti, raffiguranti i Misteri della Luce (Pittore Faita). Sempre durante il suo ministero pastorale, è stato costruito il complesso pastorale della SS.Trinità, completato il 27 marzo 1999. Fu grande il suo impegno per la costruzione del Campanile, realizzato dopo aver superato molti contrarietà nel 2007. Tutto fu approvato, inaugurato e benedetto dal Vescovo Mons. Domenico Crusco.
Il Complesso ecclesiale della SS. Trinità, nato con la finalità di dare stabilità al servizio pastorale nell’area periferica della nostra parrocchia: Campo Volo, Pantano, Lintiscita, Impresa, Sant’Angelo. Dal 20 dicembre 2015 dal nostro Vescovo, Mons. Leonardo Bonanno, è stato eretto come nuova Parrocchia di Scalea. La sua composizione territoriale risulta composta da particole prese alle parrocchie di San Giuseppe Lavoratore, San Nicola in Plateis e dal Sacro Cuore di Gesù in Marcellina.
Negli anni 2013/2019 strutturalmente l’aula liturgica di San Giuseppe Lavoratore è stata restituita alla primitiva impostazione architettonica, con la ricomposizione della navata centrale orientata verso l’Altare. Inoltre gli spazi liturgici del Presbiterio, l’Ambone, il Battistero e la Via Crucis sono stati realizzati con la tecnica del mosaico (Bottega Russo), che rimane l’elemento decorativo qualificante della nostra aula liturgica.
Inoltre è stato realizzato il Campetto polivalente Don M. Oliva, raddoppiando conseguentemente gli spazi dei garage della parrocchia. E’ stata acquistata dalla diocesi, con contributo da parte della parrocchia, la quota della Canonica che era adibita ad abitazione del Vescovo.
Infine nel 2017, per la ricorrenza del 40° anno della fondazione, la Chiesa è stata ampliata per una migliore accoglienza dei numerosi fedeli che ordinariamente la frequentano. In questa occasione è stata realizzata la Cappella feriale che ha come Cuore il Tabernacolo ornato con Gesù misericordioso.
Tutto è stato approvato, sostenuto e benedetto dal nostro Vescovo Mons. Leonardo Bonanno.
Organismi di Partecipazione
Per portare avanti la missione che il Signore affida alla Parrocchia il Parroco si avvale per come previsto dai regolamenti diocesani del Consiglio per gli Affari Economici e del Consiglio Pastorale parrocchiale. Gli Statuti e i Regolamenti sono stati approvati dal Vescovo. I verbali degli incontri e i bilanci del CPAE e del CPP sono a disposizione dei fedeli sul sito della Parrocchia: www.parrocchiasangiuseppescalea.it
CONSIGLIO PARROCCHIALE AFFARI ECONOMICI
Scalea 1 gennaio 2015
Statuto
Art. 1
Il Consiglio Parrocchiale per gli affari economici della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore (qui di seguito più brevemente denominato (C.P.A.E.) costituito dal Parroco in attuazione del can. 537 del Codice di Diritto Canonico, è l'organo di collaborazione dei fedeli con il Parroco nella gestione amministrava della Parrocchia.
Art. 2
Il CPAE ha i seguenti scopi:
1. coadiuvare il parroco nel predisporre il bilancio preventivo della parrocchia, elencando le voci di spesa prevedibili per i vari settori di attività e individuando i relativi mezzi di copertura;
2. approvare alla fine di ciascun esercizio, previo esame dei libri contabili e della relativa documentazione, il rendiconto consuntivo;
3. esprimere il parere sugli atti di straordinaria amministrazione;
4. curare l'aggiornamento annuale dello stato patrimoniale della Parrocchia, il deposito dei relativi atti e documenti presso la Curia diocesana (can. 1284, § 2, n. 9) e l'ordinata archiviazione delle copie negli uffici parrocchiali.
Regolamento
Art. 1
Il C.P.A.E. è composto dal parroco, che di diritto ne è il Presidente, dai Vicari parrocchiali e da almeno tre fedeli nominati dal Parroco, sentito il parere del Consiglio Pastorale o, in sua mancanza, di persone mature e prudenti; i consiglieri devono essere eminenti per integrità morale, attivamente inseriti nella vita parrocchiale, capaci di valutare le scelte economiche con spirito ecclesiale e possibilmente esperti in diritto o in economia.
I loro nominativi devono essere comunicati alla Curia Diocesana almeno quindici giorni prima del loro insediamento.
I membri del C.P.A.E. durano in carica tre anni e il loro mandato può essere rinnovato.
Per la durata del loro mandato i consiglieri non possono essere revocati se non per gravi e documentati motivi.
Art. 2
Non possono essere nominati membri del C.P.A.E. i congiunti del Parroco fino al quarto grado di consanguineità o di affini e quanti hanno in essere rapporti economici con la parrocchia.
Art. 3
Spetta al Presidente:
1. la convocazione e la presidenza del C.P.A.E.
2. la fissazione dell'ordine del giorno di ciascuna riunione;
3. la presidenza delle riunioni.
Art. 4
Il C.P.A.E. ha funzione consultiva non deliberativa. In esso tuttavia si esprime la collaborazione responsabile dei fedeli nella gestione amministrativa della Parrocchia in conformità al can. 212, § 3. Il Parroco ne ricercherà e ne ascolterà attentamente il parere, non se ne discosterà se non per gravi motivi e ne userà ordinariamente come valido strumento per l'amministrazione della Parrocchia.
Ferma resta, in ogni caso, la legale rappresentanza della Parrocchia che in tutti negozi giuridici spetta al parroco, il quale è amministratore di tutti beni parrocchiali a norma del can. 532.
Art. 5
Il C.P.A.E. si riunisce almeno una volta a semestre (oppure una volta al quadrimestre), nonché ogni volta che il Parroco lo ritenga opportuno, o che ne sia fatta a quest'ultimo richiesta da almeno due membri del Consiglio.
Alle riunioni del C.P.A.E. potranno partecipare, ove necessario, su invito del Presidente, anche altre persone in qualità di esperti.
Ogni consigliere ha facoltà di far mettere a verbale tutte le osservazioni che ritiene opportuno fare.
Art. 6
Nei casi di morte, di dimissioni, di revoca o di permanente invalidità di uno o più membri del C.P.A.E., il Parroco provvede, entro quindici giorni, a nominarne i sostituti. I consiglieri cosi nominati rimangono in carica fino alla scadenza del mandato del Consiglio stesso e possono essere confermati dalla successiva scadenza.
Art. 7
L'esercizio finanziario della Parrocchia va dal 1°gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Alla fine di ciascun esercizio, e comunque entro il 31 marzo successivo, il bilancio consuntivo, debitamente firmato dai membri del Consiglio, sarà sottoposto dal Parroco al Vescovo diocesano.
Art. 8
Il C.P.A.E. presenta al Consiglio Pastorale Parrocchiale il bilancio consuntivo annuale e porta a conoscenza della comunità parrocchiale le componenti essenziali delle entrate e delle uscite verificatesi nel corso dell'esercizio nonché il rendiconto analitico dell'utilizzazione delle offerte fatte dai fedeli, indicando anche le opportune iniziative per l'incremento delle risorse necessarie per la realizzazione delle attività pastorali e per il sostentamento del clero parrocchiale.
Art. 9
Per la validità delle riunioni del Consiglio è necessaria la presenza della maggioranza dei consiglieri. I verbali del Consiglio, redatti su apposito registro devono portare la sottoscrizione del Parroco e del Segretario del Consiglio stesso e debbono essere approvati nella seduta successiva.
Art. 10
Per tutto quanto non contemplato nel presente regolamento si applicheranno le norme del Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Compongono il Consiglio per gli Affari Economici Parrocchiale per il triennio ...
CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE
Scalea 1 gennaio 2015
Statuto
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale è l’organismo di comunione e di partecipazione alla missione salvifica della Chiesa nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea, diocesi di San Marco Argentano – Scalea. Esso si propone di curare anzitutto la vita spirituale dei suoi membri e dell’intera parrocchia, con senso di grande carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo.
Art. 1
A norma del can. 536 de Codice di Diritto Canonico e sentito il giudizio di opportunità del Vescovo diocesano, in data 1 gennaio 2015 si costituisce nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea il C.P.P.
Art. 2
Il C.P.P. è organismo di comunione e di partecipazione responsabile alla vita della comunità. E’ organo consultivo, non ha compiti esecutivi, ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.
Art. 3
Il C.P.P. studia, valuta e propone indicazioni operative su tutto ciò che riguarda l’azione pastorale della parrocchia, elaborando un piano organico di evangelizzazione che tenga conto del contesto sociale e delle molteplici esigenze spirituali e temporali dell’intera comunità.
Art. 4
Il C.P.P., nel redigere il piano pastorale, dà indicazioni operative:
Regolamento
Art. 1
Il C.P.P. è formato:
· da membri di diritto: parroco
· da cinque membri eletti dalla comunità;
· da membri designati, delegati di ogni associazione, movimenti o gruppi operanti nella parrocchia: Catechisti, Gruppo Liturgico, Caritas, Comunità Maria, Responsabile Formazione Biblica, Coro parrocchiale, Gruppo di Preghiera di Maria Rifugio delle Anime.
· Dai rappresentanti i quartieri della parrocchia: San Giuseppe, Fischia, Madonnina, Cutura, Arenile, Gelsi. I delegati rappresentanti le Aggregazioni decadono allo scadere dei loro mandati associativi.
Art. 2
Il C.P.P. dura in carica tre anni, a conclusione del mandato i componenti possono essere rieletti per un secondo triennio. Solo eccezionalmente per un terzo mandato esecutivo.
Art. 3
Sono organi del C.P.P.:
1. la Presidenza, formata da: parroco, vice-presidente laico e segretario organizzativo;
2. l’Assemblea, che è composta da tutti i membri del C.P.P. che elegge un vice-presidente laico e un segretario.
Art. 4
Il C.P.P. si riunisce quattro volte all’anno su convocazione del presidente e ogniqualvolta il presidente o la maggioranza dei membri ne faccia richiesta. Per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e la maggioranza dei membri.
Art. 5
Sono elettori e possono essere eletti, tutti i cresimati che hanno compiuto il sedicesimo anno di età e che si distinguono per testimonianza di fede, buoni costumi e prudenza cristiana.
Art. 6
Il presidente indice le elezioni per la scelta dei membri del C.P.P., un mese prima, fissandone i tempi e le modalità.
Art. 7
Le elezioni si svolgono nei luoghi convenuti dal presidente e comunicati alla data dell’indizione delle elezioni.
Art. 8
I membri da eleggere sono cinque; sono votati in una lista unica, formata da tutti coloro che si rendono disponibili a far parte del C.P.P. Le preferenze da esprimere sono due. Al candidato eletto che rinuncia, subentra il primo dei non eletti.
Art. 9
L’ assemblea del C.P.P. è convocata con invito scritto, spedito o recapitato a mano a cura del segretario, che inoltre provvederà a compilare i verbali delle sedute, e curerà il registro dei medesimi che sarà custodito nell’archivio della parrocchia.
Art. 10
L’ avviso della convocazione conterrà l’ordine del giorno, la data e il luogo della seduta, con l’orario e i contenuti fissati dalla presidenza.
Art. 11
Le persone che fanno parte del C.P.P. accettano lo statuto e il regolamento e, si impegnano, a rispettarli e a farli rispettare.
Art. 12
Il C.P.P. decade con la sede parrocchiale vacante.
Art. 13
Per tutto quanto non è contenuto nel presente statuto e regolamento, si applicano le norme del Codice di Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Il Parroco si avvarrà della collaborazione attiva dei Responsabili dei Gruppi ecclesiali e degli Ambiti pastorali, con la componente eletta dall'assemblea il Consiglio Pastorale ad triennium.
Per cui, per il bene delle anime della Comunità parrocchiale, cooperano con il Parroco nell'analisi, nell'impostazione, nella programmazione e nella verifica del lavoro pastorale per il triennio …
La Vergine Maria ci incoraggia nel cammino
La gioia, di cui noi parliamo e che abita la nostra vita nel servire il Signore, deriva ed è conseguenza del nostro dimorare in Dio, deriva dal vivere costantemente nella preghiera e dalla disponibilità sempre nuova a celebrare il suo amore per noi. Di questo facciamo esperienza se siamo coscienti della nostra appartenenza a Cristo. Non possiamo concludere che meditando e invocando l’intercessione della Vergine Santa:
La figura di Maria
ci orienta nel cammino.
Questo cammino,
potrà apparirci un itinerario nel deserto;
sappiamo di doverlo percorrere
portando con noi l’essenziale:
la compagnia di Gesù,
la verità della sua parola,
il pane eucaristico che ci nutre,
la fraternità della comunione ecclesiale,
lo slancio della carità.
È l’acqua del pozzo
che fa fiorire il deserto.
E, come nella notte del deserto
le stelle si fanno più luminose,
così nel cielo del nostro cammino
risplende con vigore la luce di Maria,
Stella della nuova evangelizzazione,
a cui fiduciosi ci affidiamo.
Amen
(Papa Benedetto XVI)
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
II GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
Domenica XXXIII del Tempo Ordinario - 18 novembre 2018
Questo povero grida e il Signore lo ascolta
1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”. Chi scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità.
Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie. Sulla lunghezza d’onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti, può sentirsi escluso dall’amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi.
2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’atteggiamento del povero e il suo rapporto con Dio. Anzitutto, “gridare”. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero capaci di ascoltare i poveri.
E’ il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente.
3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. E’ stato così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza, nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’ accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’Egitto (cfr Es 3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto: quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva nella miseria peggiore, cioè l’infedeltà all’alleanza e l’idolatria (cfr Es 32,1-14).
La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto nei limiti dell’umano. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente, è come una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199) che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene.
4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali drammatiche. L’azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene spezzata dalla potenza dell’intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; […] hai posto i miei piedi in un luogo spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal “laccio del predatore” (cfr Sal 91,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino, perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e permette di sentire l’amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 187).
5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con Bartimeo, del quale parla l’evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’umanità… Come Bartimeo, quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (v. 49).
Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del rimprovero e dell’invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e, pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge ma li chiama a sé e li consola. Come risuonano appropriate in questo caso le parole del profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo […] dividere il pane con l’affamato, […] introdurre in casa i miseri, senza tetto, […] vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9).
6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa, e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua consolazione. Tuttavia, per superare l’opprimente condizione di povertà, è necessario che essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che, aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della vita della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198).
In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal22,27). Sappiamo che nel tempio di Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è stata un’esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’anno e in avvenire questa Giornata fosse celebrata all’insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica. Un’esperienza che ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’evangelista Luca descrive in tutta la sua originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45).
7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo realizzare. Riconoscere che, nell’immenso mondo della povertà, anche il nostro intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri, perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’obiettivo in maniera più efficace. Siamo mossi dalla fede e dall’imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità. Il dialogo tra le diverse esperienze e l’umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare.
Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21). L’Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt25,40).
8. Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna. Le parole dell’Apostolo sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ideale a cui tendere con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).
9. Una parola di speranza diventa l’epilogo naturale a cui la fede indirizza. Spesso sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm8,31-39). Scriveva santa Teresa d’Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di condivisione.
10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At6,1-7), insieme alle persone consacrate e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.
Dal Vaticano, 13 giugno 2018
Memoria liturgica di S. Antonio da Padova
Francesco
DIOCESI SAN MARCO ARGENTANO – SCALEA
Cetraro 15/16 settembre 2018 - Convegno diocesano
“Lo Spirito e la Sposa dicono vieni”
SITUAZIONE DELLA CARITAS NELLA DIOCESI
32 COMUNI 64 PARROCCHIE PER 112.000 ABITANTI
Forania di San Marco Argentano
N° 12 Comuni 22 Parrocchie per circa 35.000 abitanti 1CdA Foraniale (4 Operatori)
Caritas Parrocchiale Presente in 14 Parrocchie (9 CdA Parrocchiali) - 82 operatori pastorali coinvolti in volontariato puro - 4 giovani del servizio civile -6 unità lavorative coinvolte in modo annuale
Opere segno presenti:
1. Casa di accoglienza per viandanti a San Marco
2. Casa di accoglienza a Sant’Agata d’Esaro (sede progetto di servizio civile)
3. Centro diurno per anziani a Roggiano Gravina (Progetto Pluriennale)
4. Un centro di Aiuto alla vita (33 bambini seguiti) a Belvedere- Roggiano
Progetti futuri in fase di realizzazione:
1. Mensa del Buon Samaritano con casa accoglienza a San Marco Argentano
2. Centro di accoglienza e mensa a Roggiano Gravina
Forania di Belvedere Marittimo
N° 9 Comuni 21 Parrocchie per 37.000 abitanti 1CdA (Foraniale 3 Operatori)
Caritas Parrocchiale presente in 16 Parrocchie ( N° 9 CdA Parrocchiali) - 112 Operatori pastorali coinvolti in forme di volontariato - Nessuna sede del servizio civile (prima c’era quella di Bonifati in progetto attiveremo a Belvedere una nuova sede di servizio civile)
Opere segno presenti:
· Mensa del Buon Samaritano a Belvedere
· Casa di Accoglienza (per ora chiusa) a Bonifati
· Un centro d’Aiuto alla vita (33 bambini seguiti) a Belvedere- Roggiano
Progetti futuri in fase di realizzazione:
· Riqualificazione mensa a Praia a Mare e a Belvedere Marittimo
Forania di Scalea
N 11 Comuni 21 Parrocchie per 37.000 abitanti 1Cda Foraniale (3 Operatori)
Caritas Parrocchiale presente in 14 Parrocchie (N° 8 CdA Parrocchiali) - 78 Operatori pastorali coinvolti in forme di volontariato - Nessuna sede del servizio civile (prima c’era quella di Scalea in progetto attiveremo a Scalea un polo della Carità nella sede del Santuario della Madonna del Lauro con una nuova sede di servizio civile)
Opere segno presenti:
1. Accoglienza e integrazione di un senza fissa dimora (Praia a Mare)
2. Mensa dei poveri a Scalea (contiamo di riaprire subito)
3. Centro per Anziani a Verbicaro
Progetti futuri in fase di realizzazione:
1. Centro di accoglienza per senza dimora a Praia a Mare
2. Mensa riqualificata a Scalea
Ufficio liturgico Diocesano
La liturgia è il termine più alto a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la sorgente da cui promana tutta la sua forza. Difatti le fatiche apostoliche sono finalizzate a questo: che tutti, fatti figli di Dio per la fede e il Battesimo, si riuniscono in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e si nutrano alla mensa del Signore ( SC 10).
L’Ufficio liturgico coadiuva il vescovo nell’esercizio della missione che gli è propria di moderatore, custode e promotore della vita liturgica e per suo conto elabora proposte-direttive locali urgenti e norme per la loro applicazione. Predispone il calendario liturgico diocesano corredato delle necessarie istruzioni. Organizza la formazione dei ministri straordinari per la comunione, per il servizio alla proclamazione della Parola di Dio e segue la loro formazione. Offre sempre la propria collaborazione con le parrocchie e realtà ecclesiali che ne fanno richiesta.
Il Cerimoniere vescovile: cura lo svolgimento delle celebrazioni liturgiche del vescovo. Coordina il servizio liturgico di diaconi, ministri e ministranti. Prepara i libretti per le varie celebrazioni diocesane (ordinazioni, consacrazioni delle Chiese).
Il Coro Diocesano: anima le celebrazioni che vedono la presenza di tutta la comunità diocesana presieduta dal vescovo. Prima fra tutte la Messa crismale del Giovedì santo, le ordinazioni sacerdotali, i convegni altre celebrazioni in Cattedrale. Il coro è aperto ad accogliere tutti coloro che vogliono fare esperienza di servizio alla Diocesi.
Iniziative di Formazione: convegno annuale diocesano liturgico (mese di maggio); ogni terza domenica del mese Formazione dei diaconi permanenti e ministeri istituiti( inizio mese di Novembre - Maggio); aggiornamento per i diaconi Permanenti e i ministeri istituiti (Sila mese di Giugno); Festa di san Lorenzo (10 Agosto per i diaconi permanenti). Da quest’anno formazione dei sacristi e i loro collaboratori (ci saranno due incontri nel mese di Ottobre e giugno sede colonia san Benedetto). Rinnovo annuale del mandato dei ministri straordinari della comunione.
Attualmente la diocesi registra 10 diaconi permanenti( uno fuori sede); in 30 parrocchie sono presenti i Ministri Straordinari della Comunione; 6 Accoliti istituiti; 5 Lettori istituiti. 3 Accoliti in cammino di formazione per il diaconato permanente.
I Ministeri Ecclesiali al servizio della sacralizzazione del tempo e della vita di comunità
Questionario di riflessione per il lavoro di gruppo
· Di quali ministeri liturgici ha bisogno la tua comunità?
· La tua comunità ha mai sentito parlare dei Lettori e degli Accoliti istituiti che cosa pensi in proposito?
· Nella tua parrocchia come si svolge la proclamazione delle letture? Chi legge? Da dove legge? Legge sul lezionario o sul foglietto?
· Nella tua Chiesa la sacralità dell’altare è rispettata? Le tovaglie dell’altare vengono cambiate regolarmente? Oppure, per salvaguardarle, si provvede a coprirle con lastre di vetro o teli di plastica?
· Il Concilio Vaticano II ha ripristinato nella Chiesa latina il diaconato permanente. Nella tua parrocchia operano diaconi permanenti? Quali sono le loro mansioni e come li valuta la comunità?
· Come è percepito nella tua comunità il rapporto tra Sacerdozio battesimale e Sacerdozio ordinato?
· Come evitare di consegnare la ministerialità liturgica nelle mani di qualche “ fissato”, che non si muove all’insegna dell’umiltà e della carità, ma della dominazione e dell’aggressività?
· Nella tua Chiesa l’Ambone è rispettato quale segno sacrale della Parola di Dio? È ben visibile? È disposto secondo le direttive della riforma liturgica? È un Ambone fisso; o un semplice leggio stabile?
· Come evitare che il sincero interesse per l’ars celebrandi sia sospettato di vuota teatralità e di “ ritorno all’indietro”
· Come evitare che la liturgia cambi radicalmente da un parroco all’altro?
Relazione Programmatica anno pastorale 2018/2019
Il nostro Vescovo ha incoraggiato a celebrare la Festa dell’Incoronata del Pettoruto con queste parole: Lo scorso anno per le vie della Diocesi l’immagine della Madonna di Fatima è passata benedicendo nel nome del Figlio. E’ ancora vivo nei nostri cuori il ricordo di quell’evento mariano che si è concluso con la consacrazione della Diocesi, al Cuore Immacolato di Maria.
Per sostenere una pastorale diocesana attiva e fortemente orientata alla costruzione della speranza delle nostre comunità parrocchiali è stato organizzato questo convegno “Lo spirito e la sposa dicono vieni”. Anche quest’anno verrà proposto alle comunità parrocchiali e alle Unità Pastorali l‘opera evangelizzatrice dei Centri di ascolto nei quartieri, per vivere questa azione affidataci dal Signore nella dinamica missionaria. Il testo proposto incoraggia a mettere maggiormente in risalto l’opera orante e liturgica della comunità cristiana.
E’ sempre il nostro Vescovo che, ci sollecita: «In particolare si sente il bisogno di presentarci davanti a lei con cuore penitente consapevoli di far parte di un mondo che si sta sempre più allontanando da Dio e dalla sua legge per dare spazio agli idoli simboleggiati dal potere e dal denaro. Una vera devozione a Maria costituisce oggi più che nel passato motivo per rinsaldare la nostra fede cristiana e testimoniarla in virtù del nostro battesimo. Il convegno intende approfondire alcune tematiche per una riflessione ecclesiale che porti frutto all’interno della nostra Chiesa».
Anche il Santo Padre a incoraggia con vigore la via della preghiera, nella certezza che occorre evangelizzare guidati dall’azione dello Spirito Santo, gli evangelizzatori sono prima di tutto persone che pregano, si pongono in ascolto della volontà di Dio e perseguono con coerente testimonianza la via della santità.
Questo testo dell’Apocalisse, presenta i due protagonisti in un dialogo in cui è coinvolta tutta l’assemblea dei credenti e vi si inserisce anche lo Sposo, Cristo: «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!... Colui che attesta queste cose dice: Sì, vengo presto! Amen. Vieni, Signore Gesù!» (22,17.20). Siamo all’interno di una liturgia della Chiesa giovannea: «l’assemblea liturgica, animata dallo Spirito Santo che la guida nel discernimento degli eventi e dei segni dei tempi, aspira a una presenza totale di Cristo anche nella storia.
E’ una liturgia viva che vivifica i cuori di coloro che vi partecipano. La liturgia eucaristica è l’energia che anima ogni comunità cristiana. La presenza dello Sposo nella comunità che celebra, che prega rende presente i cieli nuovi e la terra nuova. La parola dominante è “venire”, che sottolinea l’attesa della Chiesa, animata dallo Spirito di Dio. Emerge, così, il legame intimo nuziale della Chiesa con il suo Sposo, che è Cristo, attraverso l’azione dello Spirito Santo. La Chiesa aspetta con ansia che Cristo sia percepito vivo nelle strade della storia, nella vita delle comunità, nelle nostre vicende per vivificarle con il dono del suo amore.
Il Santo Padre riprendendo Sant’Ambrogio, ci aiuta a rileggere e a vitalizzare alcune esperienze ecclesiali: Spesso, le nostre comunità sono flaccide, stanche, abituate al grigiore in cui è immersa la società contemporanea. Risuona, allora, forte l’appello dell’Apocalisse a ritrovare la freschezza nuziale, quella del fidanzamento, e a rivivere la tensione dell’attesa per un nuovo abbraccio perfetto e totale. Lo Spirito ha proprio questa funzione: tenere viva in noi la speranza di rivedere in pienezza lo Sposo Cristo.
Gesù sta alla porta della Chiesa, anche di quella “Chiesa domestica” che è la famiglia, e bussa: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). L’aramaico Maranatha è una parola che si può comprendere in due forme. La prima è Maran’ atha’, «il Signore è venuto». È la professione di fede nell’Incarnazione, cioè nella venuta storica di Cristo nel mondo, per cui egli è presente nella Chiesa con la sua salvezza già a noi offerta. La seconda è Marana’ tha’, «Signore, vieni» È il sospiro della Sposa, spinta a questa invocazione dallo Spirito Santo, nella certezza della venuta futura del Signore.
Il Santo Padre nella terza parte dell’EG Evangelizzatori con Spirito, sottolinea il valore dell’azione dello Spirito Santo, l’impegno della preghiera, la gioia della testimonianza cristiana, la piena valorizzazione dei carismi. E’ lo stesso Santo Padre a delineare le finalità di questa parte della Evangelii Gaudium: In quest’ultimo capitolo … Non pretendo di rimpiazzare né di superare la tanta ricchezza di tradizione spirituale della Chiesa. Semplicemente proporrò alcune riflessioni circa lo spirito della nuova evangelizzazione. (EG260). Con grande intensità spirituale propone a tutti noi la Vergine Santa come modello di servizio e di santificazione, affida a Lei, alla Sua premurosa intercessione tutto quanto la Chiesa ha bisogno per essere, anche nel nostro tempo, presenza di pace e di speranza.
Nel sussidio per l’animazione dei Centri di Ascolto tutto è iniziato con la preghiera alle Vergine Santa e tutto si conclude con la invocazione alla Vergine Santa che nella preghiera viene proposta come una icona da contemplare, da imitare, da sentire presente nella propria vita sempre.
La chiamata universale alla santità nel mondo contemporaneo viene elaborata nel suo itinerario e proposta, come impegno ordinario di coerenza cristiana, nell’esortazione Gaudete et Exultate che, rappresenta la naturale continuazione, integrazione e completamento di quest’ultima parte dell’Evangelii Gaudium.
L’amore cristiano è la novità permanente del Vangelo da proporre all’uomo del nostro tempo, anche a coloro che non professano la fede cristiana. Nella riflessione sulle Beatitudini, viene proposta la via privilegiata e universale per rendere presente il Regno di Dio. I Centri di Ascolto devono essere vissuti come un cammino di preghiera e di ricerca interiore orientato alla santità, al discernimento e all’armonia sociale.
Come ci è stato proposto nelle riflessioni degli ambiti pastorali e nel lavoro dei gruppi, la chiamata universale alla santità deve essere vissuta con semplicità nella vita quotidiana della comunità familiare e parrocchiale. Occorre seguire con fedeltà i ritmi dell’anno liturgico e degli itinerari di catechesi, alcuni temi relativamente innovativi, i sussidi sono nella cartella, esigono ai nostri giorni una particolare dedizione e collaborazione con gli Uffici diocesani:
· Cooperare per la Salvaguardia del Creato da inserire stabilmente nelle attività pastorali parrocchiali, diffondendo e approfondendo il messaggio annuale dei Vescovi. Quest’anno ci viene ricordato che: È importante operare assieme, perché possiamo tornare ad abitare la terra nel segno dell'arcobaleno, illuminati dal «Vangelo della creazione»;
· Educare alla conoscenza e alla comprensione della Parola di Dio, la nostra è una società caratterizzata dalla volontà di distruggere il bene e la sua radice che è la fede, perciò è importante che in ogni parrocchia si attivino Centri di Formazione Biblica. La Domenica della Parola è da valorizzare maggiormente nella pastorale ordinaria mediante attività orientate alla sua diffusione nelle famiglie, la Parola libera dalle paure del mondo e dona la gioia di sentirsi amati da Dio;
· Amare i poveri nelle diverse categorie interpretative di questa presenza: spirituale, materiale, sociale. Ci camminano accanto, il Signore li dona come compagni di viaggio ma che non sempre li accogliamo come parte della nostra comunità e della nostra crescita cristiana. La giornata della povertà deve essere vissuta nella comunità con il coinvolgimento di tutta la parrocchia per restituire alla Chiesa il ruolo di accoglienza per coloro che si sentono emarginati e bisognosi di attenzione che gli è proprio, fin dai primi tempi della comunità di Gesù.
· E’ indispensabile nelle comunità parrocchiali un maggiore impegno per il sostegno economico alla Chiesa, vedi le Campagne Sovvenire per l’8xMille e la sensibilizzazione e la partecipazione delle parrocchie all’operazione TuttixTutti.
Riprendendo ancora quanto affermato dal nostro Vescovo: L’obiettivo di questo anno pastorale è quello di aiutare i Battezzati a sentirsi maggiormente protagonisti e responsabili nei tanti ministeri loro affidati dalla Chiesa, valorizzando i munus battesimali dei quali sono depositari per Grazia. Riteniamo di dover sottolineare che quanto viene proposto per la meditazione nei sussidi, è orientato a maturare una migliore comprensione dell’opera di Dio nella nostra fragilità umana mediante la pratica del discernimento spirituale. Questo impegno formativo esige una più stabile disponibilità al dialogo spirituale con i sacerdoti per il Sacramento della riconciliazione, senza mai trascurare la direzione spirituale. Per comprendere meglio il valore del discernimento, in una sceda, proponiamo alcune sottolineature fatte dal Santo Padre, nell’incontro con i seminaristi dei seminari romani.
Quanto proposto e affidato alla vostro impegno nelle comunità parrocchiali, sarà ampiamente sostenuto e riflettuto durante questo anno pastorale negli incontri di formazione diocesani per i sacerdoti, le religiose e i laici. Concludo questi orientamenti pastorali con la stessa preghiera che il Santo Padre, volendo affidare il cammino di santità della Chiesa alla Vergine Santa, esprime nella Gaudete et Exultate:
Signore Dio nostro, che la Vergine Maria coroni queste riflessioni,
perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù.
Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio,
colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada.
È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna.
Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci.
Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica.
La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede.
Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria…».
QUARESIMA 2018: Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti (Mt 24,12)
Cari fratelli e sorelle,
ancora una volta ci viene incontro la Pasqua del Signore! Per prepararci ad essa la Provvidenza di Dio ci offre ogni anno la Quaresima, «segno sacramentale della nostra conversione», che annuncia e realizza la possibilità di tornare al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita. Anche quest’anno, con il presente messaggio, desidero aiutare tutta la Chiesa a vivere con gioia e verità in questo tempo di grazia; e lo faccio lasciandomi ispirare da un’espressione di Gesù nel Vangelo di Matteo: «Per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà»
Questa frase si trova nel discorso che riguarda la fine dei tempi e che è ambientato a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, proprio dove avrà inizio la passione del Signore. Rispondendo a una domanda dei discepoli, Gesù annuncia una grande tribolazione e descrive la situazione in cui potrebbe trovarsi la comunità dei credenti: di fronte ad eventi dolorosi, alcuni falsi profeti inganneranno molti, tanto da minacciare di spegnere nei cuori la carità che è il centro di tutto il Vangelo.
I falsi profeti
Ascoltiamo questo brano e chiediamoci: quali forme assumono i falsi profeti? Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!
Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. E’ l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.
Un cuore freddo
Dante Alighieri, nella sua descrizione dell’inferno, immagina il diavolo seduto su un trono di ghiaccio; egli abita nel gelo dell’amore soffocato. Chiediamoci allora: come si raffredda in noi la carità? Quali sono i segnali che ci indicano che in noi l’amore rischia di spegnersi? Ciò che spegne la carità è anzitutto l’avidità per il denaro, «radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10); ad essa segue il rifiuto di Dio e dunque di trovare consolazione in Lui, preferendo la nostra desolazione al conforto della sua Parola e dei Sacramenti. Tutto ciò si tramuta in violenza che si volge contro coloro che sono ritenuti una minaccia alle nostre “certezze”: il bambino non ancora nato, l’anziano malato, l’ospite di passaggio, lo straniero, ma anche il prossimo che non corrisponde alle nostre attese.
Anche il creato è testimone silenzioso di questo raffreddamento della carità: la terra è avvelenata da rifiuti gettati per incuria e interesse; i mari, anch’essi inquinati, devono purtroppo ricoprire i resti di tanti naufraghi delle migrazioni forzate; i cieli – che nel disegno di Dio cantano la sua gloria – sono solcati da macchine che fanno piovere strumenti di morte. L’amore si raffredda anche nelle nostre comunità: nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho cercato di descrivere i segni più evidenti di questa mancanza di amore. Essi sono: l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la tentazione di isolarsi e di impegnarsi in continue guerre fratricide, la mentalità mondana che induce ad occuparsi solo di ciò che è apparente, riducendo in tal modo l’ardore missionario.
Cosa fare?
Se vediamo nel nostro intimo e attorno a noi i segnali appena descritti, ecco che la Chiesa, nostra madre e maestra, assieme alla medicina, a volte amara, della verità, ci offre in questo tempo di Quaresima il dolce rimedio della preghiera, dell’elemosina e del digiuno. Dedicando più tempo alla preghiera, permettiamo al nostro cuore di scoprire le menzogne segrete con le quali inganniamo noi stessi,[5] per cercare finalmente la consolazione in Dio. Egli è nostro Padre e vuole per noi la vita.
L’esercizio dell’elemosina ci libera dall’avidità e ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello: ciò che ho non è mai solo mio. Come vorrei che l’elemosina si tramutasse per tutti in un vero e proprio stile di vita! Come vorrei che, in quanto cristiani, seguissimo l’esempio degli Apostoli e vedessimo nella possibilità di condividere con gli altri i nostri beni una testimonianza concreta della comunione che viviamo nella Chiesa. A questo proposito faccio mia l’esortazione di san Paolo, quando invitava i Corinti alla colletta per la comunità di Gerusalemme: «Si tratta di cosa vantaggiosa per voi» (2 Cor 8,10). Questo vale in modo speciale nella Quaresima, durante la quale molti organismi raccolgono collette a favore di Chiese e popolazioni in difficoltà. Ma come vorrei che anche nei nostri rapporti quotidiani, davanti a ogni fratello che ci chiede un aiuto, noi pensassimo che lì c’è un appello della divina Provvidenza: ogni elemosina è un’occasione per prendere parte alla Provvidenza di Dio verso i suoi figli; e se Egli oggi si serve di me per aiutare un fratello, come domani non provvederà anche alle mie necessità, Lui che non si lascia vincere in generosità?
Il digiuno, infine, toglie forza alla nostra violenza, ci disarma, e costituisce un’importante occasione di crescita. Da una parte, ci permette di sperimentare ciò che provano quanti mancano anche dello stretto necessario e conoscono i morsi quotidiani dalla fame; dall’altra, esprime la condizione del nostro spirito, affamato di bontà e assetato della vita di Dio. Il digiuno ci sveglia, ci fa più attenti a Dio e al prossimo, ridesta la volontà di obbedire a Dio che, solo, sazia la nostra fame.
Vorrei che la mia voce giungesse al di là dei confini della Chiesa Cattolica, per raggiungere tutti voi, uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio. Se come noi siete afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo, se vi preoccupa il gelo che paralizza i cuori e le azioni, se vedete venire meno il senso di comune umanità, unitevi a noi per invocare insieme Dio, per digiunare insieme e insieme a noi donare quanto potete per aiutare i fratelli!
Il fuoco della Pasqua
Invito soprattutto i membri della Chiesa a intraprendere con zelo il cammino della Quaresima, sorretti dall’elemosina, dal digiuno e dalla preghiera. Se a volte la carità sembra spegnersi in tanti cuori, essa non lo è nel cuore di Dio! Egli ci dona sempre nuove occasioni affinché possiamo ricominciare ad amare. Una occasione propizia sarà anche quest’anno l’iniziativa “24 ore per il Signore”, che invita a celebrare il Sacramento della Riconciliazione in un contesto di adorazione eucaristica. Nel 2018 essa si svolgerà venerdì 9 e sabato 10 marzo, ispirandosi alle parole del Salmo 130,4: «Presso di te è il perdono». In ogni diocesi, almeno una chiesa rimarrà aperta per 24 ore consecutive, offrendo la possibilità della preghiera di adorazione e della Confessione sacramentale.
Nella notte di Pasqua rivivremo il suggestivo rito dell’accensione del cero pasquale: attinta dal “fuoco nuovo”, la luce a poco a poco scaccerà il buio e rischiarerà l’assemblea liturgica. «La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito», affinché tutti possiamo rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus: ascoltare la parola del Signore e nutrirci del Pane eucaristico consentirà al nostro cuore di tornare ad ardere di fede, speranza e carità.
Francesco
Scalea 10 ottobre 2012 - Saluto a Don Michele
Caro Don Michele,
anche io sono qui, a nome mio e di tutte le aggregazione laicali presenti nella nostra Parrocchia: Azione Cattolica, Cammino Neocatecumenale, Comunità Maria, Gruppo Cuore Immacolata di Maria Rifugio delle Anime, Gruppo delle lodi mattutine, Caritas Mano Amica.
La tua dipartita da questa vita ci ha colto tutti di sorpresa, in questi giorni ci siamo uniti in preghiera, abbiamo sperato contro ogni speranza: il nostro Don è forte, tornerà tra noi, il Signore ce lo restituirà, erano queste le nostre convinzioni!
Così non è stato: le vie del Signore non sono le nostre vie, avresti detto tu, e anche dalle cose tristi, il Signore saprà trarre cose buone".
E' questa fiducia nel Signore, che ci hai insegnato, a sorreggerci per andare avanti. La nostra crescita spirituale, la dobbiamo a te, alla tua premura, al tuo zelo, alla tua perseveranza, alle tue esortazioni.
I vari cammini di fede, hai sempre detto, sono come fiori diversi, con profumi diversi, in un giardino che è la Chiesa. Essi contribuiscono con la loro diversità a rendere bello e profumato questo giardino.
Ci hai sempre sostenuto e accompagnato, facendoci camminare con le nostre gambe, ma assicurandoci sempre la tua presenza che ci dava sicurezza, e là dove ci fosse stato qualche dubbio, vi era pronta la tua risposta a chiarificarcelo. Hai seminato la Parola di Dio a larghe mani, e hai suscitato in noi il bisogno di quella " Parola ".
Hai sempre desiderato la comunione tra di noi, solitamente dicevi: "se non c'è comunione, ciò che facciamo ha poco valore"! E così sono nati i ritiri delle "aggregazioni laicali" nei tempi forti dell'anno liturgico, dove insieme si programma, dove insieme si riflette, dove insieme ci si confronta .............. e poi, condividere l'agàpe era per te una nota di fraternità che non poteva mancare!
Sei stato un vulcano di idee, di proposte, di iniziative, quante volte scherzando ti dicevo: ma non dormi la notte, pensi a cosa devi fare il giorno? E tu con un mezzo sorriso annuivi. Ti ricorderemo così. entusiasta delle cose di Dio, amante della preghiera, sempre al passo con la Chiesa, con i suoi documenti da conoscere e approfondire!
Domani, inizia l'anno della fede, indetto dal Santo Padre ............... eravamo tutti pronti per andare a San Marco, per la concelebrazione, ci hai fatto uno scherzo : per la prima volta non verrai con noi! Te ne sei andato lassù, è lì che inizierà il "tuo" anno della fede. Per noi si è spenta una luce, ma sempre per noi si è acceso un faro nel cielo che continuerà a guidarci! Grazie, infinitamente grazie, Don Michele.
Adesso se ci fosse stato lui avrebbe detto ….
Carmela Sforza
NOI AMIAMO SCALEA - Verbale dell’incontro di Domenica 29 ottobre
Alle ore 20,30 ci siamo incontrati nel salone parrocchiale per fare una verifica dell’incontro con le istituzioni e i cittadini vissuto all’inizio del mese. Prima di tutto Don Cono ha chiarito che la sua presenza deve essere intesa come la presenza anche degli altri parroci di Scalea con i quali si confronta stabilmente e definisce al linea da seguire. Ha anche chiarito che l’incontro non è stato positivo semplicemente perché si è all’inizio di un cammino e ancora la comprensione tra coloro che partecipano non è ancora ottimale.
A seguire espongo una sintesi di quanto emerso dagli interventi degli altri che erano presenti: L’incontro è stato abbastanza positivo, però sarebbe stato opportuno dare più spazio alle preoccupazioni dei cittadini. Quel giorno si è fatto fatica ad accogliere le istanze dei cittadini, anche perché è mancato il tempo dei possibili interventi. La sollecitazione delle associazioni, sintetizzata nella relazione introduttiva, non ha trovato molto riscontro negli interventi del Questore, del Sindaco e del Vescovo. Positiva la proposta sul piano dell’impegno per il territorio, ma poco inerente sulle sollecitazioni espresse.
Si è anche affrontato il problema degli interventi polemici e, anche in questo caso, poco inerenti alle tematiche trattate durante le assemblee, che comunque ha messo in risalto la nostra impreparazione ad affrontare, pubblicamente, argomenti di cui si era anche parlato ampiamente nelle assemblee che lo avevano preceduto e che riguardavano le emergenze estive, il problema delle denunce, la spazzatura e via a seguire.
La parte più interessante di questo incontro è stata la presentazione dei vari delegati delle associazioni.
Per il Moto Club Scalea era presente Romano, che ha parlato delle attività che sta portando avanti e ha anche introdotto l’iniziativa di Asso Scalea, orientata ad animare gratuitamente Scalea. La trasparenza è alla base di ogni iniziativa, tutto è orientato al bene della città. Una delle iniziative ormai stabilizzate è Viviamo il Natale a Scalea. Dall’incontro si aspettava qualcosa in più. Le vittime denunciano ma non sempre trovano ascolto nelle istituzioni. Occorre continuare a sostenere le iniziative orientate alla legalità.
Massimo Balbo ha parlato per l’Associazione Scalea Creativa, no profit orientata alla vivacità della città. Ha espresso il suo consenso sul prosieguo delle relazione tra le associazioni. Portare avanti l’impegno di eliminare ogni forma di violenza anche nei bambini.
Don Cono ha parlato dell’attività portata avanti per il mondo della scuola sul Cyberbullismo. Una esperienza molto positiva che meriterebbe più spazio e continuità nella proposta.
Era presente Ludovico Cava per la Banda Città di Scalea, una aggregazione che opera per sostenere la crescita dei ragazzi. Poi Giovanni Oliva ha sottolineato il pericolo di generare una concorrenza tra enti educativi che non aiuta la relazionata’ tra le varie associazioni.
Germano per l’incontro con il Questore avrebbe preferito che fosse stato organizzato con domande e risposte, ma ancora una volta è stato ribadito che non si era preparati a vivere questo modello di dibattito pubblico. Ci sono vittime di vittime del bullismo anche tra gli adulti, uno di questi esempi sono Caterina e Giacomino. Ragazzi, giovani e anche degli adulti si divertono e questo può generare il rischio di generare il salto di qualità per la delinquenza.
Giulia Conforti è intervenuta per la Compagnia dell’Aranciata, orientata a trasmettere la tradizione mediante lo spettacolo sulla cultura dell’ambiente. Chiusa per Mancanza di ricambio generazionale tra i partecipanti. Ha parlato anche dell’esperienza di Mondi Vicini, che si sforza di emancipare il commercio equo solidale per educare alla mondialità. Dopo momenti di entusiasmo attualmente viene gestita a livello familiare con la partecipazione di alcuni esterni.
Irma ha introdotto il suo servizio per l’Azione Cattolica, che cura con particolare attenzione gli adulti e si dedica per come è possibile alle povertà del territorio. Lo sforzo è quello di portare avanti insieme l’impegno della crescita sociale, spirituale e legale a Scalea.
Fabio Cifuni ha introdotto ai progetti della Cooperativa Germano, orientata a realizzare un orto sociale a Scalea per portare avanti l’impegno solidale, di condivisione e di apertura al territorio. Ha avviato in questi giorni una catena di prodotti tipici calabresi con la denominazione Scaliando da diffondere e immettere sul mercato.
Laura Calvano è intervenuta come scout, una associazione da oltre trenta anni vive il suo servizio educativo a Scalea. Un servizio orientato alla crescita del territorio nella gratuità e in un sincero spirito di solidarietà e di condivisione per la emancipazione della realtà. Anche in questo caso si devono fare i conti con le energie che ogni associazione riesce ad Esprimere. L’impegno maggiore rimane quello di vivere da sentinella sul disagio giovanile.
In chiusura c’è stato l’intervento di Franco Celano che ha messo in risalto l’esigenza di una maggiore interazione tra le istituzioni e il territorio, e sulla Prevenzione della salute da lui portata avanti nella gratuita più assoluta.
L’incontro è terminato alle ore 22,30 e ci si è dato appuntamento per Domenica 5 novembre sempre alle ore 20,30 nel salone parrocchiale. L’obbiettivo è coordinare un incontro pubblico sulla vivibilità a Scalea.
Noi Amiamo Scalea – Relazione del Sacerdote Cono Araugio
Chiesa San Giuseppe Lavoratore - Convegno 5 ottobre 2017
Quello che vi comunico è emerso dagli incontri vissuti a Scalea nel mese di settembre, ai quali hanno aderito delegati delle parrocchie, molte associazioni, cittadini e gruppi di turisti che amano Scalea. E’ un’opera di supplenza che facciamo come Chiesa, di sostegno agli altri Enti preposti al bene comune del territorio, orientata a leggere meglio la realtà sociale nella quale viviamo. Sono stati incontri spontanei, tra persone che guardano con attenzione alle situazioni di povertà che affliggono tante famiglie, e vivono la volontà sforzandosi di orientare la vita sulla via della legalità, non girandosi dall’altra parte di fronte ai problemi ma valorizzando la dinamica della denuncia e dell’impegno personale per richiamare l’attenzione degli Enti preposti e incoraggiare la partecipazione dei cittadini al bene comune.
L’esigenza di questi incontri è nata dalla sensazione viva e dal timore di una ripresa delle attività malavitose nell’alto tirreno cosentino. La nostra città è formata soprattutto da persone che con la loro vita di sacrifici vorrebbero poter costruire il futuro dei propri figli nella serenità sociale e nella pace, ha una struttura sociale molto fragile perché è composta da un’aggregazione multiculturale determinata da varie ondate migratorie. Inizialmente i paesi limitrofi: San Nicola Arcella, Verbicaro, Santa Domenica Talao, Papasidero, Orsomarso; quindi una folta comunità reggina per il lavoro nella ferrovia, negli anni del boom economico in chiave commerciale ed edilizio l’hinterland napoletano, turisticamente è frequentata in modo complesso e non sempre gestibile da centinaia di migliaia di persone, infine stanno popolando alcuni quartieri le ondate migratorie dalla Polonia, Ucraina, Russia, Romania, Marocco, Senegal, Pakistan e altri. Questo ci può far affermare che a Scalea convivono molteplici culture e tradizioni religiose che hanno bisogno di incontrarsi, di dialogare, di relazionarsi in modo attivo e dinamico.
Questa complementarietà sociale, non sempre colta nella sua preziosità, genera solitudine e in questo caso incoraggia a vivere atteggiamenti di chiusura, dove le parola dialogo e solidarietà non sempre riescono a trovare lo spazio necessario. Pensare di vivere chiudersi al mondo che ci circonda è una illusione, nel nostro tempo nessuno può vivere isolandosi, ma solo coinvolgendosi e impegnandosi per la crescita del bene comune. Speriamo di riuscire a generare relazioni nuove tra le associazioni per sostenere coloro che sono nella solitudine e nella povertà, per non lasciare soli coloro che si trovano a lottare contro la prevaricazione e la violenza. La risposta della comunità scaleota semplice e corale, esprime la ferma volontà di cambiare, anche se non sempre a questo impegno, iniziato già da tempo e che è sotto gli occhi di tutti, si riesce a dare continuità e a trovare interlocutori forti e credibili. Non ci si è fermati alle analisi ma sono emerse anche idee sul come procedere perché Scalea si restituisca ad una vivibilità socialmente più connaturale di comprensorio variegato che aggrega stabilmente migliaia di persone e possa corrispondere sempre meglio alla sua vocazione turistica.
Alcune situazioni sono difficili da leggere senza un supporto qualificato e attento del complesso fenomeno della vivibilità del territorio, le analisi non possono essere localizzate in questo o quel centro, ma il tutto deve essere sempre letto in modo esteso. Certamente si deve affermare che comunque il malessere intimidatorio, anche in questi ultimi mesi, ha colpito molte persone, ha generato sgomento nelle vittime e per estensione alle loro famiglie, di fronte a questi fatti spesso stentiamo a diventare la voce delle vittime, viviamo in una società nella quale si corre il rischio di perdere di vista la persona da aiutare perché sembra dia più importanza alle cose da fare. Tra le priorità percepite come disservizi e che meritano una maggiore attenzione in via ordinaria, ma soprattutto durante il periodo estivo, elenco le seguenti:
· la mancanza di una visibile copertura legale del territorio da parte delle forze preposte alla vigilanza e alla tutela della legalità, corre il rischio di generare la crescita esponenziale della violenza gratuita, ed emancipare l'azione di coloro che dell’illegalità fanno il senso della loro vita;
· una prevaricazione diffusa rispetto alla legge, che moralmente e legalmente possiamo definire corruzione, che significa ricevere favori in cambio di ciò di cui si ha diritto, inoltre lo sfruttamento illegale dei lavoratori, da parte di molti imprenditori per i servizi richiesti, subiti dai lavoratori per il timore di perdere il lavoro anche se precario;
· una confusa gestione della raccolta differenziata, che in alcune fasi del periodo estivo è sembrata diventare raccolta indifferenziata;
· le informazioni sul possibile inquinamento del mare, gestite in modo poco tempestivo e non sempre trasparente, il problema delle spiagge libere spesso inutilizzabili per la mancanza di manutenzione ordinaria.
L’impegno politico da solo non ce la può fare a riportare il paese in un giusto equilibrio, per non continuare a vedere la città preda del disagio e della illegalità da cui è afflitto, è importante vivere da parte di tutti l’educare la coscienza dei giovani alla legalità, al rispetto, all'essere parte attiva di una comunità, in questa azione è insostituibile l’azione attiva della scuola, delle parrocchie, ma è insostituibile anche l’impegno delle tante associazioni. La diffusa situazione di "povertà” da intendere in senso sociale e morale, può distogliere i ragazzi e i giovani dall’impegno di costruire la propria vita. La grave responsabilità che abbiamo noi adulti è quella di far comprendere ai nostri figli che il bello della vita è concorrere a costruirla in modo attivo e non aspettare che siano sempre gli altri ad impegnarsi. Per ottenere questi risultati dobbiamo aprirci di più al territorio, donare il nostro tempo agli altri, emancipare il volontariato come risorsa vera per la crescita sociale di Scalea. A questo proposito è importante avere un ‘referente dell’amministrazione” per progettare insieme le opportunità di socializzazione, soprattutto per affrontare in modo congiunto la sensibilità verso le marginalità sociali: ex detenuti, persone al soggiorno obbligato, prevenzione ed ex drogati, il problema degli alcolisti alcune volte molto giovani, la diffusa dipendenza dal gioco e altri. Come anche è importante incrementare le relazioni di amore e di rispetto tra gli adolescenti e le famiglie, tra le famiglie e le istituzioni, come anche coinvolgere maggiormente i tanti “stranieri” ormai domiciliati, ma non “pienamente consapevoli” dell’educazione alla “cosa pubblica”.
E’ opportuno moltiplicare e rendere vivibili i luoghi di incontro, di socializzazione, affinché si offra una opportunità di serio confronto “intergenerazionale”. Chiediamo una maggiore cura, da parte dei cittadini, del verde pubblico, l’educazione al rispetto del territorio è un valore alcune volte sottostimato o spesso non considerato importante. Insomma abbiamo bisogno di una vera evoluzione sociale, una sorta di ritorno alle relazioni interpersonali che ci garantisca un futuro di comunione e di incontro rispettoso nella diversità. L’isolamento costruisce lo stesso un futuro ma zeppo di problematiche a cui difficilmente si potrà porre rimedio. E’ importante iniziare dal “me”! Solo così poi potrò dire ad altri “facciamo”.
E’ anche significativo valorizzare con attività di sensibilizzazione, di animazione le tante periferie, Scalea può essere letta come una grande periferia, che molti non frequentano e non conoscono, partendo dalle cose più semplici che possano ricondurre al valore del rispetto delle regole e quindi della ‘legalità’. Non è molto importante essere visti da tanti, ma far sentire a chi abita lì dove è più presente una marginalità sociale, una vicinanza, una presenza.
L’opera più complessa da sostenere, per alcuni aspetti da risvegliare, è quella di riscoprire le proprie radici, abbiamo già detto che a Scalea sono complesse e intricate, certamente non basta riproporle limitandoci alla valorizzazione dei nuclei storici della città. Occorre cercare di coinvolgere ogni agenzia educativa presente nel territorio, per fare in modo che ogni attività orientata al rispetto della legalità e dell’educazione alla cittadinanza non resti confinata nei propri spazi, tra i soliti noti, non resti l’evento per pochi. Da più parti è stato espresso il convincimento dell’importanza che ci si coordini in una più stabile piattaforma di intenti, mortificando anche un esasperato protagonismo personale, così da rendere più visibile in modo corale il desiderio di far crescere anche a livello mediatico Scalea.
Questo non è un impegno da delegare ad altri, la certezza emersa è che Scalea non vuole restare a guardare. Il lavoro delle forze oneste a Scalea si esprime nell'impegno nascosto e quotidiano dei cittadini, ma stenta ad essere considerato e valorizzato pienamente nella sua positività.
E’ importante operare per restituire alla gran parte delle persone che abitano la nostra città la gioia di vivere in questo territorio, una gioia di cui tutti dobbiamo poter fare esperienza. Quello che proponiamo non è nulla di straordinario, chiediamo solo un maggiore e stabile coinvolgimento tra gli Enti Educativi e Morali presenti nel territorio, per avviare, animare e vivere in modo ordinario un progetto di Educazione alla Cittadinanza Attiva. L’obiettivo del nostro lavoro è: coinvolgere tutti coloro che abitano Scalea, e che devono sentirsi scaleoti, in modo attivo e cosciente, in quelli che sono i drammi e le speranze che insieme con le Istituzioni Politiche, le istituzioni Religiose e le Forze dell'Ordine siamo chiamati ad affrontare, sostenere e tutelare.
NOI AMIAMO SCALEA
A conclusione del periodo estivo, le parrocchie e un gruppo di
associazioni scaleote
ci siamo incontrati e confrontati sul tema della vivibilità nella
nostra cittadina.
Sono emersi, in modo molto diversificato e anche complesso, le tante
situazioni
sociali che si devono affrontare per restituire a Scalea la gioia di
essere abitata con
serenità dai residenti e per corrispondere meglio alla sua vocazione
turistica. Alcuni
problemi sono legati alla gestione del territorio: il problema della
sicurezza, il
poco rispetto della raccolta differenziata, la presenza delle forze
dell’ordine, il ruolo
delle Associazioni.
Da più parti si è sottolineata la necessità di un maggiore
coinvolgimento dei cittadini,
nella dinamica della corresponsabilità nella gestione del
territorio, per educare
e vivere a Scalea la Cittadinanza in modo Attivo. Si vuole intendere
la partecipazione
responsabile di tutti alla vita sociale del Paese, in ordine ai
propri doveri,
conoscendo ed esigendo i diritti propri e quelli altrui.
Vivere questo impegno è un percorso a volte non facile, significa
mettere al centro
della vita il Bene comune e non solo il proprio Bene. Questa
attenzione all’altro
e al territorio ci renderà entusiasti nel concorrere a cambiare le
cose delle quali
spesso ci si lamenta, ma che non sempre ci trova disponibili ad
affrontare insieme
nelle diverse competenze: Cittadini, Istituzioni Civili, Scuole,
Istituzioni Militari e
Parrocchie. Per confrontarci su queste problematiche, invitiamo
tutti coloro che amano vivere
in questo territorio, scaleoti vecchi e nuovi, a partecipare alla
Tavola Rotonda con
dibattito.
Scalea Giovedì 5 ottobre - ore 18,00
presso la Parrocchia San Giuseppe Lavoratore
Ci aiuteranno a comprendere quale interrelazione positiva si può
instaurare tra
coloro che abitano e operano nello stesso territorio:
Il Questore di Cosenza Dott. Giancarlo CONTICCHIO
Il Vescovo di San Marco Argentano - Scalea Mons. Leonardo BONANNO
Il Sindaco di Scalea Sig. Gennaro LICURSI
Il Segretario Comunale Antonio COSCARELLA
Il Coordinatore dell’Unità Pastorale Sacerdote Cono ARAUGIO
Unità Pastorale Scalea, Pro Loco, Asso Scalea, Azione Cattolica,
AGESCI, Caritas,
Cinque Stelle, Carnem Levare, Libera, Moto Club, Progetto Germano,
Punto Luce, Sportello
Antiviolenza per le Donne, Viva Scalea, Scalea Europea.
10 settembre 2017 - Incontro con le Associazioni a Scalea - Don Cono ARAUGIO
Ieri sera, negli ambienti pastorali di San Giuseppe Lavoratore a Scalea, si è svolto un incontro, che potremmo definire spontaneo, tra le persone che vogliono impegnarsi per la crescita della città, rischiando anche su se stessi, nel senso di essere pubblicamente impegnati a orientare le cose in modo più legale, valorizzando la dinamica della denuncia. Tutto è nato dalla percezione di una crescente articolazione della presenza malavitosa nella nostra città, è una parcellizzazione del territorio evidente a tutti coloro che guardano in modo attento alle situazioni esplosive che si sono accompagnate alla nostra estate, ma è evidente che non tutti colgono la gravità di quanto accade attorno alla loro casa e, generalmente per paura, si chiudono in atteggiamenti dove le parola carità e solidarietà non sempre riescono a trovare lo spazio necessario.
Poiché ad essere colpiti sono i nostri cittadini, gente laboriosa che con grandi sacrifici si sforza si far crescere la propria attività lavorativa e di portare avanti onestamente, per come oggi è possibile la famiglia, come Chiesa non possiamo tacere o voltarci dall'altra parte, per cui dopo essermi consultato con gli altri parroci di Scalea ho lanciato agli uomini di buona volontà questa comunicazione senza grandi attese: Domenica 10 settembre alle 20,00 nel salone, il parroco incontra tutti coloro che ritengono di poter contribuire a orientare in modo più rigoroso e rispettoso della legalità la vita sociale e politica di Scalea, La speranza è quella di riuscire a generare relazioni tre le associazioni per non lasciare soli coloro che si trovano a lottare contro la prevaricazione mafiosa e la violenza. La risposta è stata corale, il che esprime la ferma volontà di cambiare anche se non sempre si riescono a trovare interlocutori forti e credibili, questo genera insicurezza e incapacità di guardare con fiducia anche nei confronti delle istituzioni.
Eliminando alcuni interventi, peraltro marginali, di natura prettamente politica l'incontro si è sviluppato in un clima di ascolto e di confronto molto positivo, producendo anche idee sul come procedere perché Scalea si restituisca a una vivibilità socialmente più connaturale di comprensorio variegato che aggrega stabilmente migliaia di persone e alla sua vocazione turistica. E’ importante anche sottolineare la sofferta testimonianza di chi ha vissuto personalmente alcuni drammi legati al coinvolgimento delle famiglie, che loro malgrado si sono trovati isolati e vivono il disorientamento che consegue a questi avvenimenti.
Anche se spesso si corre il rischio di perdere di vista la persona da emancipare e di dare più importanza alle cose da fare, in alcuni campi questi valori camminano insieme, si può affermare che dalla gran parte dei partecipanti, che rappresentano il tessuto sociale attivo della nostra città, sono emersi alcuni problemi percepiti come disservizi gravi legati al periodo estivo: la cattiva gestione della raccolta differenziata, la condizione del mare gestita in modo confuso, la mancanza di una copertura legale visibile del territorio da parte delle forze preposte alla vigilanza e alla tutela della legalità, che certamente ha contribuito a una crescita esponenziale della violenza, a far degradare il rispetto delle leggi e ad emancipare l'azione di coloro che dell’illegalità fanno il loro senso di vita.
Dagli interventi che si sono susseguiti per oltre due ore è emersa anche la domanda: Stiamo assistendo a una riorganizzazione del controllo del territorio da parte della malavita o sono cani sciolti che non essendo controllati operano individualmente? Difficile da leggere senza un supporto qualificato e attento del fenomeno mafioso nel territorio. Di certo si deve affermare che comunque ha colpito violentemente alcune persone, ha generato sgomento nelle vittime e nelle loro famiglie, che poi sono nostri fratelli e sorelle, lo dico per coloro che fanno fatica a comprendere i termini sociali in chiave ecclesiale, concorrendo a scoraggiare naturalmente l'imprenditoria privata.
La risposta emersa è certa: Scalea non vuole restare a guardare e i partecipanti oltre i Parroci erano presenti: AGESCI, Asso Scalea, Azione Cattolica, Caritas, Carnem Levare, Cinque Stelle, Libera, Moto Club, Progetto Germano, Punto Luce, Sportello Antiviolenza per le Donne, Viva Scalea hanno espresso con determinazione questa volontà. Erano presenti delegati anche di altre associazioni, hanno partecipato all'incontro anche gruppi di cittadini a livello personale e un gruppo di turisti. L'impegno sottolineato più volte è che le associazioni coordinino una più stabile piattaforma di intenti, capace di rendere più visibile la volontà di far crescere anche a livello di immagine mediatica una Scalea degli onesti, privilegiando l'impegno collettivo e non solo e tanto quello individuale. Il lavoro delle forze oneste a Scalea che si esprime nell'impegno quotidiano all'interno delle tante associazioni, è notevole ma stenta ad essere considerato pienamente nella sua positività dalla collettività. Anche per questo è importante lavorare di più insieme. Occorre operare per restituire alla gran parte delle persone che abitano la nostra città la gioia di vivere in questo territorio, nelle gioie semplici che ogni famiglie sperimenta ogni giorno nella propria casa.
Alla fine dell'incontro facendo sintesi è stato messo in risalto la positività della partecipazione, che esprime una grande sensibilità al problema della legalità e la volontà di essere solidali con le vittime, nel contempo ci si è dato appuntamento per Domenica 24 settembre sempre alle ore 20,00 negli Ambienti pastorali di San Giuseppe Lavoratore, per stilare una serie di desiderata e di interrogativi che sono emersi nel confronto di questa sera. E’ stato anche chiarito che, per evitare che il tutto si sviluppasse esclusivamente sul piano politico, non si era inteso coinvolgere il livello Amministrativo della Città, che comunque si era reso disponibile a partecipare nella persona del Sindaco.
Tecnicamente ogni Amministrazione, coinvolgendo il mondo della Scuola e tutti gli Enti Educativi presenti nel territorio, deve avviare e animare in modo ordinario un progetto di Educazione alla Cittadinanza, l'obbiettivo dichiarato e cercato è quello di coinvolgere i cittadini in modo più attivo e cosciente in quelli che sono i drammi e le speranze che insieme i Cittadini, le Istituzioni Politiche e le Forze dell'Ordine devono imparare ad affrontare e a tutelare. In questa seconda fase dovrà emergere una piattaforma da proporre come base di riflessione e di confronto con i Cittadini e l'Amministrazione, la stessa nascerà da quanto i vari delegati scriveranno e trasmetteranno, il tutto sarà rielaborato e redatto in un unico testo, nello stile di una lettera aperta alla città, controfirmata da quanti ne condivideranno i contenuti e l’impegno.
Dalla Lettera Porta Fidei di Benedetto XVI
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27).
Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati. Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4).
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza.
Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
La stella di Maria illumina il deserto
La figura di Maria ci orienta nel cammino. Questo cammino, potrà apparirci un itinerario nel deserto; sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità. È l'acqua del pozzo che fa fiorire il deserto.
E, come nella notte del deserto le stelle si fanno più luminose, così nel cielo del nostro cammino risplende con vigore la luce di Maria, Stella della nuova evangelizzazione, a cui fiduciosi ci affidiamo.
Martedì 1 dicembre 2015 Tursi - Ritiro del Clero
La famiglia presbiterale, in Gesù Cristo, è segno della fraternità nuova
In questo Tempo di Avvento: Testimoniamo e celebriamo l’incontro con il volto misericordioso del Padre in pellegrinaggio con Maria da Nazareth a Betlemme
Cogliere la vita presbiterale nella dinamica della vita familiare, permette di leggere la caratterizzazione domestica nel nostro servizio sacerdotale. Permette anche di comprenderci all’interno della Sacra Famiglia di Nazareth, una famiglia che prega, che lavora, che si pone in ascolto della parola, che cerca di vivere la volontà di Dio, che si sforza di renderlo presente nell’impegno vicendevole di comunione. In Avvento siamo chiamati a valorizzare i segni che il Signore mette sul nostro cammino, non sempre immediatamente percepibili, ma che comunque ci accompagnano: In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra (Ger 13, 15). Questa affermazione che il profeta dona come manifestazione del progetto di Dio esige la disponibilità ad andare oltre la nostra percezione immediata della realtà. Anche Gesù, proprio Domenica, ci ha incoraggiati a leggere la realtà con la stessa intensità: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte … Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina (Lc 21,25-28). La parola del Vangelo non fa del terrorismo spirituale, ma apre a una comprensione gioiosa del futuro che non appartiene a noi, ma manifesta la potenza e l’amore di Dio che è sempre attento alla povertà dell’uomo, sia quella spirituale che quella materiale. Per fare fronte al dramma dell’uomo contemporaneo, che spesso vive con disperazione il nostro tempo, i tanti problemi sono: la disoccupazione, le incomprensioni familiari, il disagio nel dialogo educativo con i giovani, il disorientamento etico e morale. Ma l’elenco potrebbe allungarsi a dismisura in relazione alla migrazione dei popoli con tutte le problematiche che stanno emergendo in ordine all’accoglienza - il Santo Padre incoraggia, concretizzando quanto già definito nel magistero dei suoi predecessori, tutti a noi a cogliere la preziosità della misericordia. Al punto che nella preghiera per il Giubileo chiede di pregare perché noi, ministri del Vangelo, maturiamo una comprensione più autentica della misericordia: Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. (Preghiera del Giubileo)
Il profeta leggendo i segni dell’avvento del messia incoraggia l’attesa alimentando la speranza: Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse (Is 9,1). Questa affermazione del Profeta possiamo parafrasarla con quella di Paolo VI quando affermava che: I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. e bussano con insistenza nella speranza di essere accolti nelle loro istanze esistenziali (PP). Eravamo alla fine degli anni sessanta, ma non si è fatto molto per venire incontro a questa loro esigenza, che purtroppo si apre davanti ai nostri occhi ancora oggi nella sua drammaticità. E’ ancora papa Francesco a chiederci di aprire il cuore, nella certezza che ogni disperazione ha una sua radice che può essere guarita aprendo all’incontro con la misericordia di Dio il cuore dell’uomo: Nella Chiesa, tutto dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia … (MV 10).
A questi incoraggiamenti pastorali e spirituali che il Santo Padre pone al centro della nostra vita e della nostra preghiera, fa eco l’affermazione della Vergine Santa, celebrata nelle sue varie ricorrenze parrocchiali in occasione della Immacolata Concezione, che conclude il suo dialogo con l’angelo affermando la sua totale disponibilità alla volontà di Dio: Ecco la serva del Signore avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38). Con il profeta riflettiamo di essere anche noi: Voce di uno che grida nel deserto preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Troppo spesso il nostro impegno sembra svolgersi nella solitudine e nell’incomprensione. L’Avvento è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia” (cfr MV 19). Tutti sappiamo che la disponibilità alla volontà di Dio esige poi un atteggiamento coerente di dedizione, che Gesù non mancherà di sottolineare, e che chiede anche a noi sacerdoti del terzo millennio una costante rilettura della nostra dedizione vocazionale.
L’obbiettivo della evangelizzazione è quello di aprire alla gioia la vita della persona, di ogni persona: Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio (Lc 3,6). Alla Chiesa italiana è stato ricordato di vivere: Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che presento alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio … Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa … Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.
L’accoglienza e il rifiuto sono parte integrante della storia della salvezza. Questo concerne la vita di ciascuno di noi, ritengo siano tanti i poveri che bussano alle nostre canoniche, qual è il nostro atteggiamento? Li facciamo entrare o non c’è posto per loro. Insomma nelle nostre case, o forse è meglio dire nel nostro cuore Gesù trova posto o ancora una volta dobbiamo constatare con amarezza che: non c’era per loro posto nell’alloggio. (Lc 2, 6) Anche nei nostri ambienti di vita pastorale, nelle nostre stesse persone, non mancano situazioni che chiedono di essere ascoltate, di essere accolte, di essere perdonate. Ciascuno di noi avverte l’esigenza di sentirsi amato per aprirsi in modo più spontaneo all’amore di Dio, per: risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina (MV 19).
Ti preghiamo, O Vergine Santa, donaci la certezza di essere tuoi figli. Ti vogliamo accogliere nelle nostre case, nel nostro cuore, quale madre premurosa che si accompagna alla vita e ai problemi dei suoi figli. Tu ci chiedi di vivere, con più umiltà e più disponibilità la dedizione alla preghiera. Siamo certi che confortati dalla tua materna protezione riusciremo ad essere coraggiosi testimoni del Risorto. Donaci la capacità di camminare instancabilmente verso: “un cielo nuovo e una terra nuova” dove insieme con te e con tutti i Santi, vivremo in eterno, contemplando il mistero di comunione della Santissima Trinità.
Dall’Eucaristia all’Eucaristia, il nascondimento della Vergine Maria modello del nostro servizio sacerdotale
Vergine dell’Ascolto e del Silenzio, siamo davanti a tuo figlio te per affidarci alla sua intercessione e per invocare il suo aiuto. Insegnaci a vivere la tua disponibilità alla volontà di Dio animati e sostenuti dalle parole dell’Angelo: “Rallegrati, piena di Grazia,il Signore è con te”. Tu ci insegni che, se viviamo accogliendo la Parola, e contemplando il mistero dell’Eucaristia, faremo esperienza del mistero di amore con il quale Dio: di generazione in generazione manifesta la sua misericordia.
Vergine Santa, fa che imitando le tue virtù di totale affidamento, di totale ascolto e vivendo una piena disponibilità alla volontà di Dio, possiamo essere anche noi, nella vita di ogni giorno, testimoni della Grazia che abbiamo ricevuto fin dal nostro Battesimo e che i nostri genitori ci hanno insegnato a vivere con una vita dedita al sacrifico e alla preghiera.
O Fiore Immacolato di Galilea confidiamo nel tuo sguardo benevolo e sereno, incoraggia anche noi a guardare verso il cielo, donaci la consolazione e donaci la gioia di guardare con fiducia a Dio. Tu ci doni la certezza che in ogni difficoltà, fisica o spirituale, saremo sempre sostenuti dalla presenza del Padre che ci ama. Perciò aiutaci a fare della contemplazione del tuo Figlio nel mistero dell’Eucaristia lo strumento privilegiato della nostra dedizione al progetto del Padre, e così, facendo nostre le tue parole, potremo anche noi vivere lo stupore di poter affermare: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me, secondo la tua parola”.
Contempliamo in Gesù il mistero dell’umanità nuova, mistero di povertà, mistero di semplicità, mistero di amore, mistero di luce, mistero di pace per tutti coloro: “Che sono amati da Dio”. In Lui il Signore ci ha benedetti e ha voluto accogliere anche noi, poiché con la sua nascita ci ha reso partecipi di una gioia infinita: tutti siamo stati visitati dalla Grazia di Dio. E’ la Grazia che è stata affidata alla nostra dedizione ministeriale, che contempliamo presente nel mistero dell’Eucaristia, che nutre spiritualmente tutti coloro che hanno coscienza di appartenere al Popolo Santo di Dio
Ci prepariamo a celebrare la nascita di Gesù, nella povertà della grotta di Betlemme, siamo incoraggiati ad accogliere la vita sempre, perché la vita è dono di Dio. Vogliamo seguire l’esempio dei Magi che: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. Questo atteggiamento ci insegna che anche la notte più buia, illuminata dall’amore di Dio, si rischiara di luminosità nuova. Adorare Gesù, apre a una comprensione nuova della vita, ogni persona che Dio mi pone accanto è Gesù e ha bisogno del mio amore.
Madre della Chiesa, la tua serena accettazione della morte di Gesù ti rende per ciascuno di noi modello insuperabile di totale fiducia nel Signore. Quando la fede in tanti nostri fratelli e sorelle viene provata dal dolore e dalla morte, davanti ai nostri occhi, avvertiamo l’esigenza di una sincera conversione del cuore. Anche noi vogliamo vivere l’amore che dona sempre senza ricevere nulla in cambio, l’amore che Gesù ci ha insegnato donandosi fino alla morte in croce per noi. Ma forse ancora non ne siamo capaci. Ti preghiamo, aiutaci.
VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, Martedì 10 novembre 2015
Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù
Cari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).
Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Dio – che è «l’essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant’Anselmo, o il Deus semper maior di sant’Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto.
Non voglio qui disegnare in astratto un «nuovo umanesimo», una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni.
Quali sono questi sentimenti? Vorrei oggi presentarvene almeno tre.
Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre.
Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangeliigaudium, 49).
Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda.
Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile.
Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione. Ci introducono lungo un sentiero di grandezza possibile, quello dello spirito, e quando lo spirito è pronto tutto il resto viene da sé. Certo, se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze perché non ci portano al “successo”. Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sal 34,9)!
Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.
Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).
Però sappiamo che le tentazioni esistono; le tentazioni da affrontare sono tante. Ve ne presento almeno due. Non spaventatevi, questo non sarà un elenco di tentazioni! Come quelle quindici che ho detto alla Curia!
La prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.
La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività.
La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. Mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22).
Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). Lo gnosticismo non può trascendere.
La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.
La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte.
Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa?
Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo che abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù che qui è rappresentato come Giudice universale. Che cosa accadrà quando «il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25,31)? Che cosa ci dice Gesù?
Possiamo immaginare questo Gesù che sta sopra le nostre teste dire a ciascuno di noi e alla Chiesa italiana alcune parole. Potrebbe dire: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,34-36). Mi viene in mente il prete che ha accolto questo giovanissimo prete che ha dato testimonianza.
Ma potrebbe anche dire: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato» (Mt 25,41-43).
Le beatitudini e le parole che abbiamo appena lette sul giudizio universale ci aiutano a vivere la vita cristiana a livello di santità. Sono poche parole, semplici, ma pratiche. Due pilastri: le beatitudini e le parole del giudizio finale. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio! E guardiamo ancora una volta ai tratti del volto di Gesù e ai suoi gesti. Vediamo Gesù che mangia e beve con i peccatori (Mc 2,16; Mt 11,19); contempliamolo mentre conversa con la samaritana (Gv 4,7-26); spiamolo mentre incontra di notte Nicodemo (Gv 3,1-21); gustiamo con affetto la scena di Lui che si fa ungere i piedi da una prostituta (cfr Lc 7,36-50); sentiamo la sua saliva sulla punta della nostra lingua che così si scioglie (Mc 7,33). Ammiriamo la «simpatia di tutto il popolo» che circonda i suoi discepoli, cioè noi, e sperimentiamo la loro «letizia e semplicità di cuore» (At 2,46-47).
Ai vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più: pastori. Sia questa la vostra gioia: “Sono pastore”. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente.
Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. Come pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo. Ho espresso questa mia preoccupazione pastorale nella esortazione apostolica Evangeliigaudium (cfrnn. 111-134).
A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.
L’opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). Questa opzione «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi). I poveri conoscono bene i sentimenti di Cristo Gesù perché per esperienza conoscono il Cristo sofferente. «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangeliigaudium, 198).
Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza.
Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre è una delle vostre virtù, perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti.
Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangeliigaudium, 227).
Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. Noi sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell’essere umano del celebre homo homini lupus di Thomas Hobbes è l’«Ecce homo» di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva.
La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.
Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà.
E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È fratello.
Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta. La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose.
Faccio appello soprattutto «a voi, giovani, perché siete forti», diceva l’Apostolo Giovanni (1 Gv 1,14). Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni.
Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo.
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Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.
Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangeliigaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese.
Vi affido a Maria, che qui a Firenze si venera come “Santissima Annunziata”. Nell’affresco che si trova nella omonima Basilica – dove mi recherò tra poco –, l’angelo tace e Maria parla dicendo «Ecce ancilla Domini». In quelle parole ci siamo tutti noi. Sia tutta la Chiesa italiana a pronunciarle con Maria. Grazie.
Francesco
Diocesi di San Marco Argentano – Scalea
UNITA’ PASTORALE DI SCALEA
LA N’DRANGHETA E’ QUESTO: ADORAZIONE DEL MALE E DISPREZZO DEL BENE COMUNE. (Papa Francesco)
Questa affermazione del Santo Padre, rivolta proprio a noi calabresi nella sua visita a Cassano Jonio, incoraggia credenti e non credenti, a riflettere a fare discernimento. Come parroci di Scalea avvertiamo ancora una volta l’esigenza di ricordare a tutti, che accanto ai giorni della festa e della gioia nella vita della comunità, si accompagnano anche giorni più difficili, durante i quali siamo chiamati a dare coraggiosa testimonianza della nostra appartenenza alla comunità dell’amore, la comunità di Gesù Cristo. Ci viene chiesto di gridare ed esortare a gridare la volontà di generare e di tutelare il bene, il che significa anche non stare a guardare ma impegnarsi per combattere il male. In particolare quando il male si accanisce contro i più deboli e gli indifesi, contro quei cittadini che con sacrificio e onestà concorrono a costruire il futuro dei propri figli e la speranza nella città.
Il Signore, nei momenti più difficili della vita di una città, chiede a tutti coloro che si sentono dalla parte del bene di alzare forte la voce: Io mi alzai e dissi ai notabili, ai magistrati e al resto del popolo: Non li temete! Ricordatevi del Signore grande e tremendo; combattete per i vostri fratelli, per i vostri figli e le vostre figlie, per le vostre mogli e per le vostre case! (Ne 4,6-8)
E’ una esortazione alla vigilanza che incoraggia a rimuovere l’illusione che altri si impegneranno al nostro posto, non dobbiamo dimenticare che la terra non è eredità ricevuta dai nostri padri ma un prestito da restituire ai nostri figli, e … proprio perché figli, bisogna restituirla meglio di come l’abbiamo ricevuta, nella sua purezza territoriale, nelle sue eque strutture sociali, nelle sue corrette convinzioni etiche e morali.
La realtà di Scalea, nella sua gravità di degrado sociale ed il legame di alcune sue famiglie alla delinquenza organizzata, è emersa ancora una volta in modo evidente nei giorni scorsi. Grazie all’impegno instancabile e all’azione delle Forze dell’Ordine, alle quali esprimiamo il nostro riconoscimento e la nostra solidarietà attiva, ci è stato ricordato che nonostante questo periodo di amministrazione commissariale della cosa pubblica, la vivibilità del territorio in riferimento alla presenza della malavita organizzata, ha ancora bisogno di un lungo impegno istituzionale.
Impegno che viene portato avanti con determinazione e coerenza dai Commissari prefettizi, che sosteniamo e chiediamo di sostenere nella loro difficile azione orientata a riqualificare i conti della cosa pubblica e normalizzarne dal punto di vista legale la vita amministrativa. Per loro la comunità cristiana prega e viene educata al rispetto della loro azione, alcune volte impopolare e non sempre compresa da tutti nella sua necessità.
Il permanere di una diffusa e organizzata presenza della n’drangheta nella nostra città è davanti agli occhi di tutti, dobbiamo prendere atto che noi come cittadini di Scalea, associazioni ecclesiali e laiche, non sempre e tutti mettiamo in evidenza nelle tante attività, che comunque portiamo avanti con entusiasmo, il male che la n’drangheta rappresenta per Scalea e quali vie percorrere per restituirle la vivibilità a cui hanno diritto i nostri giovani, i nostri figli. Come Chiesa vogliamo chiedere a tutti: donne e uomini di buona volontà, che certamente a Scalea non mancano, di essere più coraggiosi nell’inserire nelle manifestazioni, in modo visibile ed esplicito, l’obiettivo di essere contro ogni tipo di atteggiamento mafioso.
Papa Francesco a Cassano ci ha ricordato: Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no. La Chiesa, che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Ce lo domandano i nostri giovani, bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. (Papa Francesco)
E la fede ci deve aiutare. Da credenti che si fidano di un Dio amorevole che per noi si è reso uomo debole e vulnerabile, per insegnarci che la fermezza non è dote da supereroi ma da persone convinte della necessità di “seminare il bene”. E’ importante ricordare questi principi anche ai familiari di coloro che concorrono a seminare il male tra le nostre case e nelle loro stesse famiglie, occorre isolare anche i propri figli quando concorrono a delinquere legandosi a organizzazioni della n’drangheta. Troppo spesso quando ad essere coinvolti sono i nostri familiari, i nostri amici, diventiamo giustificativi, si fa prevalere l’affetto verso i propri cari sulla verità e concorriamo in questo modo alla distruzione del bene che è presente anche nelle nostre famiglie. Il male è il male e lo è anche quando a compierlo sono i nostri figli, perciò diciamo a tutti, per amore dei nostri figli, che non possiamo non cambiare, la fede la testimoniamo se siamo affidabili non difendendo chi è affiliato alla n’drangheta.
A tutti i battezzati che chiedono ai mafiosi di fare da Padrini e Testimoni della Fede per i Sacramenti dei figli, sentiamo l’esigenza di ricordare quanto insegnano i nostri Vescovi: La n’drangheta non ha nulla di cristiano. E’ altro dal cristianesimo, dalla Chiesa … la n’drangheta è una struttura di peccato, che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica la società … Chi appartiene a queste forme mafiose si è posto fuori dalla Chiesa … non può rivestire uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale. Al potere mafioso che seduce singoli e istituzioni, come Chiesa dobbiamo contrapporre, raccolti attorno al Cristo, il Vangelo delle Beatitudini il quale ci ricorda: che siamo chiamati beati se poveri in spirito, se stiamo tra quelli che sono nel pianto, se viviamo da miti, se condividiamo la vita di quelli che hanno fame e sete della giustizia, se siamo misericordiosi, puri di cuore, se viviamo da operatori di pace, se accogliamo i perseguitati per la giustizia … Il Signore ci affida il mandato di portare frutti che creino comunione attraverso il rispetto infinito verso ogni uomo.
Nella nostra vita dobbiamo scegliere. E noi cristiani dobbiamo fare una doppia scelta: che è di Cristo, prima di tutto, perché è lui che ci ha chiamati tra i suoi; e in secondo luogo, ma non in un secondo tempo bensì ora e subito, deve essere la nostra scelta di atteggiamenti e azioni che non abbiano a spartire nulla con la malavita. A qualsiasi costo e in qualsiasi situazione.
Non vogliamo dimenticare e denunciamo anche altri atteggiamenti di ingiustizia e di illegalità che trovano tacita condivisione ai nostri giorni: il non pagare il salario concordato con gli operai o peggio creare situazioni contrattuali di falsità, come anche arricchirsi alle spalle dei propri dipendenti. Quando a praticare questa prassi di ingiustizia sono persone che frequentano attivamente la vita ecclesiale, emerge con vigore una coscienza deformata che ritiene di poter convivere con il male nella realtà dove deve trionfare il bene, nel contempo con il proprio peccato si alimenta un allontanamento dalla vita di comunità, che condanna i fratelli vittime di questi soprusi alla solitudine e alla disperazione.
Nel servizio che offriamo alla città e che il nostro Vescovo Mons. Bonanno incoraggia e sostiene, continua il nostro impegno nell’aiutare le tante povertà che diventano sempre più presenti anche a motivo della profonda crisi economica. Inoltre ci sforziamo,di incrementare tutte le iniziative e attività catechistiche ed educative che concorrono naturalmente a combattere la presenza mafiosa. In questa ottica abbiamo anche accompagnato e sostenuto alcuni tentativi per mettere insieme le energie positive politiche e sociali della nostra città, che purtroppo non hanno avuto seguito anche per interessi di parte. Pensiamo di poter dire a tutti coloro che intendono lavorare per la vivibilità nella nostra città, che coltivare interessi di parte o carrierismi personali, quando si fronteggiano fenomeni mafiosi è semplicemente illusorio. In questa fase storica vi chiediamo di lottare insieme, nella speranza che, anche grazie all’impegno di tutti, emergano tempi nuovi nei quali sperare di poter vivere una democrazia normale e non contrassegnata dalla paura, o peggio veicolata dal consenso mafioso. Per educare a una più coerente vita cristiana e all’impegno sociale, abbiamo anche avvertito l’esigenza di inserire, durante la novena alla Vergine del Monte Carmelo, una giornata per pregare, sensibilizzare e riflettere affinché il bene e la legalità trionfino anche nella nostra città.
Nessun uomo è forte da solo, ma ciascuno può esser reso tale con la forza della sua fede, la fede sostiene le sue fragilità con le certezze che vengono da Dio. Perciò ancora una volta avvertiamo l’esigenza di affidare alla Vergine del Monte Carmelo, celeste Patrona della città di Scalea, la nostra serenità e quella dei nostri figli. La invochiamo perché doni pace. Lei dona sempre pace ai figli che la invocano con fede.
Scalea 7 giugno 2015
Festa del SS. Corpo e Sangue del Signore
I Parroci di Scalea
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San Giuseppe Lavoratore una Chiesa in Uscita
PROGETTO EDUCATIVO DELLA PARROCCHIA: Una Chiesa in uscita (SECONDA BOZZA)
Non lasciatevi rubare la speranza
E’ una frase che il Santo padre Papa Francesco ripete spesso soprattutto rivolgendosi ai giovani, anche per questo la sento particolarmente rivolta alla nostra comunità che è prevalentemente formata da giovani. Sono quasi due anni che il Signore ci ha donato di stare insieme per lavorare in questa porzione del Regno di Dio qui a Scalea, un tempo prezioso durante il quale, insieme agli altri Parroci e a coloro che cooperano nell’impegno pastorale, abbiamo cercato di cogliere i segni della grazia che il Signore ha donato alla nostra città. Scalea si presenta come una cittadina con circa 12.000 residenti, caratterizzata ormai da molti anni dall’esplosione residenziale estiva che per molti aspetti caratterizza e stravolge il modo ordinario di relazionarci durante l’anno.
Ma non possiamo tacere la profonda preoccupazione che accompagna oggi il nostro impegno pastorale, anche alla luce di quanto è emerso in modo evidente in ordine alla illegalità diffusa che caratterizza le relazioni quotidiane. La grave crisi politica, istituzionale di questi ultimi mesi, ha reso più evidente ciò che era sommerso ma già visibile, conosciuto, da tanti ovvero l’aggressione della criminalità. L’atteggiamento conseguente della cittadinanza è oggi di paura, di sconcerto ma anche un po’ di omertà! E’ evidente una grave situazione socio-economica ma soprattutto un senso di resa, di impotenza, una mancanza di fiducia che sta invadendo ogni persona in modo trasversale. Persone di qualsiasi età o situazione sociale sembrano ancor di più non avere alcun punto di riferimento. Non si ha fiducia né nello stato, né nella giustizia, ogni riferimento è svanito e ci si sente impotenti ed inutili. A livello amministrativo si vive una fase di transizione ma anche di paralisi non vi sono riferimenti stabili istituzionali, riferimenti per la cittadinanza! (Dal Progetto Educativo del Gruppo Scout Scalea 1° Beniamino DE BONIS).
Come comunità cristiana siamo sollecitati a comprendere, con maggiore attenzione, in che modo il Signore ci chiede di renderlo presente nelle azioni di ogni giorno ordinate alla evangelizzazione, al ringraziamento e alla vita di carità. Che tradotti in atteggiamenti sociali significano lealtà verso lo stato, rispetto delle leggi, impegno nel far crescere la vivibilità e il rispetto nella città.
Il Santo Padre, rivolgendosi ai cristiani di Calabria chiede di essere coraggiosi assertori del bene e del rispetto, di fare frontiera contro la cultura e la civiltà del male che è orientata al malaffare e alla sopraffazione. Chiede anche a noi di vivere con coerenza la testimonianza del bene, rigettando tutto ciò che vi si oppone e tutto quanto da spazio all’azione del male nella nostra vita e anche nella nostra città: Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Dobbiamo crescere, in una maggiore comprensione della responsabilità personale e del bisogno di un rinnovato protagonismo personale capace di coinvolgere tutti, per la costruzione della vivibilità rispettosa della legalità anche qui a Scalea. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Quando pensiamo di essere soli a lottare per il trionfo del bene, quando sembra che tutti ci abbiamo abbandonato, dobbiamo aprirci alla speranza che la presenza del Signore alimenta nei nostri cuori. E’ nella vita di preghiera che il cristiano recupera pienamente la pace interiore e il senso della propria vita da spendere nella condivisione della Croce di Cristo, manifestazione dell’amore con il quale Dio ci ama e di come dobbiamo amarci vicendevolmente.
Ma può accadere, anche per colpa di una comunità cristiana omertosa e narcisista, chiusa in se stessa, nella proprie celebrazioni, nelle proprie processioni incapace di interagire con coloro che nel territorio comunque operano, perché il bene trionfi nella semplicità di una vita spesa onestamente al servizio della propria famiglia e al servizio della comunità cristiana e sociale. Mi permetto di aggiungere che, alcune volte, anche nelle nostre comunità parrocchiali, corriamo i rischio di far transitare atteggiamenti mafiosi, quando si cerca di primeggiare a tutti i costi generando e operando ogni male nei confronti dei fratelli, semplicemente perché non la pensano come noi, che vorrebbero proporre un modo diverso di essere Chiesa o, peggio, quando si perseguono interessi personali nei luoghi resi preziosi per la presenza del Signore da testimoniare nella gratuità e nella solidarietà. Anche le nostre sagrestie, gli ambienti parrocchiali hanno bisogno di essere purificati da atteggiamenti che non testimoniano l’amore di Cristo, troppo spesso proprio in coloro che vivono quotidianamente a più stretto rapporto con Gesù.
Analisi della situazione
La nostra è una parrocchia giovane, potremmo dire che è nata da poco, o meglio, è ancora nel grembo materno in attesa di maturare una propria identità spirituale e sociale. E’ stata eretta canonicamente nel momento di massima espansione edilizia della nostra città, questi nuovi insediamenti sono stati costruiti come una grande periferia, contrassegnata dall’anonimato urbano che spersonalizza le tante anime che negli ultimi decenni sono venute ad abitarvi. Dalla Bolla di erezione della Parrocchia ci vengono ricordate le motivazioni che ne determinarono l’istituzione:
Nelle località Fischia, Cotura, Arenella di Scalea, si è verificato in questi ultimi anni un considerevole sviluppo edilizio, con conseguente aumento della popolazione. Essa, per la distanza dalla chiesa parrocchiale di San Nicola in Platea, ha ricevuto particolare assistenza spirituale … in un locale terraneo messo a disposizione da un fedele.
La stessa popolazione grata di quest’opera e sensibile ad un’assistenza completa, ha reclamato la presenza costante e giuridicamente definita del sacerdote, anche perché ad essa, nei mesi estivi, si aggiungono numerosi turisti. Pertanto, invocato il nome di Dio e della Beata Vergine Maria, col voto unanime del Capitolo Cattedrale e del Consiglio Presbiterale, col parere favorevole del Vicario Foraneo e dei due parroci di Scalea, siamo venuti nella determinazione di istituire, con la Nostra ordinaria autorità, la nuova parrocchia sotto il titolo di "San Giuseppe Operaio", dismembrandola e dividendola dalle altre due parrocchie di "San Nicola di Platea" e "Santa Maria d’Episcopio".
La nuova parrocchia è contenuta nei seguenti confini: a nord Canale Tirello fino al ponte di Via Lauro, Via Birago, Via fiume Lao fino alla Tenuta Marghetich, e lungo la Tenuta Margetich in linea retta fino al mare; ad est Ferrovia dello Stato, dalla stazione fino al Fiume Lao; a sud Fiume Lao; ad ovest Mar Tirreno.
Così abbiamo stabilito e così ordiniamo che sia fatto.
Dato a Cassano Jonio nel giorno dell’apparizione della Madonna di Lourdes
11 febbraio 1974 + Domenico Vacchiano, Vescovo
Nella responsabilità pastorale e canonica della comunità si sono succeduti Don Antonio Didona, durante il suo ministero è stata eretta la Chiesa parrocchiale, Don Michele Oliva che ha provveduto all’acquisto dei Locali pastorali, all’erezione del Campanile e alla costruzione della Chiesa della SS. Trinità. Non è possibile parlare dello zelo pastorale e delle tante iniziative con le quali, durante il loro ministero hanno intese corrispondere all’anelito per la costruzione della porzione di Regno di Dio loro affidata.
Oggi, anche a motivo del ritorno improvviso alla Casa del Padre di Don Michele, è stata affidata a me la grave responsabilità di continuare il cammino che la comunità ha intrapreso circa quaranta anni fa. Ci è stato lasciato un esempio prezioso di entusiasmo pastorale soprattutto dal punto di vista catechistico, che noi non dobbiamo dimenticare e dal quale abbiamo molto da imparare. La nostra è un parrocchia abitata in gran parte da coppie giovani, per cui dobbiamo continuare l’impegno di costruire la speranza per i bambini, ragazzi e i giovani che rappresentano la vera caratteristica della nostra parrocchia e non vogliono sentirsi trascurati nelle loro attese.
Scalea continua ad essere profondamente segnata dalla tradizione religiosa cristiana e in particolare dalla devozione alla Beata Vergine del Monte Carmelo, la dedizione filiale alla Madre celeste si accompagna in ogni famiglia di antica tradizione scaleota. Ma Scalea è una cittadina che negli anni ha subito un flusso migratorio intenso e non sempre regolarizzato, per cui gran parte di coloro che abitano le contrade di un tempo, questo fenomeno riguarda soprattutto la nostra parrocchia, è abitata da non scaleoti.
A questa complessa situazione migratoria corrisponde una diversificazione anche della presenza religiosa dalla tradizionale appartenenza alla Chiesa Cattolica, alcuni sono passati alla Chiesa Evangelica Pentecostale, altri ai Testimoni di Geova. Negli ultimi anni è cresciuta la presenza di cattolici Ortodossi del patriarcato di Romania e di quello di Russia. Per quanto riguarda la presenza islamica è molto ramificata negli immigrati africani e asiatici che per il culto vivono hanno creato una moschea. Una presenza significativa è rappresentata da organizzazioni anticlericali, che velatamente incoraggiano ad allontanarsi dalla vita di Chiesa, come atteggiamento necessario per proseguire nella carriera. Ci sono anche altre presenze spirituali di orientamento buddista, indù e animista che ad oggi sembra che non rappresentino una comunità significativa.
E’ una nuova immigrazione che da molti anni, stabilmente, va popolando la nostra città. Scalea ospita una folta colonia di immigrati che ancora oggi vivono isolati e abbandonati a se stessi, con tutto ciò che questo significa in ordine all’aumento della microcriminalità e di una illegalità diffusa, legata alle loro stabile condizione di povertà e alle loro tante situazioni socialmente irregolari. C’è un altro ambito sociale che merita tutta l’attenzione della comunità cristiana ed è fatta di persone sole e anziane che abita i quartieri fantasma costruiti, quali residenze estive, che sempre più frequentemente diventano abitazioni stabili per i poveri che abbandonano le periferie urbane e che cercano nella nostra città un po’ di accoglienza e maggiori spazi di socializzazione e di vivibilità.
La parrocchia si presenta perciò particolarmente bisognosa, come tante altre comunità cristiane della costa, di una evangelizzazione capace di restituire ai battezzati, la freschezza della novità che Gesù Cristo rappresenta per ogni uomo di ieri, di oggi e di sempre in ogni luogo. Ma ha anche bisogno di una evangelizzazione per i tanti non battezzati che vanno iniziati alla bellezza della comprensione cristiana della vita, questo si può conseguire non tanto con le parole e con atteggiamenti narcisistici di auto incensazione, ma soprattutto attraverso la testimonianza della vita di carità e della fraternità all’interno della comunità cristiana.
La nostra è una parrocchia molto complessa nella sua diversità, formata da oltre cinquemila abitanti articolati in circa milleottocento nuclei familiari, evidenzia, anche a uno sguardo superficiale, che ha bisogno di un lungo lavoro pastorale orientato a ricomporre il collante spirituale all’interno delle famiglie e tra le varie famiglie che compongono il tessuto sociale della città.
Non va neanche trascurato l’estensione territoriale nella quale è articolata la presenza dei battezzati, sostanzialmente stanziati tra il Canale Tirello e il Fiume Lao, cosa che certamente concorre a generare la frammentazione e l’anonimato nelle relazioni della vita di comunità.
Inoltre, anche in virtù del fenomeno turistico che caratterizza l’economia del territorio, la componente giovanile che vive molto lontana dall’impegno della testimonianza cristiana, è totalmente coinvolta, assoggettata al martellante bombardamento ideologico e disorientante della fluidità culturale del nostro tempo. Né va trascurato il rinnovato fenomeno della migrazione giovanile, che impoverisce delle energie culturali e operative più vive e dinamiche il territorio.
Una comunità di praticanti, che per la gran parte si presenta carica di tradizioni e abitudinaria nella pratica della fede personale, ritengo perciò, in piena comunione con l’insegnamento del Santo Padre, di dover incoraggiare con insistenza a vivere una Chiesa in uscita, aperta alla missione verso le tante periferie cittadine, periferie morali e sociali che esigono la presenza di testimoni coraggiosi del Vangelo. E’ necessario perseguire, ancora una volta con linearità, coerenza ed entusiasmo, l’impegno di annunciare in ogni ambiente la Buona Notizia della risurrezione del Signore.
Questa notizia è la vera novità per la vita dell’uomo di ogni tempo, una novità che ha sempre alimentato l’anelito alla santità e alla fraternità, e che ha incoraggiato la comunità cristiana a testimoniare la speranza anche nelle situazioni più difficili da affrontare, come sta accadendo davanti ai nostri occhi in Europa dal punto di vista di una persecuzione ideologica anticristiana, e in tante parti del mondo in modo violento con una intensità spesso drammatico.
Come sempre è accaduto nei secoli, ancora oggi la nostra speranza, nasce dall’incontro personale con Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, Lui è la sorgente della nostra gioia, si incontra, si conosce e si trasmette per come la tradizione costante della Chiesa insegna, attraverso:
A questi valori, che sono quelli propri della vita cristiana, occorre aggiungere la capacità di aprirsi al dialogo anche con le altre energie laiche che sono vive e presenti nella nostra città. In questo modo tutti potranno attingere o almeno relazionarsi alla sorgente della speranza e della pace, che è Cristo.
Molti battezzati si sono stabilmente allontanati per i più svariati motivi, dalla vita della Chiesa, non senza la responsabilità di noi praticanti, legati in modo eccessivo e totalizzante a tradizioni che oggi non comunicano più l’essenza della fede. Lo si è fatto e lo si continua a fare totalmente dimentichi delle sollecitazioni dell’impegno di evangelizzazione che la Chiesa nel suo Magistero instancabilmente si sforza di rilanciare. E’ il Signore che ci chiede di operare per recuperare energie sempre nuove, donando fiducia ai fratelli che ci pone accanto, con i quali dobbiamo imparare a camminare con gioia nell’amore che il Padre nutre soprattutto verso i figli che vogliono ritornare a sentirsi parte viva e attiva nella sua Casa.
Noi parroci, aggregazioni ecclesiali e non, istituzioni civili e militari, fedeli e persone di buona volontà, tutti coloro che amiamo Scalea, oggi abbiamo questa grave responsabilità, restituire alla nostra città la speranza di cui ha urgente bisogno. Occorre restituire la fiducia nelle istituzioni, il rispetto della legge anche quando ci diventa scomodo, la ricerca dell’autentica solidarietà che orienta ogni pensiero e ogni nostra azione non tanto al proprio interesse personale quanto al bene comune, solo in questo modo il Santo Padre ricorda a noi calabresi: Sarete una Chiesa nella quale padri, madri, sacerdoti, religiosi, catechisti, bambini, anziani, giovani camminano l’uno accanto all’altro, si sostengono, si aiutano, si amano come fratelli, specialmente nei momenti di difficoltà.
Una Chiesa in uscita (EG 20/24)
Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo.
La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr Lc 10,17). La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli (cfr Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi.
La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi.
L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria».[20] Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così l’annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: «Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). L’Apocalisse parla di «un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e a ogni nazione, tribù, lingua e popolo» (Ap 14,6).
Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare
La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. Primerear – prendere l’iniziativa: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!
Come conseguenza, la Chiesa sa coinvolgersi. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce.
Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad accompagnare. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti.
Fedele al dono del Signore, sa anche fruttificare. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice.
Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre festeggiare. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi.
La testimonianza della fede
Il dono della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4).
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Una Comunità corresponsabile
Di fronte alle tante povertà pastorali del nostro tempo il Signore è attento e ci sostiene con il suo Spirito, ma spesso nella comunità si guarda con difficoltà ai doni che provengono dall’alto. Le novità ministeriali alimentate dallo Spirito non sempre sono accolte nella pastorale ordinaria, alcune stentano a trovare cittadinanza nel vissuto della comunità, poiché spesso si preferisce sgomitare in spazi stretti, tra i soliti noti, mentre il Signore ci sollecita ad aprirci nella dinamica della missione.
Dobbiamo fare nostra la preoccupazione sempre più viva, già presente nelle prime comunità cristiane, della prudenza pastorale: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19-21). Lo Spirito Santo alimenta costantemente la vita della Chiesa con nuovi carismi, ma nonostante le costanti sollecitazioni del magistero non sempre la ricchezza dei carismi e dei ministeri, viene colta quale primavera dello spirito nella sua preziosità.
Siamo pienamente coscienti che gli Organismi di partecipazione laicali e le Aggregazioni ecclesiali, sono un dono del Signore alla sua Chiesa per la evangelizzazione delle tante periferie del nostro tempo. Perciò sarà nostro impegno valorizzare questo dono, coltivando e dilatando giorno per giorno, con la vostra partecipazione attiva e corresponsabile, ad ogni livello gli spazi della comunione.
E ancora, lo ripetiamo con rinnovato vigore, che la comunione deve rifulgere con trasparenza in tutti gli ambiti della vita ecclesiale:
- nei rapporti interpersonali tra i Parroci, che devono improntare le loro relazioni nell’ottica dell’Unità Pastorale con la sinergia dei carismi; facendo ogni sforzo per la realizzazione vera della pastorale integrata, superando in questo modo ogni divisione e contrapposizione negli sforzi dell’evangelizzazione della città.
- tra le varie forme di Aggregazioni laicali, che devono gareggiare nella disponibilità sempre più autentica e testimoniata all’Annuncio e non tanto nel fare i primi della classe in virtù di presunte perfezioni raggiunte e forse non sempre visibili nella testimonianza ordinaria.
La comunione è il segno luminoso che fa la differenza tra come si vive e si edifica la Chiesa e il modo di relazionarsi nella società civile. E’ tristissimo constatare che, spesso, anche persone che si ritengono impegnate nel costruire la vita della comunità stentano a cogliere il valore ineludibile della comunione.
Dobbiamo imparare sempre più ad amare, questo ci aiuterà a comprendere la preziosità di coloro che Gesù ci mette accanto e che devono sentirsi amati, inoltre concorrerà a orientare l’impegno pastorale verso una valorizzazione vera e non strumentale degli Organismi di partecipazione ecclesiali (Consiglio Pastorale Parrocchiale e Consiglio per Affari Economici), incoraggerà anche la dinamica della corresponsabilità e della comunione.
La vita di comunione deve essere condivisa tra tutti coloro che in Cristo colgono il grande dono della vita comune e della partecipazione al mistero dell’appartenenza al suo Corpo mistico. Il discepolo che Gesù amava ricorda con insistenza nel suo Vangelo e nelle Lettere che ciò Gesù si attende da noi è l’amarci con la stessa intensità con la quale lui ci ha amato. “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
La missione della parrocchia oggi
Nella parabola del pastore e della pecora perduta e ritrovata, Gesù si preoccupa di mostrare che, per il pastore, anche una sola pecora è tanto importante da indurlo a lasciare tutte le altre nel deserto, per andare a cercare l’unica che si è smarrita; e quando la ritrova, prova una grande gioia e vuole che la sua gioia sia condivisa (cfr Lc 15,4-7). Il pastore Gesù è la trasparenza dell’amore di Dio, che non abbandona nessuno, ma cerca tutti e ciascuno con passione. Tutte le scelte pastorali hanno la loro radice in quest’immagine evangelica di ardente missionarietà.
Essa appartiene in modo tutto particolare alla parrocchia. Nata come forma della comunità cristiana in grado di comunicare e far crescere la fede nella storia e di realizzare il carattere comunitario della Chiesa, la parrocchia ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Essa è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza a tutti, di apertura verso tutti, di accoglienza per tutti.
Nel cattolicesimo, in particolare in quello italiano, le parrocchie hanno indicato la “vita buona” secondo il Vangelo di Gesù e hanno sorretto il senso di appartenenza alla Chiesa. Con la sua struttura flessibile, la parrocchia è stata in grado, sia pure a volte con fatica, di rispondere alle trasformazioni sociali e alle diverse sensibilità religiose. A livello di parrocchia si coglie la verità di quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena».
Oggi, però, questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono. La consapevolezza del rischio non ci fa pessimisti: la parrocchia nel passato ha saputo affrontare i cambiamenti mantenendo intatta l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo. Ciò tuttavia non è sufficiente ad assicurarci che anche nel futuro essa sarà in grado di essere concretamente missionaria.
Perché ciò accada, dobbiamo affrontare alcuni snodi essenziali. Il primo riguarda il carattere della parrocchia come figura di Chiesa radicata in un luogo: come intercettare “a partire dalla parrocchia” i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi? Altrettanto ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E, infine, la parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro? Su questi interrogativi dobbiamo misurarci per riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.
Le molte possibili risposte partono da un’unica prospettiva: restituire alla parrocchia quella figura di Chiesa eucaristica che ne svela la natura di mistero di comunione e di missione. Il Papa ricorda che «ogni domenica il Cristo risorto ci ridà come un appuntamento nel Cenacolo, dove la sera del “primo giorno dopo il sabato” (Gv 20,19) si presentò ai suoi per “alitare” su di loro il dono vivificante dello Spirito e iniziarli alla grande avventura dell’evangelizzazione»11. Nell’Eucaristia, dono di sé che Cristo offre per tutti, riconosciamo la sorgente prima, il cuore pulsante, l’espressione più alta della Chiesa che si fa missionaria partendo dal luogo della sua presenza tra le case degli uomini, dall’altare delle nostre chiese parrocchiali.
La parola parrocchia perciò ci ricorda che siamo una comunità di pellegrini, che viaggiano insieme verso la vera patria, il Cielo, e si aiutano a raggiungerla. Un po' come il Popolo ebreo in cammino verso la Terra Promessa.
La Christifideles laici delinea la parrocchia: "Essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alla case dei suoi figli e delle sue figlie". È la Chiesa che vive sul posto. "La parrocchia - continua lo stesso documento - non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d 'unità» è «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente»"; e "la casa aperta a tutti e al servizio di tutti, o, come amava dire il Beato Giovanni XXIII: «la fontana del villaggio» alla quale tutti ricorrono per la loro sete" . Questa definizione ci dona una immagine dinamica della parrocchia come comunità in cammino che alimenta spiritualmente e disseta le varie generazioni.
Parrocchia oratoriale
La parola Oratorio non è usuale nei nostri ambienti pastorali per cui spesso le si dà dei contenuti che non le appartengono. Di per se significa luogo di preghiera, di ricerca spirituale, ci si rende conto perciò che non coincide con il significato ordinario che lo descrive come ambiente di svago, di divertimento, del tempo libero da vivere giocando. Nel corso dei secoli la pastorale della Chiesa lo ha riqualificato in diversi modi di vivere la fede e la comunità, per cui abbiamo gli oratori del triveneto, quelli salesiani che si ispirano all'opera di San Giovanni Bosco, quelli lombardi che si richiamano all'opera pastorale San Carlo Borromeo, quelli romani che assumono la pedagogia gioiosa di san Filippo Neri.
Dico tutto questo solo per aiutare a capire che quando operiamo nella pastorale parrocchiale, non siamo degli apprendisti stregoni che pensano di inventarsi delle cose per attirare i ragazzi e i giovani, ma semplicemente sposiamo dei metodi di vita spirituale già ampiamente sperimentati dalla Chiesa. Noi dobbiamo, per come il Signore ci dona, rendere presente nella nostra realtà parrocchiale, quella più adeguata e pedagogicamente spendibile, tenendo in debito conto delle possibilità, delle esigenze, degli ambienti a disposizione e delle finalità che ci prefiggiamo.
Per la nostra parrocchia questa parola non ha ancora un significato specifico anche perché attualmente mancano educatori maturi nella fede, disponibili a spendere per amore dei ragazzi, il proprio tempo libero al servizio della comunità. Anche l'esperienza che fino ad oggi è stata definita Oratorio, rappresenta solo un desiderio sul quale intendiamo ancora spendere le energie educative a nostra disposizione. Ma l'Oratorio non è certamente un gruppo tra gli altri gruppi appannaggio di questo o di quell'educatore. E' importante capire che la Parrocchia è Oratorio, volendo dare a questo concetto quello che i Vescovi ci dicono quando affermano che la parrocchia è casa e scuola di comunione.
Per cui non ci sono educatori che fanno Oratorio e altri che fanno altro, l'Oratorio non è appannaggio di qualcuno anche perché c'é sempre il rischio della devianza dal valore centrale che è il coinvolgimento di tutti, ma ogni attività educativa, formativa e di animazione deve concorrere in modo attivo, dinamico alla vita gioiosa della comunità parrocchiale. Tutti devono cooperare perché la parrocchia non sia solo il luogo delle Celebrazioni e degli incontri di Catechesi, ma sia il cuore amante della comunità o come amava affermare Giovanni XXIII la fontana del villaggio alla quale ogni viandante può dissetarsi anche solo occasionalmente. La parrocchia io l'ho sempre pensata così, senza barriere, senza esclusioni, sempre accogliente e festosa.
Nell'impegno che il Vescovo mi ha affidato nella parrocchia di San Giuseppe Lavoratore a Scalea trovo molti di quegli elementi che non ho mai avuto a disposizione nelle altre parrocchie non ultimi per importanza gli ambienti pastorali a disposizione. Di questo non mi stancherò mai di ringraziare chi mi ha preceduto per il lavoro svolto e per i sacrifici vissuti perché la parrocchia potesse avere gli ambienti di accoglienza. Rimane da vivere il prezioso lavoro educativo della conversione pastorale della mente, che non è sempre facile ma avendo a disposizione una parrocchia giovane, e anche educatori abbastanza giovani o che si ritengono tali non è un'impresa impossibile.
Il nostro modello oratoriale è quello della Parrocchia Oratoriale, anche per questo è opportuno identificarlo con il nome stesso della parrocchia: Oratorio San Giuseppe, non è altro rispetto a ciò che siamo. Per cui tutti coloro che danno la loro disponibilità al servizio educativo della comunità sanno che la formazione esige una disponibilità alla gioia, al clima di festa che sempre caratterizzare ogni iniziativa. Soprattutto è richiesta la voglia di stare bene con tutti gli educatori senza selezionare amici e non, indispensabile è la voglia di educare giocando con i ragazzi, il gioco deve sempre essere presente in ogni iniziativa, il metodo scout ci ricorda che si fa tutto con il gioco e niente per gioco.
Siamo ancora molto lontani da questo traguardo? Non ci deve preoccupare il Signore ci sostiene in questa opera e, sostenuti dall'intercessione di San Filippo Neri, San Giovanni Bosco, San Carlo Borromeo e dall'esempio di quanti ancora oggi sono felici di accogliere i ragazzi e i giovani intraprendiamo con l'ordinaria passione questa avventura dello Spirito. Ci chiede di amare, rispettare, accogliere i nostri figli e fare di tutto perché in parrocchia si sentano a casa loro. Non dobbiamo trascurare di pregare perché questa opera del Signore colga vocazioni sufficienti per portarla avanti con entusiasmo ogni giorno anche a Scalea con l'Oratorio San Giuseppe.
Iniziative di Formazione della Comunità Cristiana
Formazione Biblica - Tutte le iniziative formative e liturgiche animate dalla parrocchia saranno orientate alla formazione biblica, per venire incontro alla sete della Parola di Dio che è presente in molti cuori. L’obbiettivo immediato che ci prefiggiamo è quello di una maggiore dimestichezza nell’uso ordinario della Parola per la propria crescita spirituale, attraverso la valorizzazione della Lectio divina.
Gli itinerari formativi, impostati sull’approfondimento biblico, sono orientati a far crescere l’amore verso la Parola di Dio e la disponibilità a viverne l’annuncio nei quartieri e nelle case della Comunità durante i tempi forti dell’anno liturgico.
Iniziazione Cristiana - Seguendo quanto la Chiesa ci chiede di attualizzare, gli itinerari di formazione cristiana orientati alla Iniziazione Cristiana dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani sono impostati in chiave catecumenale. Questo significa che la Parola di Dio, la Liturgia della Chiesa, l’impegno nella Carità, il coinvolgimento attivo dei genitori sono parte integrante del cammino formativo. Pur cogliendo molte resistenza da parte delle famiglie che, in buona parte distratte dai tanti interessi del nostro tempo, continuano a vivere una prassi catechistica orientata ai sacramenti, l’azione educativa viene orientata a far crescere l’amore per vita cristiana e l’impegno nella partecipazione attiva e gioiosa alla vita di Comunità.
Formazione per le Coppie – La nostra comunità parrocchiale è formata da circa 1800 nuclei familiari. Per sostenere la crescita del protagonismo della vita cristiana nelle famiglie, e anche per rimuovere il forte arroccamento che molte famiglie vivono, si è avviato, anche in preparazione al prossimo Sinodo sulla famiglia della Chiesa Cattolica, un cammino formativo orientato alla comprensione ecclesiale del valore della vita familiare.
Questo itinerario prende spunto da quanto il Direttorio Pastorale dei Vescovi italiani propone sulla famiglia cristiana oggi, dove viene ricordato che la Parrocchia è la famiglia delle famiglie. Si spera così di poter creare, all’interno della parrocchia, un gruppo di famiglie impegnate nella propria crescita spirituale e capaci di diventare nel tempo, punto di riferimento per il coinvolgimento delle altre famiglie della comunità. Famiglie che a loro volta si rendano disponibili, con la loro testimonianza attiva, ad accompagnarsi e a sostenere il lavoro dei catechisti, per concorrere insieme alla crescita dei figli nella fede.
Vita spirituale: La liturgia della festa – La Domenica è il giorno della comunità, del ringraziamento e della lode. La Comunità cristiana sin dai primi tempi della chiesa ha vissuto questo giorno come esperienza di liberazione e di fraternità. E’ un fatto evidente a tutti la poca comprensione del significato dell’appuntamento festivo. La mancanza di una coscienza del ringraziamento verso il Signore viene evidenziata con una partecipazione frammentata e occasionale.
Un’altro dei motivi di impoverimento, per la vita di comunità, è il fatto ineludibile delle troppe messe festive che spezzettano di fatto la vita liturgica della nostra comunità. Auspichiamo di poter dimezzare, almeno in alcune occasioni festive, le tante celebrazioni per poter godere come comunità una sola celebrazione attorno all’unica mensa del Signore.
Il Gruppo di Animazione liturgica è formato da fedeli impegnati ad operare per un coinvolgimento attivo dell’assemblea liturgica festiva, personalizzando la celebrazione e valorizzando i doni dello Spirito con i quali il Signore ci chiede di vivere il Ringraziamento. Il primo obbiettivo che si prefigge è quello di coinvolgere tutto il Popolo di Dio nella comprensione della celebrazione nell’animazione liturgica.
Si spera che questo servizio alla liturgia possa concorrere a cogliere meglio l’azione che Dio compie ogni giorno per il bene della comunità dei battezzati, alimentando così il senso della riconoscenza e della disponibilità all’amore con il quale il Signore ci ama.
Gruppo dei Lettori – La proclamazione Liturgica della Parola di Dio esige una preparazione e anche un coordinamento delle disponibilità per evitare confusione, pressapochismo e per non vanificare, attraverso una proclamazione non preparata, la ricchezza che promana dall’annuncio nella liturgia. Il problema centrale non è saper leggere, ma sapere che cosa si va a leggere, o per meglio dire proclamare. Una cura particolare sarà dedicata alle persone che chiedono di annunciare la Parola, perché, la loro crescita spirituale sia permeata dal servizio che offrono alla comunità e perché loro stessi crescano sempre più nella comprensione del particolare privilegio che il Signore dona di esercitare per il bene della comunità.
Coro Parrocchiale – L’azione liturgica viene celebrata e vissuta meglio se è animata e vitalizzata dai cantori. Per cui il servizio che il coro presente in parrocchia offre, è prezioso e insostituibile. Nel ricordare che il Coro è parte integrante dell’assemblea liturgica, ci si sforzerà mediante il cammino di formazione di far comprendere sempre meglio quanto la chiesa chiede di vivere per servire la liturgia.
E’ opportuno, con un lavoro coerente e metodico, cogliere l’importanza di coinvolgere tutta l’Assemblea, per le parti che le competono, nel canto liturgico. Per quanto è possibile è opportuno eliminare ogni forma di protagonismo individuale, questo permette a tutti i fedeli di sentirsi protagonisti di questo ambito della liturgia, grazie al quale tutta la comunità cristiana diventa un inno di lode al Signore.
L’Adorazione Eucaristica – Questo appuntamento settimanale è il dono che Gesù fa alla nostra comunità, stare insieme per nutrirci dell’amore contemplato nel mistero della presenza mistica di Gesù nell’Eucaristia. E’ un momento da vivere nell’intimità con il Signore, e in questa intimità riuscire a superare, proprio in virtù della sua presenza, le tante fragilità dettate dal rispetto umano, che si accompagnano all’impegno della testimonianza nella vita di ogni giorno. In questa giornata i Sacerdoti e i Ministri Straordinari della Comunione vivono la visita agli ammalati e si rendono più disponibili per le confessioni e la direzione spirituale.
Comunità Maria – Questa esperienza ecclesiale, presente da molti anni nella nostra parrocchia, si caratterizza per la preghiera vissuta nel particolare affidamento allo Spirito Santo, la preghiera coinvolge con gioia. Questo apre a un atteggiamento estatico che coinvolge tutto il corpo nella lode al Signore. La vita del gruppo è caratterizzata dai momenti di preghiera settimanali e dall’itinerario di formazione cristiana proposto dal Centro nazionale.
Gruppo di Preghiera Maria Rifugio delle Anime – La comunità per crescere ha bisogno di pregare e di essere sostenuta con la preghiera, mettendo sempre al centro della propria attenzione coloro che sono nella sofferenza. Questo cammino spirituale designato da Natuzza, è caratterizzato dall’appuntamento mensile per la recita di tutto il Santo Rosario meditato, La preghiera è l’anima di ogni iniziativa, è l’essenziale che deve sempre precedere e accompagnare la vita della comunità.
Lo Spirito Santo e la vita di carità
E’ ancora una volta la Parola che il Santo Padre ci ha donato a incoraggiare a leggere il senso più autentico del nostro essere praticanti il dono della fede: … Sono qui per confermarvi … anche nella carità, per accompagnarvi e incoraggiarvi nel vostro cammino con Gesù Carità … nel favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi. E lo estendo anche alle Autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune. Che cosa ci viene chiesto? Semplicemente quello che lui, come successore di Pietro, sta testimoniando con la sua vita spesa instancabilmente al servizio della Chiesa Cattolica, rifiuto di ogni lusso, scelta esistenziale dei poveri e della povertà, abbandono di ogni cosa superflua o orientata all’apparire più importanti degli altri. D’altra parte se uno è cosciente della propria vocazione, della missione che gli viene affidata non ha bisogno che gli altri lo applaudano, chi cerca queste cose spesso lo fa in modo ingannevole e non corrispondendo all’amore e alla centralità che Dio deve avere negli ambienti ecclesiali e nella nostra vita.
… Incoraggio tutti voi a testimoniare la solidarietà concreta con i fratelli, specialmente quelli che hanno più bisogno di giustizia, di speranza, di tenerezza. Anche a Scalea dobbiamo fare in modo che le aggregazioni ecclesiali, ai vari livelli di partecipazione, abbiano nei loro progetti e nelle attività che ne conseguono maggiore attenzione verso i più poveri e i più abbandonati, quelli veri e sono tanti troppo spesso nascosti nella loro dignità, non quelli che, anche in questo caso, contano sull’amico di turno che comunque gli porta il pacco. Non aggregazioni per fare parate in particolari circostanze, neanche gruppi di accademie pseudo culturali che passano il loro tempo a fare dell’intrattenimento sacro e che non si sporcano mai le mani per aiutare i poveri. Ma persone che instancabilmente dedicano il loro tempo alle persone sole, agli ammalati, ai bisognosi, agli extracomunitari.
Ma allora concretamente come, nella complessità della nostra esistenza, costruire una spiritualità di comunione. Ripropongo con semplicità quanto San Giovanni Paolo II ci indicava nella Novo millennio ineunte anche perché è, nello stesso tempo, disarmante nella sua semplicità e bellissimo nel contenuto: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, cove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto.
Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del corpo mistico, dunque come “come uno che mi appartiene” per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio “un dono per me” oltre che per il fratello che lo ha ricevuto.
Spiritualità della comunione è saper “fare spazio” al fratello, portando ”i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie … senza questo cammino spirituale a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita”. (NMI 43)
Ci è stato più volte ricordato che questa è l’ora di una nuova fantasia della carità, questa fantasia ha la sua sede nel mistero comunionale dell’amore Trinitario; in Dio, comunione di Persone, che instancabilmente viene incontro alla nostra debolezza, spesso determinata dalla volontà di solitudine e alimenta modi sempre nuovi di guidare la Chiesa nel tempo.
Sappiamo tutti che la Carità si esprime non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini e solidali con chi soffre così che il gesto di aiuto sia sentito come fraterna condivisione. Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”.
Senza questa testimonianza dettata dall’amore verso gli ultimi, l’annuncio del Vangelo, che è sempre la prima carità, rischia di essere incompreso. Vogliamo ancora ricordare che la carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (cfr NMI 49).
L’attenzione ai poveri e alle povertà
Questa missione, di fronte alle grandi povertà del nostro tempo, più suscitare abbattimento, è la stessa situazione che vissero i discepoli in occasione della benedizione e frazione del pane. Gesù chiese loro di mettere a disposizione quanto potevano, e la gioia fu grande, esplosiva per tutti, fino all’inverosimile, nel constatare quanto il Signore riuscì a realizzare con la povertà condivisa. Tutti abbiamo imparato che la sorgente dell’amore è Gesù presente nel mistero Eucaristico in ogni Tabernacolo, anche nelle chiese più isolate, anche in quelle poco frequentate.
E’ una presenza che si accompagna con discrezione alla nostra vita, una presenza sempre attenta alla nostra povertà spirituale, una presenza che incoraggia ad osare sempre più sulla strada dell’amore, una presenza che invita a guardare con speranza al futuro.
Occorre sempre ricordare che la prima povertà è quella spirituale, una persona è veramente povera quando vive senza fede. Per questo con insistenza pedante incoraggiamo all’Adorazione Eucaristica sia il Giovedì sera, quando la preghiera è orientata alla santificazione Sacerdoti e per le vocazioni, sia alla Giornata Eucaristica ogni primo venerdì del mese, quando viviamo la preghiera per gli ammalati e ci rendiamo disponibili sia per il Sacramento della Confessione o Riconciliazione, sia per la Direzione Spirituale.
Altre iniziative estemporanee sono: le famiglie aiutate nel pagamento delle bollette e degli affitti, donne sole in difficoltà sostenute nelle loro necessità e urgenze, la distribuzione del “pane del giorno dopo” a circa 20 famiglie ogni mattina.
A questo si devono aggiungere la distribuzione degli aiuti in capo di vestiario attraverso il mercatino dell’usato: prevalentemente visitato da extracomunitari (abiti usati dismessi nei cambi stagione) e il Mercatino estivo per i turisti finalizzato al sostegno delle opere di carità.
Inoltre le parrocchie attraverso il coinvolgimento dei vari ministeri laicali vivono e animano le seguenti attività pastorali-aggregative: centodue tra ammalati e anziani sono visitati almeno una volta al mese.
A tutto questo occorre aggiungere il lavoro del Centro di Ascolto, struttura della Caritas diocesana che dal 2013 mette a disposizione della vicaria di Scalea, comprendente anche i paesi vicini, parte dell’8 per mille spettante alla stessa diocesi, al fine di andare incontro alle famiglie in difficoltà economica. Offre un contributo per il pagamento di bollette o altre utenze o necessità alle famiglie presentate come bisognose dalle parrocchie di appartenenza.
Caritas Parrocchiale – Sono ormai passati quasi venti anni, dall’uscita degli orientamenti pastorali degli anni ‘90 Evangelizzazione e testimonianza della Carità, nei quali veniva evidenziato che la Chiesa sollecitava ogni parrocchia a creare un organismo impegnato stabilmente a operare perché ogni parrocchia potesse diventare la casa della carità. Con costanza e instancabilmente il Santo padre Papa Francesco ci chiede che la Chiesa sia povera e attenta ai poveri.
Nella nostra città, anche a motivo del disorientamento politico e sociale che ne caratterizza questa fase storica, la parrocchia è diventata il naturale di ferimento per tutte le marginalità spirituali e sociali. La disoccupazione, la droga, le marginalità, gli immigrati, le povertà, la sofferenza, gli ammalati, l’impegno politico, la crescita sociale, la costruzione di una società più giusta esigono da parte dei cristiani una maggiore attenzione perché tutto questo diventi parte integrante della missione che il Signore ci ha affidato. Questa preoccupazione pastorale viene affidata a persone di buona volontà, che dedicano del tempo ai gravi problemi che si accompagnano alla vita di ogni giorni nelle comunità. E’ stato perciò opportuno avviare questa attività pastorale, coordinata a livello di unità Pastorale, che è orientata a far maturare, nella comunità cristiana, persone capaci e disponibili ad animare in un sincero spirito di fraternità una particolare sensibilità verso i temi riguardanti le tante povertà del nostro tempo.
Unità Pastorale
La parrocchia di San Giuseppe Lavoratore è inserita pastoralmente nella Forania di Scalea. Inoltre poiché dal 2005 la diocesi di San Marco Argentano - Scalea ha avviato l’esperienza pastorale delle Unità Pastorali, come Unità Pastorale, Scalea è formata stabilmente dalle Parrocchie Santa Maria d’Episcopio, San Nicola di Platea e San Giuseppe Lavoratore, per alcune attività formativi e servizi pastorali vi gravitano anche Santa Domenica Talao, San Nicola Arcella, Papasidero e Avena. L’unità Pastorale non è una struttura giuridicamente definita, è prima di tutto un modo di lavorare insieme di più sacerdoti in un territorio omogeneo e determinato. Comprende più parrocchie e gli altri enti ecclesiali presenti nel territorio e soggetti alla giurisdizione del Vescovo.
Le tre realtà parrocchiali, non solo dal punto di vista strettamente religioso e catechetico, ma anche per quanto riguarda l’aspetto aggregativo - educativo sono un importante punto di riferimento per la città. In questo momento di difficoltà economica e di disorientamento sociale sono diventate più necessarie e immediatamente visibile per le varie marginalità e necessità che vanno emergendo. Sono numerosi gli interventi delle Caritas e tante famiglie trovano attraverso le parrocchie, aiuto e sostegno spirituale e materiale. Le persone impegnate nelle parrocchie nelle svariate attività formative caritative, sono una ricchezza per il territorio, vi svolgono un volontariato spesso ‘silenzioso’ ma attento alla realtà, e alla lettura dei nuovi bisogni.
Alcune esperienze formative, fondamentali per la crescita dei battezzati che vi aderiscono e per l’evangelizzazione della città, vengono coordinate nella dinamica della pastorale integrata, in comunione di intenti con gli altri parroci che operano nella nostra Unità Pastorale.
Prima fra tutte l’esperienza dell’Azione Cattolica che ha operato nella nostra parrocchia per la crescita e il consolidamento della fede nei battezzati. Continua a proporre la formazione ancora oggi, nell’Unità Pastorale con molti sacrifici, e si sforza di vivere il suo servizio educativo per la crescita della fede con gli adulti, i giovani e i ragazzi.
Da molti anni, con diversa intensità, tanti fratelli e sorelle della nostra città vivono la comprensione dell’azione di Dio in loro, frequentando il Cammino Neocatecumenale. Ci si augura che questa esperienza di evangelizzazione, orientata a una più autentica comprensione dell’appartenenza a Cristo, possa suscitare sinceri aneliti di comunione e di rinnovata disponibilità alla vita della comunità cristiana.
Anche l’attività dell’AGESCI merita la nostra attenzione, per il lavoro educativo che svolge per la crescita attiva dei ragazzi e dei giovani della nostra città alla vita di fede e all’impegno sociale. L’amore per la natura e per la pace, sono doni troppo preziosi, che il Signore ci ha affidati, e meritano di essere valorizzati da tutti.
Un’altra esperienza pastorale, orientata alla valorizzazione della pietà mariana e alla comprensione della devozione alla Madonna del Carmine, celeste patrona della nostra città, viene curata mediante la Confraternita Madonna del Carmine. Questa esperienza che si caratterizza per una rilettura nell’oggi della storia delle antiche tradizioni spirituali di Scalea merita tutto il nostro sostegno e la nostra preghiera.
La Vergine Santa si accompagna al nostro cammino di Santità
Il Signore ci ha posti in questa terra la cui storia, lo abbiamo già detto, è segnata da una profonda fede in Dio e nella Vergine Santa ma anche, e noi lo sappiamo bene, da tante sofferenze e drammi umani. Ebbene la nostra gente ci insegna che non dobbiamo mai perderci d’animo, il cristiano non deve mai perdersi d’animo, ne cedere alla tentazione della disperazione e dello scetticismo, il cristiano vive con fede e nella preghiera la comprensione del progetto di Dio.
La gioia che si accompagna alla missione, non deriva dall’incoscienza, dall’illusione o dall’incapacità di leggere i drammi del nostro popolo ma dall’aver compreso che la gioia è un dono di Dio, che è un frutto dello Spirito.
La gioia, di cui noi parliamo e che abita la nostra vita nel servire il Signore, deriva ed è conseguenza del nostro dimorare in Dio, deriva dal vivere costantemente nella preghiera e dalla disponibilità sempre nuova a celebrare il suo amore per noi. Di questo facciamo esperienza se siamo coscienti della nostra appartenenza a Cristo.
La figura di Maria ci orienta nel cammino. Questo cammino, potrà apparirci un itinerario nel deserto; sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità. È l'acqua del pozzo che fa fiorire il deserto. E, come nella notte del deserto le stelle si fanno più luminose, così nel cielo del nostro cammino risplende con vigore la luce di Maria, Stella della nuova evangelizzazione, a cui fiduciosi ci affidiamo.
Vita Sacramentale
Battesimo
I genitori devono richiedere la possibilità di battezzare i figli con ampio anticipo per poter organizzare i momenti di formazione. Per educare a sentirsi parte della comunità parrocchiale e per comprendere che i Sacramenti sono un dono da vivere nella comunità, e non qualcosa di privato, i Battesimi saranno celebrati per quanto è possibile alla presenza della comunità parrocchiale. Per cui nella nostra parrocchia i Battesimi si celebrano ordinariamente durante la Messa Pro Populo Dei oppure durante la Celebrazione Festiva della vigilia.
Cresima o Confermazione
Per ricevere il Sacramento della Confermazione, occorre essere già Battezzati, aver fatto la Prima Comunione e partecipare alla vita della comunità parrocchiale. Inoltre occorre frequentare il cammino di formazione Cristiana per due anni nel gruppo della Confermazione. La Cresima o Confermazione, secondo quanto prescrive il cammino di formazione cristiana della nostra diocesi, si riceve nel periodo di Pasqua del secondo anno formativo. Gli adulti che devono ricevere questo Sacramento sono invitati a partecipare all’itinerario di formazione biblica che inizia con l'Avvento e termina con la Quaresima.
Eucaristia
Per poter partecipare pienamente alla Liturgia Eucaristica con la Prima Comunione, occorre aver ricevuto il Sacramento del Battesimo. Inoltre occorre aver frequentato il cammino di Formazione Cristiana nel gruppo dell'Accoglienza, che educa a sentirsi parte della comunità cristiana, per due anni; e in quello dell'Eucaristia, che educa al ringraziamento per tutto quello che il Signore ci ha dato, per tre anni. Per poter vivere in modo completo la formazione è indispensabile il pieno coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi nelle varie fasi dell’itinerario. Questo sacramento si riceve ordinariamente in quinta elementare.
Riconciliazione o Penitenza (Confessione)
Il Sacramento, nel cammino di preparazione dell’Iniziazione Cristiana, si riceve durante una giornata penitenziale, nella Quaresima che precede la Prima partecipazione alla Comunione Eucaristica. Per vivere ordinariamente il dono della Misericordia di Dio, per evitare di vivere questo mistero d’amore in modo frettoloso si chiede di venire per tempo in chiesa, non all’ultimo momento per una benedizione; i sacerdoti sono presenti e disponibili, almeno mezz’ora prima che inizi la Liturgia Eucaristica. La parrocchia organizza la liturgia comunitaria della Penitenza in Avvento per prepararsi al Natale del Signore, in Quaresima per celebrare degnamente la Pasqua di Resurrezione. Per quanto concerne gli adulti si ricorda che occorre confessare i propri peccati e non quelli degli altri, che bisogna vivere con piena disponibilità la conversione della propria vita, e operare per rimuovere il peccato dal proprio modo di parlare e di agire.
Padrini
Per poter fare da Padrini/Madrine ai Sacramenti di Iniziazione Cristiana (Battesimo e Cresima) è necessario: Aver ricevuto i Sacramenti di Iniziazione Cristiana. Aver compiuto 16 anni. Frequentare possibilmente la vita della Comunità. Non avere impedimenti morali, non vivere in situazioni canoniche e sociali irregolari.
Unzione dei Malati
Il Signore nella sua vita terrena è spesso intervenuto per alleviare le sofferenze e guarire dalle malattie, la comunità cristiana fin dal suo sorgere ha ritenuto di dover continuare l’opera del Signore donando nell’azione pastorale una particolare attenzione ai sofferenti. Nella parrocchia la visita agli ammalati e agli anziani impossibilitati a muoversi si fa ogni mese, con la collaborazione dei Ministri Straordinari della Comunione in occasione del primo venerdì. Inoltre gli operatori della Caritas sono impegnati a visitare periodicamente gli ammalati per il conforto della preghiera e per far loro sperimentare l’affetto e l’attenzione della comunità. Per quanto concerne il Sacramento dell’Unzione si ritiene sia opportuno che il malato lo riceva mentre è cosciente del suo stato di sofferente, senza attendere gli ultimi momenti di vita, quando ormai non ha coscienza del dono che riceve nella Grazia di Dio, mediante l’azione sacramentale della Chiesa.
Matrimonio
E’ il Sacramento della partecipazione all’azione creatrice di Dio e dell’amore sponsale, è perciò importante maturare una coscienza vocazionale del legame matrimoniale. Per la celebrazione del matrimonio occorre aver ricevuto i Sacramenti dell'iniziazione Cristiana: Battesimo, Eucaristia, Confermazione. Inoltre è indispensabile, per una migliore comprensione del Sacramento e degli impegni canonici e civili che ne derivano, aver frequentato il cammino di formazione al Matrimonio cristiano nell’Unità Pastorale ove si ha il domicilio o la residenza.
Per le pubblicazioni occorre portare: I certificati cumulativi di Cittadinanza, Residenza e Stato Libero dei fidanzati. Se domiciliati (non necessariamente residenti) in altra parrocchia si devono portare i certificati di Battesimo e di Cresima. Se domiciliati in altra Diocesi anche il certificato di Stato Libero
Esequie
Secondo quanto prevede il Diritto Canonico le esequie possono essere celebrate dove lo ritengono gli interessati, senza alcun vincolo legato all’appartenenza territoriale. L’azione liturgica è uguale per tutti i defunti, onde evitare disparità tra i ricchi e i poveri. Per quanto è possibile, la vigilia delle esequie, è celebrata una veglia di preghiera nella casa del defunto. Per quanto concerne la celebrazione delle Esequie, il corteo si snoda dalla casa del defunto alla Chiesa parrocchiale. L’azione liturgica esequiale termina per tutti nella Chiesa parrocchiale.
CONSIGLIO PARROCCHIALE AFFARI ECONOMICI
Scalea 1 gennaio 2015
Statuto
Art. 1
Il Consiglio Parrocchiale per gli affari economici della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore (qui di seguito più brevemente denominato (C.P.A.E.) costituito dal Parroco in attuazione del can. 537 del Codice di Diritto Canonico, è l'organo di collaborazione dei fedeli con il Parroco nella gestione amministrava della Parrocchia.
Art. 2
Il CPAE ha i seguenti scopi:
1. coadiuvare il parroco nel predisporre il bilancio preventivo della parrocchia, elencando le voci di spesa prevedibili per i vari settori di attività e individuando i relativi mezzi di copertura;
2. approvare alla fine di ciascun esercizio, previo esame dei libri contabili e della relativa documentazione, il rendiconto consuntivo;
3. esprimere il parere sugli atti di straordinaria amministrazione;
4. curare l'aggiornamento annuale dello stato patrimoniale della Parrocchia, il deposito dei relativi atti e documenti presso la Curia diocesana (can. 1284, § 2, n. 9) e l'ordinata archiviazione delle copie negli uffici parrocchiali.
Regolamento
Art. 1
Il C.P.A.E. è composto dal parroco, che di diritto ne è il Presidente, dai Vicari parrocchiali e da almeno tre fedeli nominati dal Parroco, sentito il parere del Consiglio Pastorale o, in sua mancanza, di persone mature e prudenti; i consiglieri devono essere eminenti per integrità morale, attivamente inseriti nella vita parrocchiale, capaci di valutare le scelte economiche con spirito ecclesiale e possibilmente esperti in diritto o in economia.
I loro nominativi devono essere comunicati alla Curia Diocesana almeno quindici giorni prima del loro insediamento.
I membri del C.P.A.E. durano in carica tre anni e il loro mandato può essere rinnovato.
Per la durata del loro mandato i consiglieri non possono essere revocati se non per gravi e documentati motivi.
Art. 2
Non possono essere nominati membri del C.P.A.E. i congiunti del Parroco fino al quarto grado di consanguineità o di affini e quanti hanno in essere rapporti economici con la parrocchia.
Art. 3
Spetta al Presidente:
1. la convocazione e la presidenza del C.P.A.E.
2. la fissazione dell'ordine del giorno di ciascuna riunione;
3. la presidenza delle riunioni.
Art. 4
Il C.P.A.E. ha funzione consultiva non deliberativa. In esso tuttavia si esprime la collaborazione responsabile dei fedeli nella gestione amministrativa della Parrocchia in conformità al can. 212, § 3. Il Parroco ne ricercherà e ne ascolterà attentamente il parere, non se ne discosterà se non per gravi motivi e ne userà ordinariamente come valido strumento per l'amministrazione della Parrocchia.
Ferma resta, in ogni caso, la legale rappresentanza della Parrocchia che in tutti negozi giuridici spetta al parroco, il quale è amministratore di tutti beni parrocchiali a norma del can. 532.
Art. 5
Il C.P.A.E. si riunisce almeno una volta al trimestre (oppure una volta al quadrimestre), nonché ogni volta che il Parroco lo ritenga opportuno, o che ne sia fatta a quest'ultimo richiesta da almeno due membri del Consiglio.
Alle riunioni del C.P.A.E. potranno partecipare, ove necessario, su invito del Presidente, anche altre persone in qualità di esperti.
Ogni consigliere ha facoltà di far mettere a verbale tutte le osservazioni che ritiene opportuno fare.
Art. 6
Nei casi di morte, di dimissioni, di revoca o di permanente invalidità di uno o più membri del C.P.A.E., il Parroco provvede, entro quindici giorni, a nominarne i sostituti. I consiglieri cosi nominati rimangono in carica fino alla scadenza del mandato del Consiglio stesso e possono essere confermati dalla successiva scadenza.
Art. 7
L'esercizio finanziario della Parrocchia va dal 1°gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Alla fine di ciascun esercizio, e comunque entro il 31 marzo successivo, il bilancio consuntivo, debitamente firmato dai membri del Consiglio, sarà sottoposto dal Parroco al Vescovo diocesano.
Art. 8
Il C.P.A.E. presenta al Consiglio Pastorale Parrocchiale il bilancio consuntivo annuale e porta a conoscenza della comunità parrocchiale le componenti essenziali delle entrate e delle uscite verificatesi nel corso dell'esercizio nonché il rendiconto analitico dell'utilizzazione delle offerte fatte dai fedeli, indicando anche le opportune iniziative per l'incremento delle risorse necessarie per la realizzazione delle attività pastorali e per il sostentamento del clero parrocchiale.
Art. 9
Per la validità delle riunioni del Consiglio è necessaria la presenza della maggioranza dei consiglieri. I verbali del Consiglio, redatti su apposito registro devono portare la sottoscrizione del Parroco e del Segretario del Consiglio stesso e debbono essere approvati nella seduta successiva.
Art. 10
Per tutto quanto non contemplato nel presente regolamento si applicheranno le norme del Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Compongono il Consiglio per gli Affari Economici Parrocchiale per il triennio 2015/2018:
CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE
Scalea 1 gennaio 2015
Statuto
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale è l’organismo di comunione e di partecipazione alla missione salvifica della Chiesa nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea, diocesi di San Marco Argentano – Scalea. Esso si propone di curare anzitutto la vita spirituale dei suoi membri e dell’intera parrocchia, con senso di grande carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo.
Art. 1
A norma del can. 536 de Codice di Diritto Canonico e sentito il giudizio di opportunità del Vescovo diocesano, in data 1 gennaio 2015 si costituisce nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea il C.P.P.
Art. 2
Il C.P.P. è organismo di comunione e di partecipazione responsabile alla vita della comunità. E’ organo consultivo, non ha compiti esecutivi, ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.
Art. 3
Il C.P.P. studia, valuta e propone indicazioni operative su tutto ciò che riguarda l’azione pastorale della parrocchia, elaborando un piano organico di evangelizzazione che tenga conto del contesto sociale e delle molteplici esigenze spirituali e temporali dell’intera comunità.
Art. 4
Il C.P.P., nel redigere il piano pastorale, dà indicazioni operative:
Regolamento
Art. 1
Il C.P.P. è formato:
1. da membri di diritto: parroco
2. da cinque membri eletti dalla comunità;
3. da membri designati, delegati di ogni associazione, movimenti o gruppi operanti nella parrocchia: Catechisti, Gruppo Liturgico, Caritas, Comunità Maria, Responsabile Formazione Biblica, Coro parrocchiale, Gruppo di Preghiera di Maria Rifugio delle Anime.
4. Dai rappresentanti i quartieri periferici della parrocchia: Lintiscita, Campo Volo, via Mulino, via Necco, Impresa, Sant’Angelo.
I delegati rappresentanti le Aggregazioni decadono allo scadere dei loro mandati associativi.
Art. 2
Il C.P.P. dura in carica tre anni, a conclusione del mandato i componenti possono essere rieletti per un secondo triennio. Solo eccezionalmente per un terzo mandato esecutivo.
Art. 3
Sono organi del C.P.P.:
1. la Presidenza, formata da: parroco, vice-presidente laico e segretario organizzativo;
2. l’Assemblea, che è composta da tutti i membri del C.P.P. che elegge un vice-presidente laico e un segretario.
Art. 4
Il C.P.P. si riunisce quattro volte all’anno su convocazione del presidente e ogniqualvolta il presidente o la maggioranza dei membri ne faccia richiesta. Per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e la maggioranza dei membri.
Art. 5
Sono elettori e possono essere eletti, tutti i cresimati che hanno compiuto il sedicesimo anno di età e che si distinguono per testimonianza di fede, buoni costumi e prudenza cristiana.
Art. 6
Il presidente indice le elezioni per la scelta dei membri del C.P.P., un mese prima, fissandone i tempi e le modalità.
Art. 7
Le elezioni si svolgono nei luoghi convenuti dal presidente e comunicati alla data dell’indizione delle elezioni.
Art. 8
I membri da eleggere sono cinque; sono votati in una lista unica, formata da tutti coloro che si rendono disponibili a far parte del C.P.P. Le preferenze da esprimere sono due. Al candidato eletto che rinuncia, subentra il primo dei non eletti.
Art. 9
L’ assemblea del C.P.P. è convocata con invito scritto, spedito o recapitato a mano a cura del segretario, che inoltre provvederà a compilare i verbali delle sedute, e curerà il registro dei medesimi che sarà custodito nell’archivio della parrocchia.
Art. 10
L’ avviso della convocazione conterrà l’ordine del giorno, la data e il luogo della seduta, con l’orario e i contenuti fissati dalla presidenza.
Art. 11
Le persone che fanno parte del C.P.P. accettano lo statuto e il regolamento e, si impegnano, a rispettarli e a farli rispettare.
Art. 12
Il C.P.P. decade con la sede parrocchiale vacante.
Art. 13
Per tutto quanto non è contenuto nel presente statuto e regolamento, si applicano le norme del Codice di Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Il Parroco si avvarrà della collaborazione attiva dei Responsabili dei Gruppi ecclesiali e degli Ambiti pastorali, in attesa di poter definire con il nuovo anno pastorale e con la componente eletta dall'assemblea il Consiglio Pastorale ad triennium.
Per cui, per il bene delle anime della Comunità parrocchiale, cooperano con il Parroco nell'analisi, nell'impostazione, nella programmazione e nella verifica del lavoro pastorale per il triennio 2015/2018:
Messaggio per la
9ª Giornata per la custodia del creato
(1° settembre 2014)
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“Educare alla custodia del creato, per la salute dei nostri paesi e delle nostre città”
“Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette
adulterio, tutto questo dilaga e
si versa sangue su sangue. Per questo è in lutto il paese e chiunque vi
abita langue, insieme con gli
animali selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare
periscono” (Os 4,2-3).
Sembra scritta per i nostri tempi questa tremenda pagina
di Osea. Raccoglie tante nostre dolorose analisi e ben descrive lo
smarrimento che vivono molti territori inquinati in Italia e nel mondo.
Se infatti viene spezzata l’armonia creata dall’alleanza con Dio, si
spezza anche l’armonia con la terra che langue, si diventa nemici
versando sangue su sangue e il nostro cuore si chiude in paura
reciproca, con falsità e violenza.
L’alleanza resta così la categoria fondamentale della nostra fede, come
ci insegna tutto il cammino della Bibbia: la fedeltà a Dio garantisce la
reciproca fraternità e si fa ancora più dolce la bellezza del creato, in
luminosa armonia con tutti gli esseri viventi. È quel giardino in cui
Dio ha collocato l’uomo, fin dall’inizio, perché lo custodisse e lo
lavorasse.
Scrive papa Francesco: “Come esseri umani, non siamo
meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra
realtà corporea, Dio ci ha tanto strettamente uniti al mondo che ci
circonda che la desertificazione del suolo è come una malattia per
ciascuno e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una
mutilazione! Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di
distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e le future
generazioni” (Evangelii gaudium 215).
Il giardino violato
In particolare, oggi possiamo rilevare alcune
aree critiche dove il degrado è particolarmente evidente, dove questa
rottura dell’alleanza primitiva diventa devastante. Anzi, spesso il
degrado esterno manifesta la corruzione interiore del cuore e dei valori
fondativi della vita.
1. In primo luogo, viviamo con terrore l’inquinamento, che in vaste aree
del pianeta si fa sempre più pervasivo. Non sempre le attività
produttive sono condotte con il dovuto rispetto del territorio
circostante. La sete del profitto, infatti, spinge a violare tale
armonia, fino alla diffusione nell’ambiente di veri e propri veleni. Con
situazioni estreme, che diventano purtroppo fonte di tumori. Non sempre
ci accorgiamo subito di questa violenza contro il territorio. Anzi,
spesso è mistificata ed altre volte viene addirittura giustificata. Di
fatto, la consapevolezza davanti a questi comportamenti criminali
richiede tempi lunghi. Matura sempre lentamente, spesso solo tramite la
dedizione, eroica, di chi, facendo il proprio lavoro con serietà, è come
se si immolasse per creare tra la gente una adeguata coscienza della
gravità del problema.
2. Pure molto gravi sono le conseguenze disastrose determinate da eventi
meteorologici estremi. In questi ultimi mesi, per le inattese bombe
d’acqua, si registrano anche morti, oltre a distruzioni immani di case,
fabbriche e strade. Tutto un territorio è messo in ginocchio. E spesso
le città colpite restano sole o avvolte da una solidarietà solo emotiva,
superficiale. La cosa più grave è la carente consapevolezza da parte
della comunità civile nazionale circa le vere cause che a monte
determinano questi tristi eventi! Restiamo sì addolorati, ma poco
riflettiamo ed ancor meno siamo disposti a cambiare, per mettere in
discussione il nostro stile di vita!
3. Un terzo fattore di gravità è rappresentato dalla mancanza di una
vera cultura preventiva davanti ai tanti disastri sociali e
meteorologici. È l’aspetto culturale del problema, di certo l’aspetto
più preoccupante, perché completa il quadro globale della violazione del
giardino di Dio: “Siamo infatti tutti chiamati a
prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (Evangelii
gaudium 215).
Impegni conseguenti
Oggi, la coscienza ecologica è in consolante
crescita, ovunque. Anche con dolorose contrapposizioni tra ambiente e
lavoro. Specie nelle città industriali. Certo, proprio questa
accresciuta consapevolezza del dono ricevuto da Dio ci spinge a
garantire un ambiente sostenibile, per noi e per i nostri figli, nella
gioia di godere della bellezza del giardino. Con una parola chiave:
custodire.
Il papa ci ha incoraggiati, fin da subito. Nella sua omelia del 19 marzo
2013, data d’inizio del suo ministero petrino, ci ha esortato: “La
vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani perché ha
una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti.
È l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui
viviamo”. Per questo, anche in vista del Convegno
ecclesiale nazionale di Firenze 2015 attorno al nuovo umanesimo basato
su Cristo, ci permettiamo di suggerire alle nostre Chiese italiane
questiì impegni conseguenti: la coscienza di un impegno culturale; la
denuncia davanti ai disastri; la rete di speranza nel futuro.
1. La priorità dell’impegno culturale. La custodia della terra ci chiede
di amarla, vigilando con matura consapevolezza. La terra ci appartiene.
Tutti siamo chiamati a questo compito che si fa premura già nelle scuole
accrescendo la coscienza ecologica viva tra i giovani. Si tratta di
concretizzare quella “conversione ecologica” che ci porta a ritrovare il
gusto per la bellezza dellaterra e lo stupore davanti alle sue
meraviglie. Ma da qui, anche la capacità critica per cogliere le
ingiustizie presenti in un modello di sviluppo che non rispetta
l’ambiente. Abbiamo cioè bisogno diun’economia capace di generare lavoro
senza violare la terra, valorizzandola piuttosto come ricchezza
produttiva e come crescita sociale.
Si pensi alla interconnessione tra rispetto dell’ambiente, agricoltura,
turismo e benessere sociale. Solo insieme si cresce. Solo insieme saremo
competitivi, proprio perché rispettosi della tipicità
con cui Dio ha costruito l’armonia dei colori, delle lingue, delle
culture e dei volti. La catechesi può lavorare molto nel cuore dei
ragazzi portandoli alla bellezza della preghiera in una liturgia
armoniosa con il creato, nella gioia del rendere grazie e benedire il
Signore, già in famiglia,
davanti alla tavola preparata. Del resto arte e catechesi sono sempre
state in stretta alleanza con la liturgia per quel gusto della bellezza
che diventa la prima coscienza contro ogni inquinamento e quell’energia
vitale che ci permette di ricostruire i territori violati dai disastri
ambientali.
2. La denuncia davanti ai disastri ecologici. Ma la custodia del creato
è fatta anche di una chiara denuncia nei confronti di chi viola
quest’armonia del creato. È una denuncia che spesso parte da persone che
si fanno sentinelle dell’intero territorio, talvolta pagando di persona.
Siamo loro profondamente grati, perché ci hanno insegnato un metodo: ci
vuole sempre qualcuno che, come sentinella, coglie per primo i problemi
e rende consapevole tutta la comunità della gravità della situazione.
Specie davanti ai rifiuti. Chi ha tristemente inquinato, deve
consapevolmente pagare riparando il male compiuto. In particolare va
bloccata la criminalità che ha speculato sui rifiuti, seppellendoli e
creando occasione di morte, distruggendo la salubrità dell’ambiente. Ma
anche le nostre piccole violazioni quotidiane vanno segnalate, quando
siamo poco rispettosi delle regole ecologiche...
3. La rete di speranza. Siamo chiamati a fare rete lasciandoci
coinvolgere in forme di collaborazione con la società civile e le
istituzioni. Va maturata insieme una rinnovata etica civile. Per questo
è preziosa la dimensione ecumenica con cui è vissuta la giornata della
custodia del creato. È importante che nessuno resti spettatore, ma tutti
attori, vigilando con amore, pregando intensamente lo Spirito di Dio,
che rinnova la faccia della terra e accrescendo la cultura ecologica.
Matureremo così una vera cultura preventiva, trovando la forza per
riparare le ferite in modo fecondo. Solo così,
tramite questa rete, potremo andare alle radici profonde dei disastri
sociali ed ecologici, superando la superficiale emozione del momento.
Tanti nostri stili di vita vanno cambiati, per assumere la sobrietà come
risposta autentica all’inquinamento e alla distruzione del creato. Del
resto, una terra custodita è la prima fonte di lavoro per i giovani!
Siamo in un tempo di crescente consapevolezza ecologica. I giovani poi
ne sono sentinelle vigili ed efficaci. Con loro e con lo sguardo negli
occhi dei nostri bambini possiamo ancora sperare a spazi di armonia, di
vita buona e di benedizione leggendo insieme un altro testo di Osea: “E
avverrà in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed
esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo
e all’olio e questi risponderanno a Dio” (Os 2, 23-24).
La presente bozza rappresenta solo alcune linee guide sulle quali opereremo insieme perché possa delineare sempre meglio la via da seguire per costruire quanto il Signore ci ha affidato, chiedo perciò la collaborazione di tutti gli operatori pastorali perché l'opera finale sia conseguita attraverso una partecipazione corale di tutti coloro che amano la parrocchia
Su quali valori costruire la speranza
Sono quasi due anni che il Signore ci ha donato di stare insieme per lavorare in questa porzione del Regno di Dio qui a Scalea, un tempo prezioso durante il quale, insieme agli altri Parroci e a coloro che cooperano nell’impegno pastorale, abbiamo cercato di cogliere i segni della grazia che il Signore ha donato alla nostra città. Scalea si presenta come una cittadina con circa 12.000 residenti, caratterizzata ormai da molti anni dall’esplosione residenziale estiva che per molti aspetti caratterizza e stravolge il modo ordinario di relazionarci durante l’anno.
Ma non possiamo tacere la profonda preoccupazione che accompagna oggi il nostro impegno pastorale, anche alla luce di quanto è emerso in modo evidente in ordine alla illegalità diffusa che caratterizza le relazioni quotidiane. La grave crisi politica, istituzionale di questi ultimi mesi, ha reso più evidente ciò che era sommerso ma già visibile, conosciuto, da tanti ovvero l’aggressione della criminalità. L’atteggiamento conseguente della cittadinanza è oggi di paura, di sconcerto ma anche un po’ di omertà! E’ evidente una grave situazione socio-economica ma soprattutto un senso di resa, di impotenza, una mancanza di fiducia che sta invadendo ogni persona in modo trasversale. Persone di qualsiasi età o situazione sociale sembrano ancor di più non avere alcun punto di riferimento. Non si ha fiducia né nello stato, né nella giustizia, ogni riferimento è svanito e ci si sente impotenti ed inutili. A livello amministrativo si vive una fase di transizione ma anche di paralisi non vi sono riferimenti stabili istituzionali, riferimenti per la cittadinanza! (Dal Progetto Educativo del Gruppo Scout Scalea 1° Beniamino DE BONIS).
Come comunità cristiana siamo sollecitati a comprendere, con maggiore attenzione, in che modo il Signore ci chiede di renderlo presente nelle azioni di ogni giorno ordinate alla evangelizzazione, al ringraziamento e alla vita di carità. Che tradotti in atteggiamenti sociali significano lealtà verso lo stato, rispetto delle leggi, impegno nel far crescere la vivibilità e il rispetto nella città. Il Santo Padre, rivolgendosi ai cristiani di Calabria chiede di essere coraggiosi assertori del bene e del rispetto, di fare frontiera contro la cultura e la civiltà del male che è orientata al malaffare e alla sopraffazione. Chiede anche a noi di vivere con coerenza la testimonianza del bene, rigettando tutto ciò che vi si oppone e tutto quanto da spazio all’azione del male nella nostra vita e anche nella nostra città: Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Dobbiamo crescere, in una maggiore comprensione della responsabilità personale e del bisogno di un rinnovato protagonismo personale capace di coinvolgere tutti, per la costruzione della vivibilità rispettosa della legalità anche qui a Scalea. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Quando pensiamo di essere soli a lottare per il trionfo del bene, quando sembra che tutti ci abbiamo abbandonato, dobbiamo aprirci alla speranza che la presenza del Signore alimenta nei nostri cuori. E’ nella vita di preghiera che il cristiano recupera pienamente la pace interiore e il senso della propria vita da spendere nella condivisione della Croce di Cristo, manifestazione dell’amore con il quale Dio ci ama e di come dobbiamo amarci vicendevolmente.
Ma può accadere, anche per colpa di una comunità cristiana omertosa e narcisista, chiusa in se stessa, nella proprie celebrazioni, nelle proprie processioni incapace di interagire con coloro che nel territorio comunque operano, perché il bene trionfi nella semplicità di una vita spesa onestamente al servizio della propria famiglia e al servizio della comunità cristiana e sociale. Mi permetto di aggiungere che, alcune volte, anche nelle nostre comunità parrocchiali, corriamo i rischio di far transitare atteggiamenti mafiosi, quando si cerca di primeggiare a tutti i costi generando e operando ogni male nei confronti dei fratelli, semplicemente perché non la pensano come noi, che vorrebbero proporre un modo diverso di essere Chiesa o, peggio, quando si perseguono interessi personali nei luoghi resi preziosi per la presenza del Signore da testimoniare nella gratuità e nella solidarietà. Anche le nostre sagrestie, gli ambienti parrocchiali hanno bisogno di essere purificati da atteggiamenti che non testimoniano l’amore di Cristo, troppo spesso proprio in coloro che vivono quotidianamente a più stretto rapporto con Gesù.
Analisi della situazione
La nostra è una parrocchia giovane, potremmo dire che è nata da poco, o meglio, è ancora nel grembo materno in attesa di maturare una propria identità spirituale e sociale. E’ stata eretta canonicamente nel momento di massima espansione edilizia della nostra città, questi nuovi insediamenti sono stati costruiti come una grande periferia, contrassegnata dall’anonimato urbano che spersonalizza le tante anime che negli ultimi decenni sono venute ad abitarvi. Dalla Bolla di erezione della Parrocchia ci vengono ricordate le motivazioni che ne determinarono l’istituzione:
Nelle località Fischia, Cotura, Arenella di Scalea, si è verificato in questi ultimi anni un considerevole sviluppo edilizio, con conseguente aumento della popolazione. Essa, per la distanza dalla chiesa parrocchiale di San Nicola in Platea, ha ricevuto particolare assistenza spirituale … in un locale terraneo messo a disposizione da un fedele.
La stessa popolazione grata di quest’opera e sensibile ad un’assistenza completa, ha reclamato la presenza costante e giuridicamente definita del sacerdote, anche perché ad essa, nei mesi estivi, si aggiungono numerosi turisti. Pertanto, invocato il nome di Dio e della Beata Vergine Maria, col voto unanime del Capitolo Cattedrale e del Consiglio Presbiterale, col parere favorevole del Vicario Foraneo e dei due parroci di Scalea, siamo venuti nella determinazione di istituire, con la Nostra ordinaria autorità, la nuova parrocchia sotto il titolo di "San Giuseppe Operaio", dismembrandola e dividendola dalle altre due parrocchie di "San Nicola di Platea" e "Santa Maria d’Episcopio".
La nuova parrocchia è contenuta nei seguenti confini: a nord Canale Tirello fino al ponte di Via Lauro, Via Birago, Via fiume Lao fino alla Tenuta Marghetich, e lungo la Tenuta Margetich in linea retta fino al mare; ad est Ferrovia dello Stato, dalla stazione fino al Fiume Lao; a sud Fiume Lao; ad ovest Mar Tirreno.
Così abbiamo stabilito e così ordiniamo che sia fatto.
Dato a Cassano Jonio nel giorno dell’apparizione della Madonna di Lourdes
11 febbraio 1974 + Domenico Vacchiano, Vescovo
Nella responsabilità pastorale e canonica della comunità si sono succeduti Don Antonio Didona, durante il suo ministero è stata eretta la Chiesa parrocchiale, Don Michele Oliva che ha provveduto all’acquisto dei Locali pastorali, all’erezione del Campanile e alla costruzione della Chiesa della SS. Trinità. Non è possibile parlare dello zelo pastorale e delle tante iniziative con le quali, durante il loro ministero hanno inteso corrispondere all’anelito per la costruzione spirituale della porzione di Regno di Dio loro affidata.
Oggi, anche a motivo del ritorno improvviso alla Casa del Padre di Don Michele, è stata affidata a me la grave responsabilità di continuare il cammino che la comunità ha intrapreso circa quaranta anni fa. Ci è stato lasciato un esempio prezioso di entusiasmo pastorale, soprattutto dal punto di vista catechistico, che noi non dobbiamo dimenticare e dal quale abbiamo molto da imparare. La nostra è un parrocchia abitata in gran parte da coppie giovani, per cui dobbiamo continuare l’impegno di costruire la speranza per i bambini, i ragazzi e i giovani che rappresentano la vera caratteristica della nostra parrocchia e non vogliono sentirsi trascurati nelle loro attese. Questo non significa trascurare gli ambiti della pastorale, però è importante nell'ordine delle priorità per coloro che rendono disponibili alla costruzione della vita comunitaria do mettersi al servizio del futuro della parrocchia e di non arroccarsi sulla memoria del passato.
Scalea continua ad essere profondamente segnata dalla tradizione religiosa cristiana e in particolare dalla devozione alla Beata Vergine del Monte Carmelo, la dedizione filiale alla Madre celeste si accompagna in ogni famiglia di antica tradizione scaleota. Ma Scalea è una cittadina che negli anni ha subito un flusso migratorio intenso e non sempre regolarizzato, per cui gran parte di coloro che ne abitano le contrade di un tempo, ormai rappresentano la maggioranza degli abitanti della nostra cittadina. Non hanno una identità spirituale unitaria e definita, non costruiscono relazioni con coloro che abitano nei quartieri, tutti provenienti da realtà diverse e anche lontane geograficamente le une dalle altre. Questo fenomeno riguarda soprattutto la nostra parrocchia, che è abitata soprattutto da non scaleoti che non si leggono nella vita spirituale delle tradizioni religiose cittadine. Questi battezzati che possiamo definire trapiantati, rappresentano una generazione di mezzo, che con il corpo abita Scalea ma che con il cuore ha naturale nostalgia delle proprie origini. La comunità parrocchiale è andata popolandosi da stratificazioni successive di immigrazioni. I primi immigrati sono arrivati dai paesi limitrofi: Verbicaro, Orsomarso, Papasidero, Santa Maria del Cedro e ancora altri, sostanzialmente giovani alla ricerca di una stabilità lavorativa a Scalea allora in pieno sviluppo edilizio. A questi si è aggiunta una nuova generazione di immigrati molto numerosi provenienti dall’hinterland napoletano, salernitano e dal reggino, la gran parte sono arrivati per la facilità di acquistare casa, altri nella speranza di avviare attività commerciali e ancora per alti motivi, negli ultimi tempi si va sempre più caratterizzando con l'arrivo di gente che abbandona la periferia urbana per motivi economici e di crisi matrimoniali, questi cercano di costruire una stabilità familiare dove un tempo aveva acquistato la seconda casa. Infine in questi ultimi anni il flusso migratorio ha una provenienza prevalente dall’est Europa, dal Nord Africa e dall’area indiana, né va trascurata la presenza cinese. Dal Progetto Educativo del Gruppo Scout Scalea 1° Beniamino DE BONIS leggiamo: Anche sul nostro territorio negli ultimi anni la presenza di stranieri (comunitari e non) è notevolmente aumentata e già nel 2010/2011 si registravano oltre 700 stranieri residenti. Tra gli stranieri maggiormente presenti nel comune di Scalea vi sono in prevalenza cittadini provenienti dalla Romania (306), dalla Polonia (65), dal Pakistan (54), dalla Cina (37), dall’Ucraina (36), dal Marocco (33), dal Regno Unito (29), dall’Albania (26), dal Brasile (11), dalla Russia (10), dalla Tunisia (9), dalla Francia (8), dal Senegal (6), dalla Repubblica Ceca (5), agli Stati Uniti d'America (5). E’ una nuova immigrazione che da molti anni, stabilmente, va popolando la nostra città. Scalea ospita una folta colonia di immigrati che ancora oggi vivono isolati e abbandonati a se stessi, con tutto ciò che questo significa in ordine all’aumento della microcriminalità e di una illegalità diffusa, legata alle loro stabile condizione di povertà e alle loro tante situazioni socialmente irregolari. C’è un altro ambito sociale che merita tutta l’attenzione della comunità cristiana ed è fatta di persone sole e anziane che abita i quartieri fantasma costruiti, quali residenze estive, che sempre più frequentemente diventano abitazioni stabili per i poveri che abbandonano le periferie urbane e che cercano nella nostra città un po’ di accoglienza e maggiori spazi di socializzazione e di vivibilità. Ritengo sia inutile sottolineare che se quelli residenti ufficialmente sono questi, è opportuno valutare per eccesso tenendo presente anche il flusso dei non residenti o più semplicemente di tantissimi irregolari che, anche a motivo dell'incessante flusso migratorio dal nord Africa, le stime ufficiali danno in netta ascesa, per cui è facile prevedere che caratterizzeranno sempre più con la loro presenza il nostro territorio.
A questa complessa situazione migratoria, quale naturale conseguenza già adesso corrisponde, nel nostro territorio, una diversificazione anche della presenza religiosa. Come tutte le realtà del territorio inizialmente tutti erano battezzati nella Chiesa Cattolica, ma già da molti decenni si è caratterizzata più per tradizionale appartenenza che per militanza. Sembrerebbe che in ordine alla evangelizzazione e alla corresponsabilità dei laici, la comunità cristiana ha stentato molto ha fare proprio l'anelito innovatore del Concilio per cui si è proseguito nell'alveo delle tradizioni dei padri con coloro che continuavano a praticare la vita ecclesiale.
Già negli anni settanta abbiamo la prima presenza dei Testimoni di Geova, che animarono un loro luogo di culto avviando il proprio stile di proselitismo, oggi sono rappresentati da nuclei familiari abbastanza stabilizzati nella loro identità.
Alla fine degli anni settanta è nata ad opera di immigrati la Chiesa Evangelica Pentecostale, anche questa comunità ha animato un proprio luogo per il culto. Alcuni cattolici sono passati a questa confessione cristiana, cogliendo in questa appartenenza una migliore caratterizzazione della propria adesione a Cristo. Negli ultimi anni è cresciuta la presenza di cattolici Ortodossi del patriarcato di Romania e di quello di Russia è una presenza che ancora stenta a comprendersi una comunità stabilizzata anche a motivo della loro presenza lavorativo stagionale o comunque periodica. Molti si sono stabilizzati in mezzo a noi con il matrimonio.
Per quanto riguarda la presenza islamica è molto ramificata negli immigrati africani e asiatici che per il culto vivono hanno creato una moschea, anche in questo caso non tutti si relazionano in fraternità anche perché sappiamo bene che anche il mondo islamico è diviso in diverse anime spirituali e anche perché gli immigrati sono di provenienza molto diversificata tra popoli che storicamente non si relazionano politicamente.
Una presenza significativa è rappresentata da organizzazioni anticlericali, che velatamente incoraggiano ad allontanarsi dalla vita di Chiesa, come atteggiamento necessario per incrementare attività lavorative e progredire nella propria carriera. Ci sono anche altre presenze spirituali di orientamento buddista, indù e animista che ad oggi sembra che non rappresentino una comunità significativa.
La parrocchia, per far fronte a questa complessa ed eterogenea presenza umana si presenta perciò particolarmente bisognosa, come tante altre comunità cristiane della costa, di una evangelizzazione capace di restituire ai battezzati, la freschezza della novità che Gesù Cristo rappresenta per ogni uomo di ieri, di oggi e di sempre in ogni luogo. Ma ha anche bisogno di una evangelizzazione per i tanti non battezzati che vanno iniziati alla bellezza della comprensione cristiana della vita, questo si può conseguire non tanto con le parole e con atteggiamenti narcisistici di auto incensazione, ma soprattutto attraverso la testimonianza della vita di carità e della fraternità all’interno della comunità cristiana.
La nostra è una parrocchia molto complessa e articolata nella sua diversità, è evidente anche a uno sguardo superficiale, che c’è bisogno di un lungo lavoro pastorale orientato a ricomporre il collante spirituale all’interno delle famiglie e tra le varie famiglie che compongono il tessuto sociale della città. Generalmente si vive una fede di carattere abitudinario, ritualistico e tradizionale. Le famiglie nella loro gran parte non sono evangelizzate e conseguentemente stentano a cogliere la bellezza del vivere autenticamente la testimonianza del Vangelo. Anche per questo il rispetto della legge, il dovere verso il bene comune da costruire anche a prezzo del sacrificio di sé sempre non avere molto spazio nella riflessione comune dei praticanti.
L’estensione territoriale nella quale è articolata la presenza dei battezzati è un aspetto che certamente penalizza il senso di appartenenza alla vita di comunità parrocchiale. A questo va aggiunto anche la presenza della Rettoria SS. Trinità, che vivendo la proposta pastoralmente come quasi parrocchia e ordinariamente sostitutiva della parrocchia come vita liturgica, genera confusione nel cuore dei battezzati che vivono in quell'area, cosa che certamente concorre a generare ulteriore frammentazione nella vita della nostra comunità parrocchiale.
L'altro aspetta che merita tutta la nostra attenzione è la dispersione causata dal fenomeno turistico che caratterizza l’economia del territorio, la componente giovanile che, come prassi familiare, vive molto lontana dall’impegno della testimonianza cristiana, è totalmente coinvolta e assoggettata al martellante bombardamento ideologico e disorientante della cultura nichilista e pragmatica, non è facile trovare dei giovani impegnati nell'animazione della vita di evangelizzazione. Abbiamo giovani che fanno delle cose in parrocchia, ma è evidente a tutti che è un'altra cosa quello che noi dobbiamo attenderci dai giovani, nel loro essere una entusiasmante presenza nel territorio e particolarmente sensibili alla gioia della vita comune. Concorre alla dispersione delle energie giovanili anche il fenomeno della migrazione giovanile, che impoverisce delle energie culturali e operative più vive e dinamiche il territorio.
A una comunità di praticanti, che per la gran parte si presenta carica di tradizioni e abitudinaria nella pratica della fede personale, ritengo perciò, in piena comunione con l’insegnamento del Santo Padre, di dover incoraggiare con insistenza a vivere una Chiesa in uscita, aperta alla missione verso le tante periferie cittadine, periferie morali e sociali che esigono la presenza di testimoni coraggiosi del Vangelo.
La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione. (EG 25/29)
E’ necessario perseguire, ancora una volta con linearità, coerenza ed entusiasmo, l’impegno di annunciare in ogni ambiente la Buona Notizia della risurrezione del Signore. Questa notizia è la vera novità per la vita dell’uomo di ogni tempo, una novità che ha sempre alimentato l’anelito alla santità e alla fraternità, e che ha incoraggiato la comunità cristiana a testimoniare la speranza anche nelle situazioni più difficili da affrontare. Come sta accadendo davanti ai nostri occhi in Europa dal punto di vista di una persecuzione ideologica anti cristiana, e in tante parti del mondo in modo violento con una intensità spesso drammatico.
La nostra speranza, nasce dall’incontro personale con Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza che è la sorgente della nostra gioia, si trasmette per come la tradizione costante della Chiesa insegna, attraverso:
A questi valori, che sono quelli propri della vita cristiana, occorre aggiungere la capacità di aprirsi al dialogo anche con le altre energie laiche che sono vive e presenti nella nostra città. In questo modo tutti potranno attingere o almeno relazionarsi alla sorgente della speranza e della pace, che è Cristo.
Molti battezzati si sono stabilmente allontanati per i più svariati motivi, dalla vita della Chiesa, non senza la responsabilità di noi praticanti, legati in modo ottuso a tradizioni che oggi non comunicano più niente e totalmente dimentiche delle sollecitazioni dell’impegno di evangelizzazione che la Chiesa nel suo Magistero instancabilmente si sforza di rilanciare. E’ il Signore che ci chiede di operare per recuperare energie sempre nuove donando fiducia ai fratelli che ci pone accanto, con i quali dobbiamo imparare a camminare con gioia nell’amore che il Padre nutre soprattutto per i figli che vogliono ritornare nella sua Casa.
Noi parroci, aggregazioni ecclesiali e non, istituzioni civili e militari, fedeli e persone di buona volontà, tutti coloro che amiamo Scalea, oggi abbiamo questa grave responsabilità, restituire alla nostra città la speranza di cui ha urgente bisogno. Occorre restituire la fiducia nelle istituzioni, il rispetto della legge anche quando ci diventa scomodo, la ricerca dell’autentica solidarietà che orienta ogni pensiero e ogni nostra azione non tanto al proprio interesse personale quanto al bene comune: Sarete una Chiesa nella quale padri, madri, sacerdoti, religiosi, catechisti, bambini, anziani, giovani camminano l’uno accanto all’altro, si sostengono, si aiutano, si amano come fratelli, specialmente nei momenti di difficoltà.
Unità Pastorale
Le tre realtà parrocchiali, non solo dal punto di vista strettamente religioso e catechetico, ma anche per quanto riguarda l’aspetto aggregativo - educativo sono un importante punto di riferimento per la città. In questo momento di difficoltà economica sono rimaste le uniche istituzioni a cui potersi rivolgere. Sono infatti numerosi gli interventi delle Caritas e tante famiglie trovano soltanto attraverso le parrocchie, aiuto e sostegno. Le persone impegnate nelle parrocchie nelle svariate attività soprattutto caritative, sono una ricchezza per il territorio, svolgono un volontariato spesso ‘silenzioso’ ma conoscono un po’ di più la realtà, sanno leggere i nuovi bisogni.
· 234 nuclei familiari e gente di passaggio, per un totale di circa 1000 persone, aiutate attraverso beni alimentari, compreso il pacco mensile di viveri, e vestiario;
· Numerose famiglie aiutate nel pagamento delle bollette e degli affitti.
· Donne sole in difficoltà sostenute nelle loro necessità e urgenze.
· Distribuzione del “pane del giorno dopo” a circa 20 famiglie ogni mattina.
· Mercatino dell’usato: prevalentemente visitato da extracomunitari (abiti usati dismessi nei cambi stagione)
· Mercatino estivo per i turisti per finanziare le opere di carità
Attività pastorali-aggregative
· Ammalati e anziani visitati dai rispettivi parroci o collaboratori almeno una volta al mese (10 Santa Maria d’Episcopio - 22 San Nicola di Platea - 75 San Giuseppe Lavorativo)
· Ragazzi inseriti nei vari cammini di formazione (circa 600)
· Gruppi giovanili: associazioni, cori parrocchiali, oratorio (circa 150)
Caritas: Centro di ascolto. Struttura della Caritas diocesana che dal 2013 mette a disposizione della vicaria di Scalea, comprendente anche i paesi vicini, parte dell’8 per mille spettante alla stessa diocesi, al fine di andare incontro alle famiglie in difficoltà economica. Offre un contributo per il pagamento di bollette o altre utenze o necessità alle famiglie presentate come bisognose dalle parrocchie di appartenenza.
Il contesto scolastico – culturale
Sappiamo che una carriera scolastica irregolare o, comunque, difficile (abbandoni, ripetenze, frequenze irregolare, ritardi rispetto all’età) e’ sintomo di una situazione di sofferenza che può annunciare o anticipare uno stato di disagio. Il mondo della scuola soprattutto quella dell’obbligo, tenta in rare occasioni di creare un ‘ponte’ tre le famiglie e la realtà, il vissuto dei ragazzi ma il tutto è dettato solo dalla buona volontà di pochi insegnanti.
La dispersione scolastica colpisce così sempre i ragazzi piu’ svantaggiati, con situazioni familiari complesse e l’abbandono della scuola diventa l’unica strada da perseguire.
Sul territorio operano tante realtà associative con finalità diverse (educative, sportive, culturali etc.etc.) che purtroppo ancora oggi non riescono sempre e tutte a lavorare in ‘rete’ alcune durano nel tempo, altre svaniscono nel nulla. Vi è comunque, anche se non in tutte, una grande voglia di fare soprattutto nel cercare di animare il territorio, di aggregare la cittadinanza.
Una Chiesa in uscita (EG 20/24)
Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo.
La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr Lc 10,17). La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli (cfr Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi.
La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi.
L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria».[20] Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così l’annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: «Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). L’Apocalisse parla di «un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e a ogni nazione, tribù, lingua e popolo» (Ap 14,6).
Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare
La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. Primerear – prendere l’iniziativa: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!
Come conseguenza, la Chiesa sa coinvolgersi. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce.
Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad accompagnare. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti.
Fedele al dono del Signore, sa anche fruttificare. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice.
Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre festeggiare. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi.
La testimonianza della fede
Il dono della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4).
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Una Comunità corresponsabile
Di fronte alle tante povertà pastorali del nostro tempo il Signore è attento e ci sostiene con il suo Spirito, ma spesso nella comunità si guarda con difficoltà ai doni che provengono dall’alto. Le novità ministeriali alimentate dallo Spirito non sempre sono accolte nella pastorale ordinaria, alcune stentano a trovare cittadinanza nel vissuto della comunità, poiché spesso si preferisce sgomitare in spazi stretti, tra i soliti noti, mentre il Signore ci sollecita ad aprirci nella dinamica della missione.
Dobbiamo fare nostra la preoccupazione sempre più viva, già presente nelle prime comunità cristiane, della prudenza pastorale: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19-21). Lo Spirito Santo alimenta costantemente la vita della Chiesa con nuovi carismi, ma nonostante le costanti sollecitazioni del magistero non sempre la ricchezza dei carismi e dei ministeri, viene colta quale primavera dello spirito nella sua preziosità.
Siamo pienamente coscienti che gli Organismi di partecipazione laicali e le Aggregazioni ecclesiali, sono un dono del Signore alla sua Chiesa per la evangelizzazione delle tante periferie del nostro tempo. Perciò sarà nostro impegno valorizzare questo dono, coltivando e dilatando giorno per giorno, con la vostra partecipazione attiva e corresponsabile, ad ogni livello gli spazi della comunione.
E ancora, lo ripetiamo con rinnovato vigore, che la comunione deve rifulgere con trasparenza in tutti gli ambiti della vita ecclesiale:
- nei rapporti interpersonali tra i Parroci, che devono improntare le loro relazioni nell’ottica dell’Unità Pastorale con la sinergia dei carismi; facendo ogni sforzo per la realizzazione vera della pastorale integrata, superando in questo modo ogni divisione e contrapposizione negli sforzi dell’evangelizzazione della città.
- tra le varie forme di Aggregazioni laicali, che devono gareggiare nella disponibilità sempre più autentica e testimoniata all’Annuncio e non tanto nel fare i primi della classe in virtù di presunte perfezioni raggiunte e forse non sempre visibili nella testimonianza ordinaria.
La comunione è il segno luminoso che fa la differenza tra come si vive e si edifica la Chiesa e il modo di relazionarsi nella società civile. E’ tristissimo constatare che, spesso, anche persone che si ritengono impegnate nel costruire la vita della comunità stentano a cogliere il valore ineludibile della comunione.
Dobbiamo imparare sempre più ad amare, questo ci aiuterà a comprendere la preziosità di coloro che Gesù ci mette accanto e che devono sentirsi amati, inoltre concorrerà a orientare l’impegno pastorale verso una valorizzazione vera e non strumentale degli Organismi di partecipazione ecclesiali (Consiglio Pastorale Parrocchiale e Consiglio per Affari Economici), incoraggerà anche la dinamica della corresponsabilità e della comunione.
La vita di comunione deve essere condivisa tra tutti coloro che in Cristo colgono il grande dono della vita comune e della partecipazione al mistero dell’appartenenza al suo Corpo mistico. Il discepolo che Gesù amava ricorda con insistenza nel suo Vangelo e nelle Lettere che ciò Gesù si attende da noi è l’amarci con la stessa intensità con la quale lui ci ha amato. “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
La missione della parrocchia oggi
Nella parabola del pastore e della pecora perduta e ritrovata, Gesù si preoccupa di mostrare che, per il pastore, anche una sola pecora è tanto importante da indurlo a lasciare tutte le altre nel deserto, per andare a cercare l’unica che si è smarrita; e quando la ritrova, prova una grande gioia e vuole che la sua gioia sia condivisa (cfr Lc 15,4-7). Il pastore Gesù è la trasparenza dell’amore di Dio, che non abbandona nessuno, ma cerca tutti e ciascuno con passione. Tutte le scelte pastorali hanno la loro radice in quest’immagine evangelica di ardente missionarietà.
Essa appartiene in modo tutto particolare alla parrocchia. Nata come forma della comunità cristiana in grado di comunicare e far crescere la fede nella storia e di realizzare il carattere comunitario della Chiesa, la parrocchia ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Essa è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza a tutti, di apertura verso tutti, di accoglienza per tutti.
Nel cattolicesimo, in particolare in quello italiano, le parrocchie hanno indicato la “vita buona” secondo il Vangelo di Gesù e hanno sorretto il senso di appartenenza alla Chiesa. Con la sua struttura flessibile, la parrocchia è stata in grado, sia pure a volte con fatica, di rispondere alle trasformazioni sociali e alle diverse sensibilità religiose. A livello di parrocchia si coglie la verità di quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena».
Oggi, però, questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono. La consapevolezza del rischio non ci fa pessimisti: la parrocchia nel passato ha saputo affrontare i cambiamenti mantenendo intatta l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo. Ciò tuttavia non è sufficiente ad assicurarci che anche nel futuro essa sarà in grado di essere concretamente missionaria.
Perché ciò accada, dobbiamo affrontare alcuni snodi essenziali. Il primo riguarda il carattere della parrocchia come figura di Chiesa radicata in un luogo: come intercettare “a partire dalla parrocchia” i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi? Altrettanto ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E, infine, la parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro? Su questi interrogativi dobbiamo misurarci per riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.
Parrocchia oratoriale
La parola Oratorio non è usuale nei nostri ambienti pastorali per cui spesso le si dà dei contenuti che non le appartengono. Di per se significa luogo di preghiera, di ricerca spirituale, ci si rende conto perciò che non coincide con il significato ordinario che lo descrive come ambiente di svago, di divertimento, del tempo libero da vivere giocando. Nel corso dei secoli la pastorale della Chiesa lo ha riqualificato in diversi modi di vivere la fede e la comunità, per cui abbiamo gli oratori del triveneto, quelli salesiani che si ispirano all'opera di San Giovanni Bosco, quelli lombardi che si richiamano all'opera pastorale San Carlo Borromeo, quelli romani che assumono la pedagogia gioiosa di san Filippo Neri.
Dico tutto questo solo per aiutare a capire che quando operiamo nella pastorale parrocchiale, non siamo degli apprendisti stregoni che pensano di inventarsi delle cose per attirare i ragazzi e i giovani, ma semplicemente sposiamo dei metodi di vita spirituale già ampiamente sperimentati dalla Chiesa. Noi dobbiamo, per come il Signore ci dona, rendere presente nella nostra realtà parrocchiale, quella più adeguata e pedagogicamente spendibile, tenendo in debito conto delle possibilità, delle esigenze, degli ambienti a disposizione e delle finalità che ci prefiggiamo.
Per la nostra parrocchia questa parola non ha ancora un significato specifico anche perché attualmente mancano educatori maturi nella fede, disponibili a spendere per amore dei ragazzi, il proprio tempo libero al servizio della comunità. Anche l'esperienza che fino ad oggi è stata definita Oratorio, rappresenta solo un desiderio sul quale intendiamo ancora spendere le energie educative a nostra disposizione. Ma l'Oratorio non è certamente un gruppo tra gli altri gruppi appannaggio di questo o di quell'educatore. E' importante capire che la Parrocchia è Oratorio, volendo dare a questo concetto quello che i Vescovi ci dicono quando affermano che la parrocchia è casa e scuola di comunione.
Per cui non ci sono educatori che fanno Oratorio e altri che fanno altro, l'Oratorio non è appannaggio di qualcuno anche perché c'é sempre il rischio della devianza dal valore centrale che è il coinvolgimento di tutti, ma ogni attività educativa, formativa e di animazione deve concorrere in modo attivo, dinamico alla vita gioiosa della comunità parrocchiale. Tutti devono cooperare perché la parrocchia non sia solo il luogo delle Celebrazioni e degli incontri di Catechesi, ma sia il cuore amante della comunità o come amava affermare Giovanni XXIII la fontana del villaggio alla quale ogni viandante può dissetarsi anche solo occasionalmente. La parrocchia io l'ho sempre pensata così, senza barriere, senza esclusioni, sempre accogliente e festosa.
Nell'impegno che il Vescovo mi ha affidato nella parrocchia di San Giuseppe Lavoratore a Scalea trovo molti di quegli elementi che non ho mai avuto a disposizione nelle altre parrocchie non ultimi per importanza gli ambienti pastorali a disposizione. Di questo non mi stancherò mai di ringraziare chi mi ha preceduto per il lavoro svolto e per i sacrifici vissuti perché la parrocchia potesse avere gli ambienti di accoglienza. Rimane da vivere il prezioso lavoro educativo della conversione pastorale della mente, che non è sempre facile ma avendo a disposizione una parrocchia giovane, e anche educatori abbastanza giovani o che si ritengono tali non è un'impresa impossibile.
Il nostro modello oratoriale è quello della Parrocchia Oratoriale, anche per questo è opportuno identificarlo con il nome stesso della parrocchia: Oratorio San Giuseppe, non è altro rispetto a ciò che siamo. Per cui tutti coloro che danno la loro disponibilità al servizio educativo della comunità sanno che la formazione esige una disponibilità alla gioia, al clima di festa che sempre caratterizzare ogni iniziativa. Soprattutto è richiesta la voglia di stare bene con tutti gli educatori senza selezionare amici e non, indispensabile è la voglia di educare giocando con i ragazzi, il gioco deve sempre essere presente in ogni iniziativa, il metodo scout ci ricorda che si fa tutto con il gioco e niente per gioco.
Siamo ancora molto lontani da questo traguardo? Non ci deve preoccupare il Signore ci sostiene in questa opera e, sostenuti dall'intercessione di San Filippo Neri, San Giovanni Bosco, San Carlo Borromeo e dall'esempio di quanti ancora oggi sono felici di accogliere i ragazzi e i giovani intraprendiamo con l'ordinaria passione questa avventura dello Spirito. Ci chiede di amare, rispettare, accogliere i nostri figli e fare di tutto perché in parrocchia si sentano a casa loro. Non dobbiamo trascurare di pregare perché questa opera del Signore colga vocazioni sufficienti per portarla avanti con entusiasmo ogni giorno anche a Scalea con l'Oratorio San Giuseppe.
Iniziative di Formazione della Comunità Cristiana - Formazione Biblica e Catechistica
Lo Spirito del Risorto educa all’ascolto
La Parola di Dio, con la quale il Signore si accompagna alla nostra vita nella città, è una Parola che, grazie al nuovo cammino di Chiesa intrapreso con il Concilio Vaticano II, fin dalla nostra giovane età abbiamo sentito risuonare come la novità perenne della presenza di Dio nell’oggi della storia dell’uomo, è capace di illuminare di luce sempre nuova, anche la vita della Chiesa.
Mediante la Parola Gesù stesso parla al nostro cuore, e vuole orientare la nostra attenzione all’azione amante del Padre. Una azione che manifesta l’amore misericordioso del Padre che, attento alla debolezza dei suoi figli, sostiene e incoraggia la disponibilità alla costruzione del Regno con la potente azione dello Spirito Santo.
La Parola apre la nostra mente a una comprensione più vera della realtà nella quale viviamo, invita ad un modo nuovo di relazionarci, propone valori nuovi, legati alla vita nello Spirito, sui quali spendere le nostre energie ed il nostro tempo, apre all’amore vero, alla gratuità, al dono di sé: “Quando verrà il Paraclito … egli darà testimonianza di me e anche voi darete testimonianza … Lo Spirito della Verità vi guiderà a tutta la verità … egli vi annuncerà cose future … il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé …”
Queste immagini che la Parola rivitalizza nel nostro cuore, si coniugano bene con ciò che il Signore ha donato di vivere mediante il Battesimo: rendere presente l’azione dello Spirito Santo, nella disponibilità alla testimonianza, incarnando con umiltà, instancabilmente ciò che la Chiesa, in perenne ascolto della voce dello Spirito Santo, prepara per il bene della comunità umana.
Cieli nuovi e terra nuova affermerebbe l’autore dell’Apocalisse, poiché lo Spirito incoraggia a comprendere sempre come novità l’agire di Dio, che nella vita di ogni giorno si manifesta attraverso il coraggioso pellegrinare della Chiesa nel mondo.
Oggi costantemente siamo sollecitati come Battezzati, mediante l’ascolto costante della Parola e seguendo l’esempio della Vergine Immacolata, a rivisitare il nostro essere al servizio del Signore in una terra spesso provata da difficoltà obbiettivamente non sempre facili da affrontare, che da sempre si accompagnano al pellegrinare della nostra gente e che hanno sempre esigito una grande disponibilità al sacrificio.
Come dare speranza, come incoraggiare, come educare alla gioia di sentirsi liberi, come cercare in modo sempre nuovo il vivere la nostra disponibilità di servi costantemente in ascolto della Parola, come testimoniare l’ascolto della Parola nella disponibilità all’accoglienza delle tante voci che il nostro popolo costantemente eleva, nella speranza che qualcuno le ascolti. Alla comunità cristiana si chiede, da più parti con insistenza, una maggiore attenzione ai problemi sociali e politici, che certamente esigono da parte di tutti energie sempre nuove per contribuire a umanizzare la città. Come rispondere a queste attese, come continuare ad essere segno di speranza tra la nostra gente. Ma soprattutto dobbiamo porci questa domanda: che cosa lo Spirito Santo chiede di mettere al centro della nostra attenzione spirituale per costruire la pace nella comunità cristiana di Diamante.
La Missione dei Battezzati e il cammino della Croce
E’ il mistero della missione che il Signore affida alla nostra fragilità, più noi cogliamo il senso della nostra finitezza e ci apriamo al dono dello Spirito tanto più lui viene incontro alle nostre paure, ci trasforma e ci apre a una comprensione del valore infinito, quasi impossibile da cogliere nella sua pienezza, dell’impegno pastorale, una comprensione che ha in Dio il suo riferimento iniziale con la chiamata, in Dio il suo compimento nel giorno dell’incontro con la sua misericordia in paradiso.
La coscienza piena di questo progetto ci rende sereni, ci rende liberi, totalmente affidati a Dio, totalmente dediti alla missione che lui, nonostante tutti i nostri limiti, ci affida.
Come corrispondere alle tante attese della nostra gente se non con una coraggiosa coerenza nella solidarietà e nella testimonianza, completata con il sostegno della preghiera e l’annuncio della verità che libera l’uomo da tutte le schiavitù?
Il Signore ci chiede di essere sua presenza che ama i suoi figli, che ama ogni uomo. Ci chiede di confidare nella potenza dello Spirito Santo che dona a chi lo accoglie, una libertà nuova, dona gioia, dona fiducia.
Come comunità di battezzati nel mistero di comunione della SS.Trinità diventiamo più credibili, se viviamo il messaggio che il Signore ci ha affidato con la disponibilità a incarnarlo nella testimonianza a vivere nell’amore l’impegno pastorale.
In ogni attività, in tutte le relazioni deve sempre emergere il guardate come si amano delle prime comunità del Risorto. E’ questo il messaggio che i nostri fratelli e le nostre sorelle attendono, perché apre alla fraternità e conseguentemente alla fiducia nel futuro.
Il Signore ci incoraggia ad essere non tanto una Chiesa ripiegata su se stessa che piange il dramma dell’uomo del nostro tempo, ed eleva instancabile il suo lamento per i mali del mondo che lo circondano; ma soprattutto una Chiesa libera nello Spirito Santo che guarda con coraggio alla missione di restituire speranza all’uomo del nostro tempo, perché è sostenuta e illuminata dalla fede nel Signore Crocifisso e Risorto per sempre, segno di resurrezione per tutti coloro che lo cercano, che confidano nel suo aiuto, nella sua presenza, nella sua amicizia.
La catechesi è un pilastro per l'educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti!”; e per esserlo bisogna “ripartire da Cristo”, che significa “non aver paura di andare con Lui nelle periferie”. Il Pontefice ha ringraziato per il servizio dei catechisti “alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle”. Francesco poi ha puntualizzato: occorre “'essere' catechisti!”; ed ecco uno dei numerosi e consueti passaggi “a braccio” del Papa: “La Chiesa non cresce per proselitismo ma per testimonianza”, ha affermato citando Benedetto XVI. Quello del catechista non è un lavoro: “Badate bene, non ho detto 'fare' i catechisti, ma 'esserlo', perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ed 'essere' catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo”. E questo amore, “necessariamente, parte da Cristo”.
Il Papa si è soffermato sul concetto di “ripartire da Cristo”: “Che cosa significa questo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista?”. Almeno tre cose.
Innanzitutto vuole dire “avere familiarità con Lui. Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce”. Il Figlio di Dio usa l’immagine della vite e dei tralci “e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo”. Dunque quello che occorre realizzare prima di tutto “per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita!”. Il Papa che sta riformando la Chiesa attraverso la “normalità” ha raccontato una sua esperienza di vita quotidiana, “normale”: “Per me, ad esempio, è molto importante rimanere davanti al Tabernacolo; è uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. E questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene”. Il Pontefice comprende che “per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita”.
Poi, ecco il secondo elemento: ripartire da Cristo “significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché chi mette al centro della propria vita Cristo si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri”. E quello descritto dal Papa che proviene “quasi dalla fine del mondo” è “il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica... Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo”.
Infine, “ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie”. Eccola, una delle parole-chiave del pontificato di Francesco: le periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali. E qui il Papa ha suggerito “la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido”. E così “quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, fugge via, si imbarca su una nave che va lontano”. Il Pontefice ha consigliato di andare a “rileggere il Libro di Giona! E’ una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa. Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre, Dio non ha paura delle periferie”. “Dio è sempre fedele – ha proseguito - è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido, ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende”. Ma per essere fedeli, “per essere creativi, bisogna saper cambiare. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire”.
Formazione Biblica - Tutte le iniziative formative e liturgiche animate dalla parrocchia saranno orientate alla formazione biblica, per venire incontro alla sete della Parola di Dio che è presente in molti cuori. L’obbiettivo immediato che ci prefiggiamo è quello di una maggiore dimestichezza nell’uso ordinario della Parola per la propria crescita spirituale, attraverso la valorizzazione della Lectio divina.
Gli itinerari formativi, impostati sull’approfondimento biblico, sono orientati a far crescere l’amore verso la Parola di Dio e la disponibilità a viverne l’annuncio nei quartieri e nelle case della Comunità durante i tempi forti dell’anno liturgico.
Azione Cattolica - Fin dalla sua nascita, ha operato nella nostra parrocchia per la crescita e il consolidamento della fede nei battezzati.
Continua ancora oggi, nell’Unità Pastorale con molti sacrifici, a vivere il suo servizio educativo per la crescita della fede con gli adulti, i giovani e i ragazzi. L’Azione Cattolica a livello nazionale sta vivendo un profondo rinnovamento in ordine:
- alla comunione, in virtù della sua presenza capillare in ogni ambito dell’azione pastorale è chiamata ad animare la comunione nella comunità cristiana e ad alimentarla nelle relazioni con le altre presenze ecclesiali presenti nel territorio della città.
- alla formazione, dando maggiore spazio all’uso della Parola di Dio e continuando a operare, attraverso il metodo della catechesi esperienziale, la trasmissione della fede in Gesù Cristo nell’oggi della storia;
- alla missione, mediante un più attivo coinvolgimento nella vita della città attraverso la prassi delle settimane, questo concorre all’animazione della vita sociale della città, secondo quanto la Chiesa le affida di volta in volta negli itinerari formativi.
Iniziazione Cristiana - Seguendo quanto la Chiesa ci chiede di attualizzare, gli itinerari di formazione cristiana orientati alla Iniziazione Cristiana dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani sono impostati in chiave catecumenale.
Questo significa che la Parola di Dio, la Liturgia della Chiesa, l’impegno nella Carità, il coinvolgimento attivo dei genitori sono parte integrante del cammino formativo.
Pur cogliendo molte resistenza da parte delle famiglie che, in buona parte distratte dai tanti interessi del nostro tempo, continuano a vivere una prassi catechistica orientata ai sacramenti, l’azione educativa viene orientata a far crescere l’amore per vita cristiana e l’impegno nella partecipazione attiva e gioiosa alla vita di Comunità.
Formazione per le Coppie – La nostra comunità parrocchiale è formata da circa 1800 nuclei familiari. Per sostenere la crescita del protagonismo della vita cristiana nelle famiglie, e anche per rimuovere il forte arroccamento che molte famiglie vivono, si è avviato, anche in preparazione al prossimo Sinodo sulla famiglia della Chiesa Cattolica, un cammino formativo orientato alla comprensione ecclesiale del valore della vita familiare.
Questo itinerario prende spunto da quanto il Direttorio Pastorale dei Vescovi italiani propone sulla famiglia cristiana oggi, dove viene ricordato che la Parrocchia è la famiglia delle famiglie. Si spera così di poter creare, all’interno della parrocchia, un gruppo di famiglie impegnate nella propria crescita spirituale e capaci di diventare nel tempo, punto di riferimento per il coinvolgimento delle altre famiglie della comunità. Famiglie che a loro volta si rendano disponibili, con la loro testimonianza attiva, ad accompagnarsi e a sostenere il lavoro dei catechisti, per concorrere insieme alla crescita dei figli nella fede.
A queste esperienze formative non possiamo non aggiungere, nella dinamica della pastorale integrata, i tanti fratelli e sorelle della nostra comunità che vivono la comprensione dell’azione di Dio in loro, frequentando il Cammino Neocatecumenale. Questa esperienza orientata a una più autentica comprensione dell’appartenenza Cristo possa suscitare sinceri aneliti di comunione e di rinnovata disponibilità alla vita della comunità cristiana. Avendo la certezza che vivendo con umiltà e in un sincero spirito di comunione, la via dell’evangelizzazione può essere percorsa insieme, con gioia, nel Signore.
Anche l’esperienza dell’AGESCI merita la nostra attenzione, per il lavoro educativo che svolge per la crescita attiva dei ragazzi e dei giovani della nostra città alla vita di fede. L’amore per la natura e per la pace, sono doni troppo preziosi, che il Signore ci ha affidati, e meritano di essere valorizzati da tutti.
Animazione Liturgica e vita spirituale La liturgia della festa – La Domenica è il giorno della comunità, del ringraziamento e della lode. La Comunità cristiana sin dai primi tempi della chiesa ha vissuto questo giorno come esperienza di liberazione e di fraternità. E’ un fatto evidente a tutti la poca comprensione del significato dell’appuntamento festivo. La mancanza di una coscienza del ringraziamento verso il Signore viene evidenziata con una partecipazione frammentata e occasionale.
Un’altro dei motivi di impoverimento, per la vita di comunità, è il fatto ineludibile delle troppe messe festive che spezzettano di fatto la vita liturgica della nostra comunità. Auspichiamo di poter dimezzare, almeno in alcune occasioni festive, le tante celebrazioni per poter godere come comunità una sola celebrazione attorno all’unica mensa del Signore.
Animazione Liturgica – E’ un gruppo di fedeli laici impegnato ad operare per un coinvolgimento attivo dell’assemblea liturgica festiva, personalizzando la celebrazione e valorizzando i doni dello Spirito con i quali il Signore ci chiede di vivere il Ringraziamento.
Si spera che questo servizio alla liturgia possa concorrere a cogliere meglio l’azione che Dio compie ogni giorno per il bene della comunità dei battezzati, alimentando così il senso della riconoscenza e della disponibilità all’amore con il quale il Signore ci ama.
Gruppo dei Lettori – La proclamazione Liturgica della Parola di Dio esige una preparazione e anche un coordinamento delle disponibilità per evitare confusione, pressapochismo e per non vanificare, attraverso una proclamazione non preparata, la ricchezza che promana dall’annuncio nella liturgia. Il problema centrale non è saper leggere, ma sapere che cosa si va a leggere, o per meglio dire proclamare.
Una cura particolare sarà dedicata alle persone che chiedono di annunciare la Parola, perché, la loro crescita spirituale sia permeata dal servizio che offrono alla comunità e perché loro stessi crescano sempre più nella comprensione del particolare privilegio che il Signore dona di esercitare per il bene della comunità.
Coro Parrocchiale – L’azione liturgica viene celebrata e vissuta meglio se è animata e vitalizzata dai cantori. Per cui il servizio che i cori presenti in parrocchia offrono è prezioso e insostituibile. Nel ricordare che il Coro è parte integrante dell’assemblea liturgica, ci si sforzerà mediante il cammino di formazione di far comprendere sempre meglio quanto la chiesa chiede di vivere per servire la liturgia.
E’ opportuno, con un lavoro coerente e metodico, cogliere l’importanza di coinvolgere tutta l’Assemblea, per le parti che le competono, nel canto liturgico. Questo permette a tutti i fedeli di sentirsi protagonisti di questo ambito della liturgia, grazie al quale tutta la comunità cristiana diventa un inno di lode al Signore.
L’Adorazione Eucaristica – Questo appuntamento settimanale è il dono che Gesù fa alla nostra comunità, stare insieme per nutrirci dell’amore contemplato nel mistero della presenza mistica di Gesù nell’Eucaristia.
E’ un momento da vivere nell’intimità con il Signore, e in questa intimità riuscire a superare, proprio in virtù della sua presenza, le tante fragilità dettate dal rispetto umano, che si accompagnano all’impegno della testimonianza nella vita di ogni giorno.
Un momento più intenso e prolungato di contemplazione del mistero eucaristico è vissuto ogni primo venerdì del mese con la giornata eucaristica. In questa giornata i sacerdoti vivono la visita agli ammalati e si rendono più disponibili per le confessioni e la direzione spirituale.
Comunità Maria – Questa esperienza ecclesiale, presente da molti anni nella nostra comunità, si caratterizza per la preghiera vissuta nel particolare affidamento allo Spirito Santo. La preghiera è perciò vissuta con enfasi, con gioia, con particolare coinvolgimento interiore. Questo apre a un atteggiamento estatico che coinvolge tutto il corpo nella lode al Signore. La vita del gruppo è caratterizzata dai momenti di preghiera settimanali e dall’itinerario di formazione cristiana proposto dal Centro nazionale.
Gruppo di Preghiera Maria Rifugio delle Anime – La comunità per crescere ha bisogno di pregare e di essere sostenuta con la preghiera, mettendo sempre al centro della propria attenzione coloro che sono nella sofferenza. Questo cammino spirituale designato da Natuzza, è caratterizzato dall’appuntamento mensile per la recita di tutto il Santo Rosario meditato, La preghiera è l’anima di ogni iniziativa, è l’essenziale che deve sempre precedere e accompagnare la vita della comunità.
Le molte possibili risposte partono da un’unica prospettiva: restituire alla parrocchia quella figura di Chiesa eucaristica che ne svela la natura di mistero di comunione e di missione. Il Papa ricorda che «ogni domenica il Cristo risorto ci ridà come un appuntamento nel Cenacolo, dove la sera del “primo giorno dopo il sabato” (Gv 20,19) si presentò ai suoi per “alitare” su di loro il dono vivificante dello Spirito e iniziarli alla grande avventura dell’evangelizzazione»11. Nell’Eucaristia, dono di sé che Cristo offre per tutti, riconosciamo la sorgente prima, il cuore pulsante, l’espressione più alta della Chiesa che si fa missionaria partendo dal luogo della sua presenza tra le case degli uomini, dall’altare delle nostre chiese parrocchiali.
La parola parrocchia perciò ci ricorda che siamo una comunità di pellegrini, che viaggiano insieme verso la vera patria, il Cielo, e si aiutano a raggiungerla. Un po' come il Popolo ebreo in cammino verso la Terra Promessa (2). Quindi il termine parrocchia ci richiama il "santo viaggio", che da anni cerchiamo di percorrere (3).
La Christifideles laici delinea la parrocchia: "Essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alla case dei suoi figli e delle sue figlie" (4). È la Chiesa che vive sul posto. "La parrocchia - continua lo stesso documento - non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d 'unità» è «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente»" (5); e "la casa aperta a tutti e al servizio di tutti, o, come amava dire il Beato Giovanni XXIII: «la fontana del villaggio» alla quale tutti ricorrono per la loro sete" . Questa definizione ci dona una immagine dinamica della parrocchia come comunità in cammino che alimenta spiritualmente e disseta le varie generazioni. Noi cambiamo, la fontana resta. Non è dunque un paese o la chiesa in muratura, ma una vita che trabocca, una convivenza spirituale da costruire giorno per giorno.
Lo Spirito Santo e la vita di carità
A questo punto il Santo Padre incoraggia a leggere il senso più autentico del nostro essere praticanti il dono della fede: … Sono qui per confermarvi … anche nella carità, per accompagnarvi e incoraggiarvi nel vostro cammino con Gesù Carità … nel favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi. E lo estendo anche alle Autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune. Che cosa ci viene chiesto? Semplicemente quello che lui, come successore di Pietro, sta testimoniando con la sua vita spesa instancabilmente al servizio della Chiesa Cattolica, rifiuto di ogni lusso, scelta esistenziale dei poveri e della povertà, abbandono di ogni cosa superflua o orientata all’apparire più importanti degli altri. D’altra parte se uno è cosciente della propria vocazione, della missione che gli viene affidata non ha bisogno che gli altri lo applaudano, chi cerca queste cose spesso lo fa in modo ingannevole e non corrispondendo all’amore e alla centralità che Dio deve avere negli ambienti ecclesiali e nella nostra vita.
… Incoraggio tutti voi a testimoniare la solidarietà concreta con i fratelli, specialmente quelli che hanno più bisogno di giustizia, di speranza, di tenerezza. Anche a Scalea dobbiamo fare in modo che le aggregazioni ecclesiali, ai vari livelli di partecipazione, abbiano nei loro progetti e nelle attività che ne conseguono maggiore attenzione verso i più poveri e i più abbandonati, quelli veri e sono tanti troppo spesso nascosti nella loro dignità, non quelli che, anche in questo caso, contano sull’amico di turno che comunque gli porta il pacco. Non aggregazioni per fare parate in particolari circostanze, neanche gruppi di accademie pseudo culturali che passano il loro tempo a fare dell’intrattenimento sacro e che non si sporcano mai le mani per aiutare i poveri. Ma persone che instancabilmente dedicano il loro tempo alle persone sole, agli ammalati, ai bisognosi, agli extracomunitari.
Ma allora concretamente come, nella complessità della nostra esistenza, costruire una spiritualità di comunione. Ripropongo con semplicità quanto il Santo Padre Giovanni Paolo II ci indicava nella Novo millennio ineunte anche perché è, nello stesso tempo, disarmante nella sua semplicità e bellissimo nel contenuto: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, cove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità.
Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto.
Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del corpo mistico, dunque come “come uno che mi appartiene” per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio “un dono per me” oltre che per il fratello che lo ha ricevuto.
Spiritualità della comunione è saper “fare spazio” al fratello, portando ”i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie … senza questo cammino spirituale a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita”. (NMI 43)
Ci è stato più volte ricordato che questa è l’ora di una nuova fantasia della carità, questa fantasia ha la sua sede nel mistero comunionale dell’amore Trinitario; in Dio, comunione di Persone, che instancabilmente viene incontro alla nostra debolezza, spesso determinata dalla volontà di solitudine e alimenta modi sempre nuovi di guidare la Chiesa nel tempo.
Sappiamo tutti che la Carità si esprime non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini e solidali con chi soffre così che il gesto di aiuto sia sentito come fraterna condivisione. Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”.
Senza questa testimonianza dettata dall’amore verso gli ultimi, l’annuncio del Vangelo, che è sempre la prima carità, rischia di essere incompreso. Vogliamo ancora ricordare che la carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (cfr NMI 49).
L’attenzione ai poveri e alle povertà
Questa missione, di fronte alle grandi povertà del nostro tempo, più suscitare abbattimento, è la stessa situazione che vissero i discepoli in occasione della benedizione e frazione del pane.
Gesù chiese loro di mettere a disposizione quanto potevano, e la gioia fu grande, esplosiva per tutti, fino all’inverosimile, nel constatare quanto il Signore riuscì a realizzare con la povertà condivisa. Tutti abbiamo imparato che la sorgente dell’amore è Gesù presente nel mistero Eucaristico in ogni Tabernacolo, anche nelle chiese più isolate, anche in quelle poco frequentate.
E’ una presenza che si accompagna con discrezione alla nostra vita, una presenza sempre attenta alla nostra povertà spirituale, una presenza che incoraggia ad osare sempre più sulla strada dell’amore, una presenza che invita a guardare con speranza al futuro.
Occorre sempre ricordare che la prima povertà è quella spirituale, una persona è veramente povera quando vive senza fede. Per questo con insistenza pedante incoraggiamo all’Adorazione Eucaristica sia il Giovedì sera, quando la preghiera è orientata alla santificazione Sacerdoti e per le vocazioni, sia alla Giornata Eucaristica ogni primo venerdì del mese, quando viviamo la preghiera per gli ammalati e ci rendiamo disponibili sia per il Sacramento della Confessione o Riconciliazione, sia per la Direzione Spirituale.
Caritas Parrocchiale – Sono ormai passati quasi venti anni, dall’uscita degli orientamenti pastorali degli anni ‘90 Evangelizzazione e testimonianza della Carità, nei quali veniva evidenziato che la Chiesa sollecitava ogni parrocchia a creare un organismo impegnato stabilmente a operare perché ogni parrocchia potesse diventare la casa della carità.
La disoccupazione, la droga, le marginalità, gli immigrati, le povertà, la sofferenza, gli ammalati, l’impegno politico, la crescita sociale, la costruzione di una società più giusta esigono da parte dei cristiani una maggiore attenzione perché parte integrante della missione che il Signore ci ha affidato. Frequentemente questa preoccupazione pastorale viene affidata a persone di buona volontà che estemporaneamente dedicano del tempo ai gravi problemi che si accompagnano alla vita di ogni giorni nelle comunità.
E’ stato perciò opportuno avviare questa attività pastorale che è orientata a far maturare, nella comunità cristiana, persone capaci e disponibili ad animare in un sincero spirito di fraternità una particolare sensibilità verso i temi riguardanti le tante povertà del nostro tempo.
La Vergine Santa accompagna e guida il nostro cammino di Santità
Il Signore ci ha posti in questa terra la cui storia, lo abbiamo già detto, è segnata da una profonda fede in Dio e nella Vergine Santa ma anche, e noi lo sappiamo bene, da tante sofferenze e drammi umani. Ebbene la nostra gente ci insegna che non dobbiamo mai perderci d’animo, il cristiano non deve mai perdersi d’animo, ne cedere alla tentazione della disperazione e dello scetticismo, il cristiano vive con fede e nella preghiera la comprensione del progetto di Dio.
La gioia che si accompagna alla missione, non deriva dall’incoscienza, dall’illusione o dall’incapacità di leggere i drammi del nostro popolo ma dall’aver compreso che la gioia è un dono di Dio, che è un frutto dello Spirito.
La gioia, di cui noi parliamo e che abita la nostra vita nel servire il Signore, deriva ed è conseguenza del nostro dimorare in Dio, deriva dal vivere costantemente nella preghiera e dalla disponibilità sempre nuova a celebrare il suo amore per noi. Di questo facciamo esperienza se siamo coscienti della nostra appartenenza a Cristo.
La figura di Maria ci orienta nel cammino. Questo cammino, potrà apparirci un itinerario nel deserto; sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità. È l'acqua del pozzo che fa fiorire il deserto. E, come nella notte del deserto le stelle si fanno più luminose, così nel cielo del nostro cammino risplende con vigore la luce di Maria, Stella della nuova evangelizzazione, a cui fiduciosi ci affidiamo.
Vita Sacramentale
Battesimo
I genitori devono richiedere la possibilità di battezzare i figli con ampio anticipo per poter organizzare i momenti di formazione. Per educare a sentirsi parte della comunità parrocchiale e per comprendere che i Sacramenti sono un dono da vivere nella comunità, e non qualcosa di privato, i Battesimi saranno celebrati sempre alla presenza della comunità parrocchiale.
Per cui nella nostra parrocchia i Battesimi si celebrano ordinariamente durante la Messa Pro Populo Dei oppure durante la Celebrazione Festiva della vigilia.
Cresima o Confermazione
Per ricevere il Sacramento della Confermazione, occorre essere già Battezzati, aver fatto la Prima Comunione e partecipare alla vita della comunità parrocchiale.
Inoltre occorre frequentare il cammino di formazione Cristiana per due anni nel gruppo della Confermazione e della Mistagogia. La Cresima o Confermazione, secondo quanto prescrive il cammino di formazione cristiana della nostra diocesi, si riceve nel di Pasqua del secondo anno formativo.
Gli adulti che devono ricevere questo Sacramento sono invitati a partecipare all’itinerario di formazione biblica che inizia con l'Avvento e termina con la Quaresima.
Eucaristia
Per poter partecipare pienamente alla Liturgia Eucaristica con la Prima Comunione, occorre aver ricevuto il Sacramento del Battesimo.
Inoltre occorre aver frequentato il cammino di Formazione Cristiana nel gruppo dell'Accoglienza, che educa a sentirsi parte della comunità cristiana, per due anni; e in quello dell'Eucaristia, che educa al ringraziamento per tutto quello che il Signore ci ha dato, per tre anni.
Per poter vivere in modo completo la formazione è indispensabile il pieno coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi nelle varie fasi dell’itinerario. Questo sacramento si riceve ordinariamente in quinta elementare.
Riconciliazione o Penitenza (Confessione)
Il Sacramento si riceve durante una giornata penitenziale, nella Quaresima che precede la Prima partecipazione alla Comunione Eucaristica.
Questo è il dono di Gesù risorto che, alla paura presente nella condizione di peccato, manifesta la misericordia del Padre che ci ama.
Per evitare di vivere questo dono d’amore in modo frettoloso si chiede di venire per tempo in chiesa, non all’ultimo momento per una benedizione; i sacerdoti sono presenti e disponibili, almeno mezz’ora prima che inizi la Liturgia Eucaristica.
La parrocchia organizza la liturgia comunitaria della Penitenza in Avvento per prepararsi al Natale del Signore, in Quaresima per celebrare degnamente la Pasqua di Resurrezione.
Per quanto concerne gli adulti si ricorda che occorre confessare i propri peccati e non quelli degli altri, che bisogna vivere con piena disponibilità la conversione della propria vita, e operare per rimuovere il peccato dal proprio modo di parlare e di agire.
Padrini
Per poter fare da Padrini/Madrine ai Sacramenti di Iniziazione Cristiana (Battesimo e Cresima) è necessario: Aver ricevuto i Sacramenti di Iniziazione Cristiana. Aver compiuto 16 anni. Frequentare possibilmente la vita della Comunità. Non avere impedimenti morali, non vivere in situazioni canoniche e sociali irregolari.
Unzione dei Malati
Il Signore nella sua vita terrena è spesso intervenuto per alleviare le sofferenze e guarire dalle malattie, la comunità cristiana fin dal suo sorgere ha ritenuto di dover continuare l’opera del Signore donando nell’azione pastorale una particolare attenzione ai sofferenti.
Nella parrocchia la visita agli ammalati e agli anziani impossibilitati a muoversi si fa ogni mese, in occasione del primo venerdì. Inoltre un ambito degli operatori della Caritas è impegnato a visitare periodicamente gli ammalati per il conforto della preghiera e per far loro sperimentare l’affetto e l’attenzione della comunità.
Per quanto concerne il Sacramento dell’Unzione si ritiene sia opportuno che il malato lo riceva mentre è cosciente del suo stato di sofferente, senza attendere gli ultimi momenti di vita, quando ormai non ha coscienza del dono che riceve nella Grazia di Dio, mediante l’azione sacramentale della Chiesa.
Matrimonio
E’ il Sacramento della partecipazione all’azione creatrice di Dio e dell’amore sponsale, è perciò importante maturare una coscienza vocazionale del legame matrimoniale. Per la celebrazione del matrimonio occorre aver ricevuto i Sacramenti dell'iniziazione Cristiana: Battesimo, Eucaristia, Confermazione.
Inoltre è indispensabile, per una migliore comprensione del Sacramento e degli impegni canonici e civili che ne derivano, aver frequentato il cammino di formazione al Matrimonio cristiano nell’Unità Pastorale ove si ha il domicilio o la residenza.
Per le pubblicazioni occorre portare: I certificati cumulativi di Cittadinanza, Residenza e Stato Libero dei fidanzati. Se domiciliati (non necessariamente residenti) in altra parrocchia si devono portare i certificati di Battesimo e di Cresima. Se domiciliati in altra Diocesi anche il certificato di Stato Libero
Esequie
Secondo quanto prevede il Diritto Canonico le esequie possono essere celebrate dove lo ritengono gli interessati, senza alcun vincolo legato all’appartenenza territoriale. L’azione liturgica è uguale per tutti i defunti, onde evitare disparità tra i ricchi e i poveri.
Per quanto è possibile, la vigilia delle esequie, è celebrata una veglia di preghiera nella casa del defunto. Anche la sera delle esequie, come solidarietà nel dolore, si prega insieme con i parenti.
Per quanto concerne la celebrazione delle Esequie, il corteo si snoda dalla casa del defunto alla Chiesa parrocchiale. L’azione liturgica esequiale termina per tutti nella Chiesa parrocchiale.
CONSIGLIO PARROCCHIALE AFFARI ECONOMICI
Scalea 1 settembre 2014
Statuto
Art. 1
Il Consiglio Parrocchiale per gli affari economici della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore (qui di seguito più brevemente denominato (C.P.A.E.) costituito dal Parroco in attuazione del can. 537 del Codice di Diritto Canonico, è l'organo di collaborazione dei fedeli con il Parroco nella gestione amministrava della Parrocchia.
Art. 2
Il CPAE ha i seguenti scopi:
1. coadiuvare il parroco nel predisporre il bilancio preventivo della parrocchia, elencando le voci di spesa prevedibili per i vari settori di attività e individuando i relativi mezzi di copertura;
2. approvare alla fine di ciascun esercizio, previo esame dei libri contabili e della relativa documentazione, il rendiconto consuntivo;
3. esprimere il parere sugli atti di straordinaria amministrazione;
4. curare l'aggiornamento annuale dello stato patrimoniale della Parrocchia, il deposito dei relativi atti e documenti presso la Curia diocesana (can. 1284, § 2, n. 9) e l'ordinata archiviazione delle copie negli uffici parrocchiali.
Regolamento
Art. 1
Il C.P.A.E. è composto dal parroco, che di diritto ne è il Presidente, dai Vicari parrocchiali e da almeno tre fedeli nominati dal Parroco, sentito il parere del Consiglio Pastorale o, in sua mancanza, di persone mature e prudenti; i consiglieri devono essere eminenti per integrità morale, attivamente inseriti nella vita parrocchiale, capaci di valutare le scelte economiche con spirito ecclesiale e possibilmente esperti in diritto o in economia.
I loro nominativi devono essere comunicati alla Curia Diocesana almeno quindici giorni prima del loro insediamento.
I membri del C.P.A.E. durano in carica tre anni e il loro mandato può essere rinnovato.
Per la durata del loro mandato i consiglieri non possono essere revocati se non per gravi e documentati motivi.
Art. 2
Non possono essere nominati membri del C.P.A.E. i congiunti del Parroco fino al quarto grado di consanguineità o di affini e quanti hanno in essere rapporti economici con la parrocchia.
Art. 3
Spetta al Presidente:
1. la convocazione e la presidenza del C.P.A.E.
2. la fissazione dell'ordine del giorno di ciascuna riunione;
3. la presidenza delle riunioni.
Art. 4
Il C.P.A.E. ha funzione consultiva non deliberativa. In esso tuttavia si esprime la collaborazione responsabile dei fedeli nella gestione amministrativa della Parrocchia in conformità al can. 212, § 3. Il Parroco ne ricercherà e ne ascolterà attentamente il parere, non se ne discosterà se non per gravi motivi e ne userà ordinariamente come valido strumento per l'amministrazione della Parrocchia.
Ferma resta, in ogni caso, la legale rappresentanza della Parrocchia che in tutti negozi giuridici spetta al parroco, il quale è amministratore di tutti beni parrocchiali a norma del can. 532.
Art. 5
Il C.P.A.E. si riunisce almeno una volta al trimestre (oppure una volta al quadrimestre), nonché ogni volta che il Parroco lo ritenga opportuno, o che ne sia fatta a quest'ultimo richiesta da almeno due membri del Consiglio.
Alle riunioni del C.P.A.E. potranno partecipare, ove necessario, su invito del Presidente, anche altre persone in qualità di esperti.
Ogni consigliere ha facoltà di far mettere a verbale tutte le osservazioni che ritiene opportuno fare.
Art. 6
Nei casi di morte, di dimissioni, di revoca o di permanente invalidità di uno o più membri del C.P.A.E., il Parroco provvede, entro quindici giorni, a nominarne i sostituti. I consiglieri cosi nominati rimangono in carica fino alla scadenza del mandato del Consiglio stesso e possono essere confermati dalla successiva scadenza.
Art. 7
L'esercizio finanziario della Parrocchia va dal 1°gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Alla fine di ciascun esercizio, e comunque entro il 31 marzo successivo, il bilancio consuntivo, debitamente firmato dai membri del Consiglio, sarà sottoposto dal Parroco al Vescovo diocesano.
Art. 8
Il C.P.A.E. presenta al Consiglio Pastorale Parrocchiale il bilancio consuntivo annuale e porta a conoscenza della comunità parrocchiale le componenti essenziali delle entrate e delle uscite verificatesi nel corso dell'esercizio nonché il rendiconto analitico dell'utilizzazione delle offerte fatte dai fedeli, indicando anche le opportune iniziative per l'incremento delle risorse necessarie per la realizzazione delle attività pastorali e per il sostentamento del clero parrocchiale.
Art. 9
Per la validità delle riunioni del Consiglio è necessaria la presenza della maggioranza dei consiglieri. I verbali del Consiglio, redatti su apposito registro devono portare la sottoscrizione del Parroco e del Segretario del Consiglio stesso e debbono essere approvati nella seduta successiva.
Art. 10
Per tutto quanto non contemplato nel presente regolamento si applicheranno le norme del Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Compongono il Consiglio per gli Affari Economici Parrocchiale per il triennio 2013/2016.
CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE
Scalea 1 settembre 2014
Statuto
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale è l’organismo di comunione e di partecipazione alla missione salvifica della Chiesa nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea, diocesi di San Marco Argentano – Scalea. Esso si propone di curare anzitutto la vita spirituale dei suoi membri e dell’intera parrocchia, con senso di grande carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo.
Art. 1
A norma del can. 536 de Codice di Diritto Canonico e sentito il giudizio di opportunità del Vescovo diocesano, in data …… si costituisce nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore in Scalea il C.P.P.
Art. 2
Il C.P.P. è organismo di comunione e di partecipazione responsabile alla vita della comunità. E’ organo consultivo, non ha compiti esecutivi, ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.
Art. 3
Il C.P.P. studia, valuta e propone indicazioni operative su tutto ciò che riguarda l’azione pastorale della parrocchia, elaborando un piano organico di evangelizzazione che tenga conto del contesto sociale e delle molteplici esigenze spirituali e temporali dell’intera comunità.
Art. 4
Il C.P.P., nel redigere il piano pastorale, dà indicazioni operative:
Regolamento
Art. 1
Il C.P.P. è formato:
1. da membri di diritto: parroco
2. Suora dell'istituto Maria Clarac
3. da cinque membri eletti dalla comunità;
4. da membri designati, delegati di ogni associazione, movimenti o gruppi operanti nella parrocchia: Catechisti, Gruppo Liturgico, Caritas, Comunità Maria, Responsabile Formazione Biblica, Coro parrocchiale, Gruppo di Preghiera di Maria Rifugio delle Anime.
5. Dai rappresentanti i quartieri periferici della parrocchia: Lintiscita, Campo Volo, via Mulino, via Necco, Impresa, Sant’Angelo.
I delegati rappresentanti le Aggregazioni decadono allo scadere dei loro mandati associativi.
Art. 2
Il C.P.P. dura in carica tre anni, a conclusione del mandato i componenti possono essere rieletti per un secondo triennio. Solo eccezionalmente per un terzo mandato esecutivo.
Art. 3
Sono organi del C.P.P.:
1. la Presidenza, formata da: parroco, vice-presidente laico e segretario organizzativo;
2. l’Assemblea, che è composta da tutti i membri del C.P.P. che elegge un vice-presidente laico e un segretario.
Art. 4
Il C.P.P. si riunisce quattro volte all’anno su convocazione del presidente e ogniqualvolta il presidente o la maggioranza dei membri ne faccia richiesta. Per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e la maggioranza dei membri.
Art. 5
Sono elettori e possono essere eletti, tutti i cresimati che hanno compiuto il sedicesimo anno di età e che si distinguono per testimonianza di fede, buoni costumi e prudenza cristiana.
Art. 6
Il presidente indice le elezioni per la scelta dei membri del C.P.P., un mese prima, fissandone i tempi e le modalità.
Art. 7
Le elezioni si svolgono nei luoghi convenuti dal presidente e comunicati alla data dell’indizione delle elezioni.
Art. 8
I membri da eleggere sono cinque; sono votati in una lista unica, formata da tutti coloro che si rendono disponibili a far parte del C.P.P. Le preferenze da esprimere sono due. Al candidato eletto che rinuncia, subentra il primo dei non eletti.
Art. 9
L’ assemblea del C.P.P. è convocata con invito scritto, spedito o recapitato a mano a cura del segretario, che inoltre provvederà a compilare i verbali delle sedute, e curerà il registro dei medesimi che sarà custodito nell’archivio della parrocchia.
Art. 10
L’ avviso della convocazione conterrà l’ordine del giorno, la data e il luogo della seduta, con l’orario e i contenuti fissati dalla presidenza.
Art. 11
Le persone che fanno parte del C.P.P. accettano lo statuto e il regolamento e, si impegnano, a rispettarli e a farli rispettare.
Art. 12
Il C.P.P. decade con la sede parrocchiale vacante.
Art. 13
Per tutto quanto non è contenuto nel presente statuto e regolamento, si applicano le norme del Codice di Diritto Canonico.
Componenti il Consiglio
Per il corrente anno pastorale ………… il Parroco si avvarrà della collaborazione attiva dei Responsabili dei Gruppi ecclesiali e degli Ambiti pastorali, in attesa di poter definire con il nuovo anno pastorale e con la componente eletta dall'assemblea il Consiglio Pastorale ad triennium.
Per cui, per il bene delle anime della Comunità parrocchiale, cooperano con il Parroco nell'analisi, nell'impostazione, nella programmazione e nella verifica del lavoro pastorale:
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Riflessione sull’impegno cristiano a Scalea alla luce del Messaggio del Santo Padre Festa alla Madonna del Carmine 2014
Ancora una volta la Madonna del Carmine, Patrona della nostra città di Scalea ci ha donato di stare in sua compagnia, come si hanno insegnato i nostri padri abbiamo lasciato le tante attività che hanno bisogno della nostra presenza e siamo venuti ad onorare la nostra Regina, Regina di pace, Regina di amore, Regina di speranza. Qualora ne avessimo bisogno ci ha ricordato insistentemente, ancora una volta che dobbiamo: Adorare Gesù Eucaristia e camminare con Lui ... Un popolo che adora Dio e un popolo che cammina: che non sta fermo, cammina! Adorare Gesù, il suo Figlio, al quale chiede di guardare sempre con rinnovata fiducia.
Il Santo Padre ci dona di ricordare che ogni nostra azione è guidata dalla fede e non altra finalità che orientare la nostra vita all’incontro con la Sua Grazia, il Suo amore: Prima di tutto noi siamo un popolo che adora Dio. Noi adoriamo Dio che è amore, che in Gesù Cristo ha dato se stesso per noi, si è offerto sulla croce per espiare i nostri peccati e per la potenza di questo amore è risorto dalla morte e vive nella sua Chiesa. Noi non abbiamo altro Dio all’infuori di questo! E’ importante sottolineare che anche le azioni che noi parroci di Scalea abbiamo avviato in questa fase di fragilità istituzionale della nostra città, quasi supplenza per l’animazione di una maggiore visibilità e presenza della associazioni impegnate nel sociale e nella vita politica, sono dettate dalla fede nel Signore e non da ambizioni personali o dalla volontà di prevaricare dal nostro ambito istituzionale che rimane quello di evangelizzare e guidare la comunità dei cristiani all’incontro con Dio.
E’ nella fede, che anche in questo giorno santissimo abbiamo professato ai suoi piedi, la Vergine Santa ci chiede di vivere con coerenza la testimonianza, rigettando tutto ciò che vi si oppone e tutto quanto da spazio all’azione del male nella nostra vita e nella nostra città: Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Dobbiamo crescere, proprio in virtù della nostra fede nell’aiuto e nella protezione della Vergine Santa, in una maggiore comprensione della responsabilità personale e del bisogno di un rinnovato protagonismo personale capace di coinvolgere tutti, per la costruzione della vivibilità rispettosa della legalità anche qui a Scalea. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Quando pensiamo di essere soli a lottare per il trionfo del bene, quando sembra che tutti ci abbiamo abbandonato, dobbiamo aprirci alla speranza che la presenza del Signore alimenta nei nostri cuori. E’ nella vita di preghiera che il cristiano recupera pienamente la pace interiore e il senso della propria vita da spendere nella condivisione della Croce di Cristo, manifestazione dell’amore con il quale Dio ci ama e di come dobbiamo amarci vicendevolmente.
Ma può accadere, anche per colpa di una comunità cristiana omertosa e narcisista, chiusa in se stessa, nella proprie celebrazioni, nelle proprie processioni incapace di interagire con coloro che nel territorio comunque operano, perché il bene trionfi nella semplicità di una vita spesa onestamente al servizio della propria famiglia e al servizio della comunità cristiana e sociale: Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!
A queste parole che hanno trovato nei media tanta enfasi e alcune volte anche interpretazioni strumentali, mi permetto di aggiungere che, alcune volte, anche nelle nostre comunità parrocchiali, corriamo i rischio di far transitare atteggiamenti mafiosi, quando si cerca di primeggiare a tutti i costi generando e operando ogni male nei confronti dei fratelli, semplicemente perché non la pensano come noi, che vorrebbero proporre un modo diverso di essere Chiesa o, peggio, quando si perseguono interessi personali nei luoghi resi preziosi per la presenza del Signore da testimoniare nella gratuità e nella solidarietà. Anche le nostre sagrestie hanno bisogno di essere purificate da atteggiamenti che non testimoniano l’amore di Cristo, troppo spesso proprio in coloro che vivono quotidianamente a più stretto rapporto con Gesù.
A questo punto il Santo Padre incoraggia a leggere il senso più autentico del nostro essere praticanti il dono della fede: … Sono qui per confermarvi … anche nella carità, per accompagnarvi e incoraggiarvi nel vostro cammino con Gesù Carità … nel favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi. E lo estendo anche alle Autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune. Che cosa ci viene chiesto? Semplicemente quello che lui, come successore di Pietro, sta testimoniando con la sua vita spesa instancabilmente al servizio della Chiesa Cattolica, rifiuto di ogni lusso, scelta esistenziale dei poveri e della povertà, abbandono di ogni cosa superflua o orientata all’apparire più importanti degli altri. D’altra parte se uno è cosciente della propria vocazione, della missione che gli viene affidata non ha bisogno che gli altri lo applaudano, chi cerca queste cose spesso lo fa in modo ingannevole e non corrispondendo all’amore e alla centralità che Dio deve avere negli ambienti ecclesiali e nella nostra vita.
… Incoraggio tutti voi a testimoniare la solidarietà concreta con i fratelli, specialmente quelli che hanno più bisogno di giustizia, di speranza, di tenerezza. Anche a Scalea dobbiamo fare in modo che le aggregazioni ecclesiali, ai vari livelli di partecipazione, abbiano nei loro progetti e nelle attività che ne conseguono maggiore attenzione verso i più poveri e i più abbandonati, quelli veri e sono tanti troppo spesso nascosti nella loro dignità, non quelli che, anche in questo caso, contano sull’amico di turno che comunque gli porta il pacco. Non aggregazioni per fare parate in particolari circostanze, neanche gruppi di accademie pseudo culturali che passano il loro tempo a fare dell’intrattenimento sacro e che non si sporcano mai le mani per aiutare i poveri. Ma persone che instancabilmente dedicano il loro tempo alle persone sole, agli ammalati, ai bisognosi, agli extracomunitari.
E’ una nuova immigrazione che da molti anni, stabilmente, va popolando la nostra città. Scalea ospita una folta colonia di immigrati che ancora oggi vivono isolati e abbandonati a se stessi, con tutto ciò che questo significa in ordine all’aumento della microcriminalità e di una illegalità diffusa, legata alle loro stabile condizione di povertà e alle loro tante situazioni socialmente irregolari. C’è un altro ambito sociale che merita tutta l’attenzione della comunità cristiana ed è fatta di persone sole e anziane che abita i quartieri fantasma costruiti, quali residenze estive, che sempre più frequentemente diventano abitazioni stabili per i poveri che abbandonano le periferie urbane e che cercano nella nostra città un po’ di accoglienza e maggiori spazi di socializzazione e di vivibilità.
Ma da quanto tempo a Scalea si è abbandonata la via dell’amore, della vita fatta di relazioni familiari vissute nella povertà, nella semplicità, nel sacrificio e ci si è avviati in modo sistematico verso il male alimentato dal guadagno facile, dall’illegalità alimentati dai piaceri ricevuti dagli amici e non dal rispetto della legalità. Alcune volte questa domanda la pongo ad interlocutori che ritengo qualificati, proprio perché si fanno promotori o cercano di impegnarsi in attività sociali e politiche orientate all’emancipazione del territorio.
Le risposte che vengono date esprimono una semplice non conoscenza della vita sociale qui a Scalea o più semplicemente la volontà di andare in profondità al malessere che attraversa il nostro territorio, d’altra parte anche chi, stabilmente, ha vissuto l’impegno politico ed educativo, non sempre ha avuto la capacità o la volontà di uscire dal palazzo e percorrere la sempre più estesa e abbandonata periferia urbanizzata.
Se dovessi fare una ipotesi di inizio, potremmo andare a circa trenta anni fa, quando la violenza velata o pubblica, sistematica o occasionale alimentata da un clima di diffuso e assordante silenzio omertoso, in stretta concomitanza con lo sviluppo edilizio in chiave turistica, la presenza della droga, la diffusione della prostituzione ha percorso in modo sistematico le vie e le famiglie della nostra città. E’ ovvio che questi fenomeni non hanno riguardato solo Scalea, occorrerebbe allo chiedersi come mai solo Scalea ha subito le conseguenze nefaste di un commissariamento che non contribuisce certamente allo sviluppo e alla crescita del territorio. Abbiamo paesi vicini dove i fatti di sangue non sono mancati, però hanno avuto la forza politica e sociale di fare da argine allo strapotere dei violenti. Probabilmente questa arrendevolezza è dovuta al forte processo di spersonalizzazione che il territorio, ormai da decenni, vive a motivo del fenomeno immigratorio e alla debolezza politica di questa fase storica. Per cui il malaffare ha avuto gioco facile a interagire e a prevalere, naturalmente ha contribuito a questa deriva istituzionale, anche la presenza di vicini alla ricerca di facili palcoscenici ha contribuito all’affossamento definitivo.
Tutto questo ha anche troncato le speranze e le vite di tanti nostri figli, a quel tempo amici con i quali per anni abbiamo camminato e giocato insieme in modo gioioso e sereno. Con i quali abbiamo fatto anche attività di formazione cristiana e che oggi percorrono strade totalmente lontane da quanto ci avevano insegnato i nostri genitori. Per alcuni, la vita è stata stroncata presto, in modo violento. Altri oggi son in prigione essendosi caricati di crimini e di azioni violente. Oggi il malaffare appare profondamente radicato nella vita della città e non sarà facile rimuove un modo di pensare che non supportato dalla voglia di cambiare in modo radicale, anche perché sostanzialmente si pensa che tutto sommato è meglio il men peggio, insomma quello che conta è che non ci si coinvolga troppo. Per non dimenticare tanta devianza e distruzione di futuro e per i giovani che oggi abitano Scalea, il Santo Padre invoca per questi nostri fratelli e sorelle un futuro di speranza … Voi, cari giovani, non lasciatevi rubare la speranza! L’ho detto tante volte e lo ripeto una volta in più: non lasciatevi rubare la speranza! Adorando Gesù nei vostri cuori e rimanendo uniti a Lui saprete opporvi al male, alle ingiustizie, alla violenza con la forza del bene, del vero e del bello.
Noi parroci, aggregazioni ecclesiali e non, istituzioni civili e militari, fedeli e persone di buona volontà, tutti coloro che amiamo Scalea, oggi abbiamo questa grave responsabilità, restituire alla nostra città la speranza di cui ha urgente bisogno. Occorre restituire la fiducia nelle istituzioni, il rispetto della legge anche quando ci diventa scomodo, la ricerca dell’autentica solidarietà che orienta ogni pensiero e ogni nostra azione non tanto al proprio interesse personale quanto al bene comune: Sarete una Chiesa nella quale padri, madri, sacerdoti, religiosi, catechisti, bambini, anziani, giovani camminano l’uno accanto all’altro, si sostengono, si aiutano, si amano come fratelli, specialmente nei momenti di difficoltà.
La Madonna ci ha aiutato anche quest’anno, grazie all’impegno di tanti fedeli e devoti, a vivere momenti di comunione, momenti di preghiera, momenti di festa e di gioia familiare, ci ha donato la pace. Ma questo non basta, non è solo oggi che la Vergine Santa vuole restare in nostra compagnia, Lei ogni giorno chiede di trovare spazio nel nostro cuore e nella nostra vita. Con il Santo Padre anche noi vogliamo continuare ad accompagnare i nostri passi ai suoi: Maria, nostra Madre, Beata Vergine del Monte Carmelo, ci precede in questo pellegrinaggio della fede. Lei ci aiuti, ci aiuti sempre a restare uniti affinché, anche per mezzo della nostra testimonianza, il Signore possa continuare a dare la vita al mondo. Amen. Così sia.
PER UNA MIGLIORE COMPRENSIONE DELLA SETTIMANA SANTA
La celebrazione della Pasqua ritmata nel triduo pasquale, preceduto dall’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, è radicata nella tradizione delle celebrazioni che si svolgevano fin dal secondo secolo nelle chiese costruite a Gerusalemme sui luoghi santi. Questa articolazione liturgica fu trasmesse a tutta la cristianità quando la chiesa, terminate le persecuzioni, poté celebrare liberamente i riti che riguardavano gli avvenimenti principali della vita del Signore: la Cena, la Passione, la Risurrezione e infine la sua Nascita.
Questa tradizione celebrativa si rifà all’antica liturgia della Chiesa Madre di Gerusalemme. Tutto viene descritto negli appunti di pellegrinaggio che la galiziana Egeria fece alla fine del IV secolo, partecipando ai riti della Pasqua del 381.
I riti erano celebrati tutti nella mattinata, nelle chiese fatte costruire da Costantino sopra i luoghi santi. Faceva eccezione il venerdì santo, in quanto all’alba si svolgeva la liturgia al Pretorio con la riflessione della condanna, all’ora terza si venerava la Croce all’Eleona contemplando e baciandone il legno, dall’ora sesta ci si spostava al Golgota per l’agonia e la riflessione della morte all’ora nona, quindi: “Dopo il commiato, si va all’Anastasis; giunti là, viene letto il passo del Vangelo in cui Giuseppe richiede a Pilato il corpo del Signore e lo depone in un sepolcro nuovo. Letto questo passo, si dice una preghiera, si benedicono i catecumeni, poi i fedeli, e cosi ha luogo il commiato. In quel giorno non si è fatto l’invito di continuare la vigilia all’Anastasis, perché si sa che la gente è molto stanca: però c’è ugualmente la consuetudine di continuarla in quel luogo. Cosi chi vuole o, meglio, chi può, veglia ancora; chi invece non se la sente, non rimane fino al mattino; da parte loro i membri del clero seguitano a vegliare, almeno chi è più forte o più giovane; cosi durante tutta la notte fino al mattino si dicono inni e antifone. Una folla immensa non cessa di vegliare, alcuni dalla sera, altri dalla metà della notte, secondo le forze”.
Questa veglia proprio dinnanzi al sepolcro veniva accompagnata dal più rigoroso digiuno, probabilmente è questa la radice che ha originato la tradizione delle quarant’ore nel tempo della quaresima. E’ evidente l’influsso delle celebrazioni della primitiva chiesa di Gerusalemme sull’articolazione della Settimana Santa sia nella tradizione liturgica d’oriente che in quella d’occidente.
Tra le tradizioni già presenti e testimoniate dai pellegrini che si recavano in terra santa era quella dell’offerta del grano nuovo, al cosiddetto Sepolcro del Signore presso il Calvario. Occorre affermare che in se il gesto ha le sue origini nelle grandi feste di primavera presenti nella cultura rurale, che con questo gesto intendeva ringraziare e ingraziarsi il Signore o gli Dei, per i nuovi raccolti dell’anno.
E’ bene sempre ricordare che nell’ambiente di Gesù il capodanno era festeggiato con la primavera. Durante il secolo X nella Chiesa latina gradualmente si impone, , prima nel nord germanico e da qui si estende a tutto il Sacro Romano Impero, dal 965 al 975, il rito della deposizione della croce: “essa consiste anzitutto nella erezione di un sepolcro simbolico, nel quale si depone il Crocifisso dopo la processione del Venerdì Santo”.
Questo uso divenne familiare nei nostri ambienti. Al punto che in tutte le chiese invalse l’uso dell’ornamento con il grano nei giorni di giovedì e venerdì santo. L’ambiente di riferimento in cui il sepolcro prende forma, è ancora quello contadino. Il riferimento all’ambiente contadino è dato dal grano che viene utilizzato per preparare il sepolcro, dal tipo di preparazione che ricorda quella del contadino che cura il campo, e dall’uso successivo, perché è visto come segno di protezione e di assicurazione di fronte alle avversità. Il sepolcro qui può essere visto come un modo per vincere il timore della natura e per difendere il raccolto dai disastri climatici.
Le cose cambiarono tra il mille e il milleduecento, con il grande dibattito sull’Eucaristia. Siamo nel periodo della separazione tra la chiesa latina e la chiesa greca. A tutela della centralità del culto Eucaristico e per evitare una distrazione spirituale, si stabilì di mettere al centro del Sepolcro non più la Croce e i segni della morte di Cristo ma la sua presenza viva, sotto il segno del Pane Eucaristico da conservare per la comunione della Liturgia della Croce.
Per cui la Reposizione della Croce all’altare, diventato Sepolcro, si fonde con quella della riserva del Pane Eucaristico nell’Altare della Reposizione. Questa scelta segnò una distorsione dal suo significato iniziale, e nei secoli spinsero ad abbandonare il rito della deposizione della croce attorno all’altare. Infatti, nella sua comprensione più piena l’altare ricorda e rappresenta l’istituzione dell’Eucaristia e non può essere confuso con il luogo della sepoltura di Cristo, anche se in sé l’altare comporta anche la memoria del sacrificio di Cristo sulla Croce.
Nel corso dei secoli, in seguito alle varie riforme liturgiche, si è pervenuti alla definizione dell’unico altare della reposizione cancellando definitivamente il significato dei sepolcri che per tanto tempo avevano accompagnato e sostenuto la pietà popolare che in questo periodo ornava con il grano tutte le Chiese. Dalla ritualità popolare, è rimasta la tradizione per i contadini (questo in realtà non si riscontra da noi) di ornare con il grano nuovo l’altare della reposizione.
Proprio dal luogo della Reposizione o per meglio dire anticamente al luogo del Sepolcro si celebrava il Lucernario e da lì aveva inizio la processione che apriva la solenne Veglia Pasquale vissuta nella Chiesa dell’Anastasis o della Risurrezione del Signore, con la quale si concludevano i riti della Settimana Santa.
La pratica quaresimale della memoria della passione del Signore, come Via della Croce, è legata alla pietà spirituale di San Francesco d’Assisi e alla predicazione popolare dell’ordine francescano. L’omiletica era orientata a suscitare nel popolo la commozione verso i fatti accaduti durante la passione del Signore. Nel 1294 il frate domenicano Rinaldo di Monte Crucis nel descrivere il suo pellegrinaggio in Terra Santa, per la prima volta definisce come stationes le varie tappe della salita al Calvario: il Pretorio, l’incontro con le pie donne, la consegna della croce a Simone di Cirene, il luogo della spoliazione al Calvario, la tomba in cui fu sepolto. Per secoli il numero delle stationes non fu fissato, le stesse variavano a secondo della sensibilità del predicatore che le narrava.
Inizialmente si incoraggiavano i fedeli a vivere un vero pellegrinaggio in Terra Santa, ma poiché non tutti potevano, si cercò di portare gli ambienti di Gerusalemme nelle Chiese. Dal 1342 tale pratica fu diffusa specialmente dai Minori francescani, i frati con la corda, che ebbero dal Sultano l’autorizzazione a custodire i Luoghi Santi. Era istituita con la possibilità dell’indulgenza nelle chiese dei minori osservanti e riformati. Di tali tradizioni è rimasta solo la grande processione del Venerdì Santo da noi definita come Cordata, gli stessi Statuanti, che con dedizione e sacrificio si tramandano di padre in figlio la tradizione del portare i Misteri, terminati questi riti non sentono l’esigenza di continuare la loro testimonianza cristiana nelle comunità di appartenenza. Questo lo scrivo non per sminuire la preziosità di questa partecipazione, ma per incoraggiare alla testimonianza della fede per come il nostro tempo esige.
Nel 1731 il Papa Clemente XII estese la possibilità di tale istituzione in tutte le Chiesa, sempre con l’autorizzazione dei Frati Minori. Infine nel 1750, in occasione del Giubileo, ne fu codificata la ritualità sul modello della Via Crucis romana del Colosseo. Per cui furono istituzionalizzate le quattordici stazioni e l’uso delle edicolette commemorative ad opera del padre francescano San Leonardo da Porto Maurizio.
Siamo nel frattempo al Concilio Vaticano II e la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti onde evitare ogni confusione, così si esprime in riferimento alla centralità dell’Eucaristia nel triduo pasquale: “Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l'esposizione con l'ostensorio. Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di «sepolcro»: infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare «la sepoltura del Signore», ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore”. In effetti occorre concordare che non si può confondere l’altare con il luogo della sepoltura. Nel tabernacolo, soprattutto, risiede il Cristo vivente nella specie eucaristica, mentre nel sepolcro ha trovato posto, sia pure per un breve periodo, il Cristo morto.
Nella sua comprensione liturgica, oggi il Sepolcro è rappresentato dall’Ambone e da qui si spiega il significato dell’annuncio e della proclamazione della Parola come una buona novella: Cristo è Risorto! Alleluja. Fortunatamente il Signore è venuto incontro al suo popolo, e oggi possiamo affermare che la liturgia della Chiesa viene vissuta con intensità e con partecipazione popolare. Nel contempo la partecipazione alle tradizioni si mantiene sostenuta e purificata dalle esteriorità, vera manifestazione di pietà popolare.
Per la nostra parrocchia iniziamo la Settimana Santa con l’unica celebrazione delle Palme perché si viva la gioia di essere unica comunità parrocchiale attorno all’unico altare. Avremo la penitenziale il Martedì Santo con il canto del Vespro. Il Mercoledì Santo in serata viene celebrato e riflettuto in particolare il tradimento di Giuda, quindi la riflessione sulla fede in Maria modello per ogni uomo che sceglie di aderire a Cristo. Nella tradizione della Chiesa questi fatti venivano evidenziati con lo spegnimento graduale del candeliere simbolo della fede che viene meno durante il canto del Miserere, è il momento delle tenebre espresso anche con i rumori e i lamenti del popolo che riflette il proprio peccato.
Il Giovedì Santo, tutti i Sacerdoti vivono attorno al Vescovo nella Cattedrale San Marco Argentano la liturgia della Consacrazione degli Oli Sacri utilizzati nell’anno per la Celebrazione dei Sacramenti nelle varie comunità parrocchiali. In parrocchia gli Oli vengono accolti durante la Liturgia della Cena del Signore, dopo della quale all’altare della Reposizione si ha la riflessione sull’Eucaristia, sulla Croce, sulla dignità calpestata dell’uomo, sul dolore della Vergine Maria.
Il Venerdì Santo apriamo con la celebrazione dell’Ora Terza, è il momento del giudizio davanti al Pretorio quindi si snoda la processione dei misteri della passione. Quindi la sera con il Vespro vivremo la Liturgia della Croce e a seguire la riflessione sull’agonia del Signore.
Il Sabato Santo continua il grande silenzio della chiesa che medita la morte del Signore e l sua discesa agli inferi. Sarà interrotto nella mattinata dall’ora della Madre, ancora una volta ci stringiamo attorno alla Vergine Santa, solo lei la Madre del Signore può aiutarci a comprendere questo grande mistero di amore. Infine la notte del Sabato Santo si illuminerà di luce nuova con la liturgia del Lucernario. Apriamo così il nostro cuore alla speranza nuova che ci donerà la solenne Veglia di Pasqua.
BIBBIA, EROS E FAMIGLIA
(Comunicazione del Cardinale Kasper in preparazione al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia)
In questo anno internazionale della famiglia, Papa Francesco ha invitato la Chiesa a celebrare un processo sinodale sulle Sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione. Nell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium scrive: La famiglia attraversa una crisi culturale profonda come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società (EG 66).
Molte famiglie oggi devono confrontarsi con grandi difficoltà. Molti milioni di persone si trovano in situazioni di migrazione, fuga e allontanamento, oppure in condizioni di miseria indegne dell'uomo, nelle quali non è possibile una vita familiare ordinata. Il mondo attuale sta vivendo una crisi antropologica. L'individualismo e il consumismo mettono in discussione la cultura tradizionale della famiglia; le condizioni economiche e lavorative rendono spesso difficile la convivenza e la coesione in seno alla famiglia. Pertanto, il numero di coloro che hanno paura di fondare una famiglia o che falliscono nella realizzazione del loro progetto di vita è aumentato in modo drammatico, come anche quello dei bambini che non hanno la fortuna di crescere in una famiglia ordinata.
La Chiesa, che condivide le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini (GS .1) viene sfidata da questa situazione. In occasione dell'ultimo anno della famiglia, Papa
Giovanni Paolo II ha ritoccato le parole dell'Enciclica Redemptor hominis (1979): L'uomo è la via della Chiesa, affermando che la famiglia è la via della Chiesa (2 febbraio 1994). Perché normalmente la persona nasce in una famiglia, e di solito cresce nel grembo di una famiglia. In tutte le culture della storia dell'umanità la famiglia è il normale percorso dell'uomo. Anche oggi tanti giovani cercano la felicità in una famiglia stabile Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso L'insegnamento della Chiesa apre oggi a molti cristiani lontano dalla realtà e dalla vita. Però possiamo
anche dire e possiamo dirlo con gioia. Ci sono anche le famiglie che fanno del loro meglio per vivere la fede della Chiesa e che danno testimonianza della bellezza e della gioia della fede vissuta nel seno della famiglia. Spesso sono una minoranza, ma sono una minoranza significativa.
La situazione della Chiesa di oggi non è una situazione inedita. Anzi, anche la Chiesa dei primi secoli era confrontata con concetti e modelli di matrimonio e di famiglia molto diversi da quello predicato da Gesù, che era novissimo sia per i giudei che per i greci e i romani. Pertanto la nostra posizione oggi non può essere un adattamento liberale allo status quo ma una posizione radicale che va alle radici, cioè al vangelo, e di là dà un'occhiata in avanti Così sarà il compito del sinodo parlare nuovamente della bellezza e della gioia del Vangelo della famiglia che è sempre lo stesso e tuttavia sempre nuovo (EG 11). Il presente intervento non può affrontare tutte le questioni attuali, né intende anticipare i risultati del synodos, vale a dire del cammino (odos) comune (syn) dell'intera Chiesa, il cammino dell'attento ascolto reciproco, dello scambio e della preghiera. Vuole piuttosto essere una sorta di ouverture che conduce verso il tema, nella speranza che alla fine ci venga donata una symphonia, ovvero un insieme armonico di tutte le voci nella Chiesa, anche quelle che al momento sono in parte dissonanti.
Non si tratta, ora, di ribadire la dottrina della Chiesa. Ci interroghiamo sul Vangelo della famiglia e in tal modo ritorniamo alla fonte dalla quale è scaturita la dottrina. Come già affermava il Concilio di Trento, il Vangelo creduto e vissuto nella Chiesa è la fonte di ogni verità di salvezza e disciplina del costume (DH 1501; cfr. EG 36). Questo significa che la dottrina della Chiesa non è una laguna stagnante, bensì un torrente che scaturisce dalla fonte del Vangelo, nel quale è affluita l'esperienza di fede del popolo di Dio di tutti i secoli. È una tradizione viva che oggi, come molte altre volte nel corso della storia, è giunta ad un punto critico e che, in vista dei segni dei tempi (OS 4), esige di essere continuata e approfondita. Che cos'è questo Vangelo? Non è un codice giuridico. È luce e forza della vita che è Gesù Cristo. Esso dona ciò che chiede. Solo alla sua luce e nella sua forza è possibile comprendere e osservare i comandamenti. Per Tommaso d'Aquino la legge della nuova Alleanza non è una lex scripta, bensì la gratia Spiritus Sancti, quae datur per fidem Christi. Senza lo Spirito che opera nei cuori, la lettera del
Vangelo è una legge che uccide (2, Cor. 36).
Pertanto, il Vangelo della famiglia non vuole essere un peso, bensì, in quanto dono della fede, una lieta novella, luce e forza della vita nella famiglia. Giungiamo così al punto centrale. I sacramenti, anche quello del matrimonio, sono sacramenti della fede. Signa protestantia fidem, dice Tommaso d'Aquino. II Concilio Vaticano II ribadisce questa affermazione. Dice dei sacramenti: Non solo suppongono la fede, ma [...] la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono (SC 59). Anche il sacramento del matrimonio può diventare efficace ed essere vissuto solo nella fede. Dunque, la domanda essenziale è: com'è la fede dei futuri sposi e dei coniugi? Nei paesi di antica cultura cristiana osserviamo oggi il crollo di quelle che per secoli sono state ovvietà della fede cristiana e della comprensione naturale del matrimonio e della famiglia. Molte persone sono battezzate ma non evangelizzate.
Detto in termini paradossali, sono catecumeni battezzati, se non addirittura pagani battezzati. In questa situazione non possiamo partire da un elenco di insegnamenti e di comandamenti, fissarci sulle cosiddette questioni roventi. Non vogliamo e non possiamo aggirare queste domande, ma dobbiamo partire in modo radicale, ovvero dalla radice della fede dai primi elementi della fede (Eb 5, 12), e percorrere, passo dopo passo, un cammino di fede (FC 9; EG 3439).
Dio è un Dio del cammino; nella storia della salvezza ha compiuto un cammino con noi; anche la Chiesa nella sua storia ha compiuto un cammino. Oggi deve percorrerlo di nuovo insieme alle persone del presente. Non vuole imporre la fede a nessuno. Può solo presentarla e proporla come via per la felicità. Il Vangelo può convincere solo attraverso se stesso e la sua profonda bellezza.
1. La famiglia nell'ordine del creato Il Vangelo della famiglia risale ai primordi dell'umanità Le è stato dato dal Creatore nel suo cammino. Pertanto, l'istituzione del matrimonio e della famiglia è apprezzata in tutte le culture dell'umanità. Essa viene intesa come comunità di vita tra uomo e donna, insieme con i loro figli. Questa tradizione
dell'umanità ha caratteristiche differenti nelle diverse culture. In origine la famiglia era inserita nella grande famiglia, o nel clan. L'istituzione della famiglia è, pur con tutte le differenze particolari, l'ordine originale della cultura dell'umanità Non può avere un buon successo stabilire oggi una nuova definizione della famiglia, che contraddice o cambia la tradizione culturale di tutta la storia della umanità.
Le antiche culture dell'umanità consideravano le proprie usanze e le leggi dell'ordine familiare come ordine divino. Dal loro rispetto dipendevano l'esistenza, il bene e il futuro del popolo. Nel contesto del periodo assiale, i greci parlavano in maniera non più mitologica bensì, in un certo senso, illuminata, di un ordine fondato nella natura dell'uomo. San Paolo fece proprio questo modo di pensare e parlò di una legge morale naturale, inscritta da Dio nel cuore di ogni uomo (Rm 2, 14 s.).
Tutte le culture conoscono in un modo o nell'altro la regola aurea che impone di rispettare l'altro come se stessi. Nel discorso della montagna, Gesù ha ribadito questa regola aurea (Mt 7, 12; Lc 6, 31). In essa è piantato come un germoglio il comandamento dell'amore del prossimo, di amare il proprio prossimo come se stessi (Mt 22, 39). La regola aurea è considerata una sintesi del diritto naturale e di ciò che insegnano la legge e i profeti (Mt 7, 12; 22, 40; Lc 6, 31).
Il diritto naturale, che trova espressione nella regola aurea, rende possibile il dialogo con tutte le persone di buona volontà Ci offre un criterio per valutare la poligamia, i matrimoni forzati, la violenza nel matrimonio e in famiglia, il machismo, la discriminazione delle donne, la prostituzione, le condizioni economiche moderne ostili alla famiglia, le situazioni lavorative e salariali. La domanda decisiva è sempre: che cosa, nel rapporto tra uomo, donna e figli, corrisponde al rispetto della dignità dell'altro?
Per quanto utile, il diritto naturale rimane generico e, quando si tratta di questioni concrete, ambiguo. In questa situazione, nella rivelazione Dio ci è venuto incontro. La rivelazione interpreta in modo concreto ciò che possiamo riconoscere dal punto di vista del diritto naturale. L'Antico Testamento ha preso spunto dalla saggezza della tradizione dell'antico Oriente dell'epoca e, attraverso un lungo processo educativo, l'ha perfezionata alla luce della fede in Yahweh. La seconda tavola del decalogo (Es 20, 1217; Dt 5, 1621) è il risultato dì tale processo. Gesù lo ha confermato (Mt 19, rsi.),e i Padri della Chiesa erano convinti che i comandamenti della seconda tavola del decalogo corrispondessero a tutti i comandamenti della coscienza morale comune degli uomini. I comandamenti della seconda tavola del decalogo, non sono pertanto una morale speciale giudeocristiana. Sono tradizioni dell'umanità concretizzate In essi, i valori fondamentali della vita familiare vengono affidati alla protezione particolare di Dio: il rispetto dei genitori e la cura per i genitori anziani, l'inviolabilità del matrimonio, la tutela della nuova vita umana che nasce dal matrimonio, la proprietà come base per la vita della famiglia e i rapporti reciproci veraci, senza i quali non può esistere la comunità.
Con questi comandamenti, agli uomini è dato un modello, una sorta di bussola per il loro cammino. Perciò la Bibbia non intende questi comandamenti come un onere e una limitazione della libertà; si rallegra del comandamento di Dio (Sal 1, 2; 112; 1; 119). Essi sono indicazioni sul cammino per una vita felice e realizzata Non possono essere imposti a nessuno, ma possono essere proposti a tutti, a buona ragione, come cammino per la felicità. Il Vangelo della Famiglia nell'Antico Testamento giunge a conclusione nei primi due capitoli della Genesi. Anche questi contengono antichissime tradizioni dell'umanità, interpretate in maniera critica e approfondite alla luce della fede in Yahweh. Quando venne stabilito il canone della Bibbia, nell'insieme furono messi per primi, in modo programmatico, come aiuto ermeneutico alla lettura e all'interpretazione della Bibbia. In essi viene presentato il disegno originale di Dio della famiglia.
E possibile estrapolarne tre affermazioni fondamentali.
1. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò (Gn 1, 27). Nel suo duplice genere, l'uomo è la buona, addirittura l'ottima creazione di Dio. Non è stato creato come single: Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile (2, 18). Per questo Adamo accoglie la donna con un gioioso grido
di benvenuto (2 23). L'uomo e la donna sono stati donati da Dio l'uno per l'altro. Devono completarsi e sostenersi, compiacersi e trovare gioia l'uno nell'altro.
Entrambi, uomo e donna in quanto immagine di Dio hanno la stessa dignità. Non c'è posto per la discriminazione della donna. Ma l'uomo e la donna non sono semplicemente uguali. La loro uguaglianza nella dignità si fonda, come anche la loro diversità, nella creazione. Esse non vengono date loro da nessuno, né si danno da sé. Non si diventa uomo o donna attraverso la rispettiva cultura, come affermano alcune opinioni recenti. L'essere uomo e l'essere donna sono fondati ontologicamente nella creazione. La pari dignità della loro diversità spiega l'attrazione tra i due, cantata nei miti e nei grandi poemi dell'umanità, come anche nel Cantico dei Cantici dell'Antico Testamento. Il volerli rendere uguali per ideologia distrugge l'amore erotico. La Bibbia intende questo amore come unione per diventare una sola carne, vale a dire come una comunità di vita, che include sesso, eros, nonché l'amicizia umana (2, 24). In questo senso completo, l'uomo e la donna sono creati per l'amore e sono immagine di Dio, che è amore (1 Gv 4,8).
Come immagine di Dio, l'amore umano è qualcosa di grande e di bello ma non è di per sé divino. La Bibbia smitizza la banalizzazione antico orientale della sessualità nella prostituzione nei templi e condanna la dissolutezza come idolatria. Se un partner deifica l'altro e si aspetta da lui che gli prepari il cielo in terra, allora l'altro per forza si sente troppo sollecitato; non può fare altro che deludere. A causa di queste aspettative eccessive falliscono molti matrimoni. La comunità di vita tra uomo e donna, insieme con i loro figli, può essere felice solo se essi si intendono reciprocamente come un dono che li trascende. Così la creazione dell'uomo sfocia nel settimo giorno, nella celebrazione dello sabbat. L'uomo non è stato creato come animale da lavoro, ma per lo sabbat. Come giorno in cui essere liberi per Dio, deve essere anche un giorno in cui essere liberi per la festa e la celebrazione comune, un giorno di tempo libero da trascorrere con e per l'altro (cfr. Es 20, 810; Dt 5, 1214). Lo sabbat, ovvero la domenica, come giorno della famiglia, è una cosa che dovremmo imparare di nuovo dai nostri amici ebrei.
2. Dio li benedisse e disse loro Siate fecondi e moltiplicatevi (1, 28). L'amore tra l'uomo e la donna non è chiuso in se stesso; trascende se stesso e si concretizza nei figli che nascono da questo amore. L'amore tra un uomo e una donna e la trasmissione della vita sono inscindibili. Ciò non vale solo per l'atto del generare, ma va anche oltre. La prima nascita prosegue nella seconda, quella sociale e culturale, nell'introduzione alla vita e attraverso la trasmissione dei valori della vita. Per questo i figli hanno bisogno dello spazio protettivo e della sicurezza affettiva nell'amore dei genitori; inversamente, i figli rafforzano e, arricchiscono il legame d'amore tra i genitori. I bambini sono una gioia e non un peso. Per la Bibbia la fecondità non è una realtà meramente biologica. I figli sono frutto della benedizione di Dio. La benedizione è il potere di Dio nella storia e nel futuro. La benedizione nella creazione prosegue nella promessa della discendenza di Abramo (Gn 12, 2 5.; 18, 18; 22, 18). Così, la potenza vitale della fecondità, divinizzata nel mondo antico, viene intrecciata con l'azione di Dio nella storia. Dio mette il futuro del popolo e l'esistenza dell'umanità nelle mani dell'uomo e della donna Il discorso sulla genitorialità responsabile ha un significato più profondo di quello che di solito gli viene attribuito. Significa che Dio affida la cosa più preziosa che può donare, vale a dire la vita umana, alla responsabilità dell'uomo e della donna.
Essi possono decidere responsabilmente sul numero e sui tempi della nascita dei loro figli. Devono farlo nella responsabilità dinanzi a Dio e nel rispetto della dignità e del bene del partner, nella responsabilità verso il bene dei figli, nella responsabilità verso il futuro della società e nel rispetto della natura dell'uomo (GS 50). Da ciò risulta non una casistica, bensì una figura sensata vincolante la cui realizzazione concreta è affidata alla responsabilità dell'uomo e della donna. A loro è data la responsabilità del futuro. Il futuro dell'umanità passa per la famiglia.
Senza la famiglia non c'è futuro, bensì l'invecchiamento della società, pericolo dinanzi al quale si trovano le società occidentali.
3. Riempite la terra; soggiogatela (1, 28). Talvolta le parole soggiogare e regnare sono state intese nel senso di sottomissione violenta e di sfruttamento, attribuendo al cristianesimo la colpa dei problemi ambientali. I biblisti hanno dimostrato che queste due parole non vanno intese nel senso di una sottomissione e di un dominio violento. La seconda narrazione della creazione parla di coltivare e custodire (2, 15). Si tratta dunque come diciamo oggi della missione culturale dell'uomo. L'uomo deve coltivare e curare
la terra come un giardino, deve essere custode del mondo e trasformarlo in un ambiente di vita degno dell'uomo. Questo compito non spetta solo all'uomo ma a uomo e donna congiuntamente. Alla loro cura e responsabilità è affidata non solo la vita umana, ma anche la terra in generale.
Con questa missione culturale, ancora una volta il rapporto tra uomo e donna trascende se stesso. Non è mero sentimentalismo che ruota attorno a sé; non deve chiudersi in se stesso, ma aprirsi verso la missione per il mondo. La famiglia non è soltanto una comunità personale privata. E là cellula fondamentale e vitale della società È la scuola di umanità e delle virtù sociali, necessarie per la vita e lo sviluppo della società (OS 47; 52). E' fondamentale per la nascita di una civiltà dell'amore e per l'umanizzazione e la personalizzazione della società, senza le quali essa diventa una massa anonima. In questo senso si può parlare di un compito sociale e politico della famiglia (FC 44). Come istituzione primordiale dell'umanità la famiglia è più antica dello Stato e, rispetto ad esso, di diritto proprio.
Nell'ordine della creazione non si parla mai di Stato. Esso deve, per quanto possibile, sostenere e promuovere la famiglia; non può però interferire nei suoi diritti propri.
1. I diritti della famiglia, indicati nella carta della famiglia, si fondano nell'ordine della creazione (FC 46). La famiglia quale cellula fondamentale dello Stato e della società è al tempo stesso modello fondamentale dello Stato e dell'umanità come unica famiglia umana. Da ciò risultano delle conseguenze per una sorta di ordine familiare nell'equa distribuzione dei beni, come anche per la pace nel mondo (EG 176258). Il Vangelo della famiglia è al contempo un Vangelo per il bene e per la pace dell'umanità.
2. Le strutture del peccato nella vita della famiglia. Quanto detto finora costituisce un quadro ideale, ma di fatto non è la realtà delle famiglie. Lo sa anche la Bibbia. Così, ai capitoli 1 e 2 della Genesi segue il capitolo 3, con la cacciata dal paradiso e dalla realtà coniugale e familiare paradisiaca. L'alienazione dell'uomo da Dio ha come conseguenza 1'alienazione nell'uomo e tra gli uomini. Nel linguaggio della tradizione teologica definiamo questa alienazione concupiscenza; essa non va intesa solo come desiderio sessuale sregolato. Per evitare tale malinteso, spesso oggi si parla di strutture del peccato (FC 9). Queste gravano anche sulla vita della famiglia. La Bibbia offre una descrizione
realistica della conditio humana e della sua interpretazione a partire dalla fede.
La prima alienazione avviene tra l'uomo e la donna. Provano vergogna l'uno dinanzi all'altro (3, 10). La vergogna dimostra che l'armonia originale tra corpo e spirito è disturbata e che l'uomo e la donna sono alienati l'uno dall'altra. L'affetto degenera
Walter Kasper
Borsa di Studio "Don Michele OLIVA"
Regolamento
ART. 1 – Finalità
La Parrocchia San Giuseppe Lavoratore di Scalea, in occasione della Festa Patronale, istituisce il Premio Culturale "Don Michele OLIVA", finalizzato a tener sempre vivo il ricordo di un Sacerdote che nella sua lunga azione pastorale, con la preghiera e la vita di carità, ha contribuito a valorizzare la solidarietà e la pace nei rapporti umani, promuovendo l'aggregazione e l’emancipazione spirituale e umana nella Città di Scalea. Contribuendo così, per come è ampiamente riconosciuto, al suo sviluppo culturale e sociale. Si è scelto l'anno finale delle Scuole Superiori perché vuole essere anche un aiuto per coloro che, nella loro vita, completano un ciclo scolastico e si preparano ad affrontare scelte più complesse e definitive.
ART. 2 – Partecipanti
Possono partecipare tutti i giovani che, in età scolare, sono iscritti all'ultimo anno delle Scuole Superiori.
ART. 3 – Modalità di partecipazione
La partecipazione al Premio è completamente gratuita. I partecipanti potranno scegliere tra due percorsi: quello artistico e quello letterario.
Il primo percorso prevede la realizzazione di un elaborato artistico che potrà essere, a scelta del candidato, o un dipinto, o un collage, o una scultura, o una fotografia artistica, o un video, eseguito con tecniche a scelta del candidato stesso.
Il secondo percorso prevede la stesura di un elaborato scritto che potrà essere, a scelta del candidato, o un racconto, o una poesia, o la presentazione di un libro di narrativa o di altro genere.
Ogni candidato potrà partecipare al concorso con la presentazione di un solo elaborato, pertanto dovrà scegliere uno solo dei percorsi proposti.
ART. 4 – Tema
Gli elaborati devono riferirsi al territorio e alla Città di Scalea. I temi sono i seguenti:
il territorio come luogo di contemplazione e viaggio;
cultura e storia;
natura e ambiente;
Art. 5 – Giuria
La Giuria del Premio è composta da componenti del mondo culturale di Scalea, selezionati per competenze sulle tematiche proposte di volta in volta ogni anno, ed è presieduta dal Parroco.
Art. 6 – Premiazioni
Il premio di € 700,00 (settecento/00) viene assegnato ogni anno. La premiazione si effettua durante la Festa Patronale, a giudizio insindacabile e inappellabile della giuria che redige apposito verbale da depositare e conservare presso l’Archivio Parrocchiale.
Art. 7 – Condizioni
Le opere consegnate non vengono restituite ai concorrenti. Ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 675/96 i dati personali acquisiti sono utilizzati solo per le finalità legate al premio e per garantire il suo svolgimento.
Scalea , il 24 aprile 2013
Il Parroco
Mons. Cono ARAUGIO
Traccia da elaborare per partecipare alla Borsa di Studio dell’Anno 2013
La Chiesa vive l'Anno della Fede. Il Papa Benedetto XVI nella Porta Fidei ha scritto: “La fede, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità”, che spesso porta ad avere fiducia solo nella Scienza e nella Razionalità.
Eppure la Vita di tanti uomini e donne del nostro tempo, è la testimonianza di come grazie alla Fede si possa vivere costruendo la fiducia nel futuro, proprio perché sostenuti dalla certezza che nessuno è totalmente solo.
Nella tua esperienza culturale e spirituale, come comprendi questa realtà che sfugge ad ogni analisi razionale, eppure continua ad essere così presente negli ambienti di vita quotidiana?
NOTE TECNICHE - L’elaborato deve essere presentato in parrocchia entro il 30 giugno c.a. in busta chiusa, le indicazioni anagrafiche del candidato devono essere inserite in una seconda busta chiusa all’interno della busta contenente l’elaborato stesso.
Si ricorda che la premiazione, solo per quest’anno, sarà effettuata il 2 agosto, memoria dell'Ordinazione Sacerdotale di Don Michele.
Il Cammino della Chiesa Cattolica sulla via dell’Ecumenismo
Belvedere Marittimo 1 febbraio 2013
Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto, nel decreto "Unitatis redintegratio", che il movimento ecumenico è un segno dell'attività dello Spirito Santo e ha affermato di ritenere la promozione di tale movimento uno dei suoi compiti principali. Accanto ai progressi, si sente il peso di vecchie e nuove divisioni: il processo di avvicinamento dura, evidentemente, più a lungo di quanto molti pensassero in una prima ottimistica fase.
Già all'inizio della seconda sessione del Concilio, il Papa Paolo VI, in un discorso di carattere fondamentale, dichiarò che l'avvicinamento ecumenico era uno degli scopi - per così dire il dramma spirituale - in ragione del quale il Concilio era stato convocato. Se si tiene in debito conto questa dichiarazione, tutti i testi del Concilio debbono essere letti in prospettiva ecumenica. Egli ha dunque strettamente collegato, quanto a importanza teologica, tale Decreto alla Costituzione sulla Chiesa.
Spesso si afferma che il Vaticano II è stato solo un Concilio pastorale, volendo con questa affermazione ridurne la sua valenza normativa. In realtà, non c'è pastorale che meriti tale nome senza fondamento nell'insegnamento della Chiesa; ma non c'è neppure insegnamento della Chiesa che sia solo dottrina senza scopi pastorali. Perciò, così come la pastorale deve lasciarsi guidare dall'insegnamento della Chiesa, allo stesso modo quest'ultimo deve essere interpretato guardando all'uomo e al suo destino, cioè in senso pastorale.
Derivano da qui importanti punti di vista per l'ermeneutica dei testi conciliari: "Unitatis redintegratio" indica in quale direzione debbono essere spiegate le asserzioni di "Lumen gentium"; cioè nel senso di un'apertura ecumenica teologicamente responsabile. Il documento conciliare "Unitatis redintegratio", dunque, deve essere interpretato in continuità con tutti i Concili. E tale continuità deve essere intesa non come una realtà morta e pietrificata, ma come un avvenimento vivo, mediante il quale lo Spirito Santo ci introduce sempre di nuovo nella pienezza della verità.
Questo testo, era stato preceduto e poi seguito da importanti gesti simbolici – basti qui ricordare l'incontro fraterno a Gerusalemme tra il patriarca Atenagora e Paolo VI il 5 gennaio 1964, l'abolizione reciproca delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli il 7 dicembre 1965, la visita del patriarca anglicano Ramsey in Vaticano il 23 marzo 1966 – che avevano concorso a creare un clima di entusiasmo.
.Unitatis redintegratio 24 novembre 1964
E’ il 21 novembre 1964 quando i padri conciliari votano il decreto che «sancisce la conversione della Chiesa cattolica all'ecumenismo». Abbandonando l'espressione “ecumenismo cattolico”, e formulando invece i principi cattolici dell'ecumenismo, anche la chiesa cattolica abbandona la prospettiva di costruire un percorso suo (quello del ritorno) verso l'unità, ma intende invece partecipare e contribuire al movimento ecumenico in atto.
Fu votato a larghissima maggioranza dall'assemblea conciliare (2137 favorevoli e solo 11 contrari), muta in profondità l'approccio cattolico al movimento ecumenico. Tra i primi documenti del Vaticano II ad essere promulgati, il suo iter formativo non è stato un percorso senza difficoltà, e tra i ben tre schemi sull'ecumenismo presentati nel 1962 e il testo finale c'è tutta la fatica del passaggio dalla prospettiva del “ritorno” a quella capace di inserirsi positivamente dentro il cammino comune di tutte le chiese verso l'unità. La differenza principale tra le tre proposte è essenzialmente l'ecclesiologia soggiacente ai documenti. È la mutata prospettiva ecclesiologica – dalla chiesa societas perfecta alla chiesa mistero, comunione e popolo di Dio – che consentirà un approccio finalmente positivo all'ecumenismo.
E’ da notare che se si fosse rimasti all'ecclesiologia del 1962 «questo decreto non avrebbe spinto in avanti ma piuttosto bloccato qualsiasi concreta partecipazione della Chiesa Cattolica al movimento ecumenico». Legato dunque a doppio filo con la costituzione sulla chiesa Lumen gentium, tanto da poter essere considerati reciprocamente l'uno il criterio interpretativo dell'altro, si compone di un proemio e tre capitoli.
1. Il numero introduttivo del decreto precisa le ombre e le luci dello scenario: la storia e il presente delle divisioni tra le chiese è un vulnus alla volontà di Cristo, una pesante contro testimonianza e uno scandalo per l'annuncio del Vangelo al mondo. Si riconosce però il crescente desiderio nei discepoli di Cristo del ristabilimento dell'unità e si saluta il movimento ecumenico come una grazia dello Spirito al quale partecipano tutti coloro che «invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore».
2. Nel primo capitolo, “Principi cattolici dell'ecumenismo”, si trova la base dogmatica che connota l'approccio cattolico all'ecumenismo. Vengono dati due principi fondamentali:
· l'unità e l'unicità della Chiesa. Cristo ha voluto che «tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21) ed ha istituito la Chiesa una sul modello dell'unità della Trinità; un'unità significata, attuata e vissuta nel sacramento dell'eucaristia, realizzata dallo Spirito Santo e resa visibile nell'unione con il collegio dei vescovi con a capo il successore di Pietro. Questa unità nella fede, nella speranza e nella carità dell'unico popolo di Dio è ferita, infranta dal peccato del quale nessuno può ritenersi esente, ma non è un'unità perduta.
· Le relazioni dei fratelli separati con la chiesa cattolica. Il concilio assume la categoria di “comunione” in senso teologico e non giuridico. Questa saggia scelta di fede permette di uscire dalla comprensione della legge e riconoscere invece, a partire dall'unico battesimo e dalla medesima adesione a Cristo, una certa comunione seppur imperfetta, la presenza di elementi e beni della chiesa anche fuori i confini visibile del cattolicesimo e dunque conduce al riconoscimento affatto secondario del carattere ecclesiale delle chiese e comunità cristiane separate dalla chiesa cattolica.
3. In un terzo paragrafo di questo primo capitolo infine si dà una definizione del movimento ecumenico: tutte quelle «attività ed iniziative suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani» e in modo particolare gli sforzi compiuti per eliminare parole, giudizi e opere che ostacolano la giusta comprensione reciproca e la riconciliazione e un dialogo genuino per una maggiore conoscenza e una più ampia collaborazione ad iniziare dalla preghiera insieme.
4. Il secondo capitolo (UR 5-12) è dedicato all'esercizio concreto dall'ecumenismo che richiede disponibilità alla riforma continua e alla conversione permanente: «questa conversione del cuore e questa santità della vita, […] si devono ritenere come l'anima di tutto il movimento ecumenico». Le strade contemporaneamente da battere sono quelle dell'ecumenismo spirituale, della verità e della collaborazione.
5. L'ultimo capitolo (UR 13-24) prende infine in esame le due principali divisioni che deturpano il volto della chiesa una: quella con le Chiese orientali e quella proveniente dalla Riforma.
L'Unitatis redintegratio segna chiaramente un radicale cambio di passo nel cammino della chiesa cattolica verso la ricerca della ricostituzione di un'unità visibile tra coloro che si professano cristiani. Ma Unitatis redintegratio al capitolo 3 sottolinea, nella dinamica della verità come via per costruire l’unità, che l'unità della chiesa non può sorgere da un compromesso che appiani le divergenze: «tutta la pienezza dei mezzi di salvezza» si trova nella cattolica chiesa di Cristo e questi sono stati affidati «al solo collegio apostolico con a capo Pietro».
Pur utilizzando questi toni decisi, il testo del concilio però ha completamente abbandonato la terminologia del ritorno. Ma perché questa unità si realizzi è necessario che la chiesa cattolica valorizzi due importanti elementi:
· Il primo e decisivo è certamente il susistit in di LG 851. La sola e unica chiesa di Gesù Cristo non si dice più che è – come negli schemi preparatori precedenti – ma che sussiste nella chiesa cattolica: «ciò che vuol dire è niente di meno che la decisione del Concilio di non sostenere più l'identità esclusiva tra l'unica Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica Romana».
· L'altro, inserito direttamente all'ultimo momento in UR 11 – e in chiara controtendenza con quanto fino ad allora affermato – è il riconoscimento dell'esistenza di una gerarchia nelle verità della dottrina: non tutte sono nello stesso rapporto con il fondamento della fede e dunque non tutte hanno la stessa importanza nel cammino verso l'unità.
Ut unum sint 25 maggio 1995
A trent'anni dall'Unitatis redintegratio Giovanni Paolo II dedica la sua dodicesima enciclica all'ecumenismo.
Se letta tenendo presenti anche le lettere apostoliche Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994) e Orientale lumen (2 maggio 1995) emerge con ancora maggior forza la crescente attenzione ecumenica maturata dal Santo Padre e fattasi più pressante con l'avvicinarsi del grande giubileo del 2000.
E’ un testo dal tono positivo, pieno di speranza, dal quale risalta anche la passione personale del Pontefice che sente di doversi assumere in prima persona il servizio per l'unità, ribadisce con forza come il cammino ecumenico sia ormai per la chiesa cattolica un impegno irreversibile e centrale della sua azione, non un'opzione o un'appendice.
1.E’ un documento a carattere prevalentemente pastorale, che assume come chiave dottrinale del suo sviluppo la concezione della chiesa come communio. Questa visione teologica che parte dalla comunione trinitaria e si allarga a quella di ogni uomo e di ogni credente con Dio, fonda infine l'unità dei battezzati tra di loro e di tutta l'umanità. Questa comunione ecclesiale, nonostante le ferite delle divisioni e delle separazioni nella storia delle chiese, non è andata perduta e in modo accorato il Papa si domanda: «come è mai possibile restare divisi, se con il battesimo noi siamo stati “immersi” nella morte del Signore, vale a dire nell'atto stesso in cui, per mezzo del Figlio, Dio ha abbattuto i muri della divisione?».
2.Importante in vista della riunificazione sembra essere una maggiore considerazione del carattere ecclesiale delle altre comunità – «oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il vuoto ecclesiale» – attraverso un significativo allargamento del subsistit in di LG 8. L'unica chiesa di Cristo 'sussiste' nella chiesa cattolica, ma è presente, 'sussiste', anche nelle altre comunità cristiane che per questo possono essere indicate come Chiese sorelle.
La communio ecclesiale si fonda sul battesimo e sulla comune professione di fede tenendo conto del principio della gerarchia delle verità e della necessaria distinzione tra contenuti della fede e modo in cui questi sono enunciati. Lo sguardo dell'altro è riconosciuto in questo scambio essere un dono che permette di andare più in profondità nella scoperta dell'insondabile ricchezza della verità poiché nella comunione ecumenica le chiese portano ciascuna i propri doni specifici e vivono un «mutuo arricchimento». Il dono che la chiesa cattolica sente di dover portare alla comunione delle chiese è quello del servizio petrino.
3.Con una modalità completamente nuova Giovanni Paolo II non nasconde uno dei nodi più difficili da sciogliere di tutto il cammino ecumenico, invita a vederlo come una possibile ricchezza per tutti, ma riconoscendo il bisogno di distinguere tra il servizio e i modi con i quali si è concretizzato nella storia, invita tutti a cercare insieme una forma di esercizio perché «questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri».
4.Un altro importante tratto di novità dell'enciclica è il riconoscimento che la comunione reale, ma imperfetta delle chiese vive già un tratto di pienezza e perfezione nella comune esperienza del martirio. Il '900 lascia in eredità alle chiese un martiriologio comune: nella testimonianza della santità e della confessione della fede fino al dono della vita i cristiani realizzano la piena comunione con il Signore e quindi tra di loro al di là di tutte le divisioni ecclesiali. È il riconoscimento che l'autentica fede e carità cristiane possono essere vissute in pienezza in tutte le chiese e «sebbene in modo invisibile, la comunione non ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena comunione dei santi».
5.Infine Giovanni Paolo II nella terza parte del documento, mentre indica come necessario compito da assolvere la cura della recezione dei risultati raggiunti fino ad ora perché diventino autenticamente patrimonio comune, con lucidità e consapevolezza traccia la lunga strada ancora da affrontare con coraggio e pazienza – partendo da una prospettiva cattolica – per raggiungere un vero consenso di fede:
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Camminare verso l'unità
Il breve excursus che abbiamo tracciato ci ha permesso di vedere il molto cammino già percorso, ma anche di intuire il molto che resta da fare per restituire la visibilità della communio alla Chiesa di Gesù Cristo. La chiesa cattolica dal concilio Vaticano II si è posta in un atteggiamento maggiormente dialogante con le altre chiese abbandonando la prospettiva del ritorno come unica strada percorribile, sebbene soprattutto nell'ultimo decennio si assista, come abbiamo notato, ad un maggior bisogno di riaffermazione dell'identità. Questione delicata e allo stesso tempo determinate è sempre più quella della recezione pastorale dei risultati già conseguiti: difficilmente le varie chiese accettano di far diventare prassi feriale i risultati raggiunti nei vari dialoghi, lasciandosi provocare alla conversione dall'ecumenismo.
Il cammino verso l'unità, al di là dei principi più volte dichiarati, è veramente il cuore della vita delle comunità cristiane. Lo stesso card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, concludeva però la sua relazione al concistoro dei cardinali del 23 novembre 2007 affermando che «non c'è nessuna alternativa realistica all'ecumenismo, e soprattutto nessuna alternativa di fede». È davvero un cammino irreversibile da percorrersi nei vari sentieri teologico, spirituale, solidale ma che ha necessità di decisi passaggi:
· da un ecumenismo confessionale interessato unicamente alle questioni teologiche ed ecclesiologiche, ad uno globale che da “settore” per specialisti lo faccia diventare dimensione costitutiva di una vita di fede aperta a tutti gli ambiti dell'esistenza;
· dall'ecumenismo ufficiale fatto di grandi eventi e di importanti gesti simbolici, ad uno feriale, contestuale alle relazioni quotidiane, giocato nei luoghi di vita dalle comunità concrete;
· conseguentemente da un'ecumenismo di specialisti ad uno di popolo diventando laboratorio di vite cristiane mature, perno ineliminabile di ogni autentico cammino di discepolato;
· da un'ecumenismo delle chiese ad uno della storia capace di aprire insieme tutti i credenti in Cristo all'impegno per la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato.
Anche il Santo Padre Benedetto XVI fin dal suo insediamento ha posto come impegno nodale del suo pontificato la costruzione della communio nella Chiesa. Concludo con l’immagine, veramente illuminante la lettura dell’impegno ecclesiale oggi nelle sue energie e nelle sue difficoltà, che lui ha affidato ai Vescovi in occasione del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, vissuto all’inizio dell’anno della fede: La figura di Maria ci orienta nel cammino. Questo cammino, potrà apparirci un itinerario nel deserto; sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità. È l'acqua del pozzo che fa fiorire il deserto. E, come nella notte del deserto le stelle si fanno più luminose, così nel cielo del nostro cammino risplende con vigore la luce di Maria, Stella della nuova evangelizzazione, a cui fiduciosi ci affidiamo.